Orta Nova – COVID, mala tempora currunt. Contagi di nuovo in salita e a gennaio la situazione non si prospetta affatto facile. E il consiglio più concreto rimane ancora uno, lo stesso, ripetutamente: limitare i contatti, anche tra parenti ed amici, e confrontarsi sempre col proprio medico di famiglia sui rischi di contagio e sulla opportunità di fare i test rapidi.
È la fotografia dell’emergenza da nuovo Coronavirus nella fase presente realizzata da alcuni medici del territorio locale intervistati da StatoQuotidiano.
Dopo un paio di settimane di tranquillità, già subito dopo Natale le segnalazioni ai medici di famiglia per sospetti casi Covid hanno ripreso ad aumentare. Ed è allarme contagi soprattutto a livello familiare: questo il dato più preoccupante evidenziato. Niente affatto confortante.
“Il laboratorio di analisi mi manda in continuazione notizia di casi sospetti e credo che questo non sia un buon segnale” la constatazione amara di uno dei circa 14 medici di famiglia impegnati nel territorio ortese, Luigi Cascarano.
Insomma, non si può ancora dire ad Orta Nova, come nel resto della penisola italiana, che l’emergenza Corona virus sia terminata.
Anzi, non se ne è mai usciti.
Le due settimane di dicembre in cui i contagi sembravano diminuiti, potevano aver fatto presagire una situazione più serena, ma così non è.
“Dobbiamo impegnarci di più, sicuramente sì” il suggerimento sentito che viene dai medici di famiglia impegnati sul territorio.
“Negli ultimi tre giorni ho dovuto fare circa 14-15 segnalazioni alla Asl per tampone molecolare” riferisce infatti ancora a Statoquotidiano il medico Luigi Cascarano.
Una ripresa dei contagi importante, probabilmente legata al fatto che, dopo l’Immacolata, la gente si è fatta prendere dalla usuale frenesia dei preparativi per il Natale con giri per shopping e attività simili che hanno portato ad una maggiore circolazione del virus.
Soprattutto i più giovani, tra 15 e i 30, hanno mostrato di non aver forse realizzato la gravità della situazione, quando, invece, anche Orta Nova sta piangendo morti per COVID, persino quarantenni, e lo possono testimoniare le famiglie colpite direttamente.
“Negli ultimi dieci giorni ho potuto registrare, tra i miei pazienti, un incremento delle segnalazioni che ho poi trasmesso al dipartimento di igiene della Asl per casi sospetti sia sintomatici che non” informa la dottoressa Laura Spinelli che conferma: “Il rischio maggiore di contagio al momento risiede in famiglia”.
Molti, infatti, per varie situazioni entrano in contatto col virus e lo portano in casa dove, anche in presenza accertata di un positivo, non si rispettano in maniera ottimale le misure di isolamento. Ciò può portare al contagio degli altri conviventi, ma anche alla diffusione del virus tra i parenti non conviventi, incontrati, per esempio, nel corso delle reunion realizzate durante le festività.
“Purtroppo un altro grosso problema” ancora Laura Spinelli “che inficia molto le dinamiche di blocco della diffusione del virus e di tracciamento dei casi sospetti, è la corsa al tampone antigenico. La possibilità di sottoporsi a tale test cosiddetto rapido per verificare se si è positivi al Covid-19, senza un obbligo di prescrizione da parte del medico, fa sì che molti lo eseguano senza un parere sanitario”.
Conseguenza del fatto di ricorrere in autonomia al test rapido, secondo la Spinelli, sarebbe il rischio di incorrere nell’errore di sottoporsi al test stesso nei tempi in cui, in realtà, il virus non si è ancora replicato abbastanza nel corpo così da poter essere rilevato dal tampone. E, intanto, la presunta negatività, eventualmente diagnosticata dal test fatto in autonomia, autorizzerebbe ad andare in giro il soggetto che vi si è sottoposto quando probabilmente non è ancora completamente libero e guarito dal contagio, favorendo così la diffusione del virus.
“È un meccanismo insano, un vero e proprio circolo vizioso che alimenta l’insorgenza di casi positivi con difficoltà poi a risalire agli ulteriori contatti stretti” ancora Laura Spinelli “Un sistema che di certo, a mio avviso, va calibrato perché così facendo permette il reiterarsi di un danno di salute pubblica invece di configurarsi come un presidio di prevenzione”.
Importante, dunque, prima di sottoporsi al test antigenico rapido in autonomia, chiedere il parere del proprio medico di famiglia per avviare un percorso diagnostico sicuro ed efficace.
La sintomatologia tipica con cui si presenta il COVID, per chi ancora non ne avesse cognizione, inizia con il non sentire il gusto dei cibi, non si riesce a sentire gli odori, poi subentrano mal di testa e dolori muscolari, stanchezza e poi pian piano la febbre, la tosse.
Questa è l’evoluzione del quadro che, però, non è sempre facile riconoscere, in particolare nel periodo invernale in corso, in cui, come accade di solito ogni anno, si presentano stati influenzali, tosse, i cui sintomi possono essere considerati simili, per alcuni versi, a quelli del COVID. “Anche se, dopo quasi un anno di trincea” la precisazione dei vari medici di base “appena il paziente chiama e chiede chiarimenti, dando delle informazioni sul suo stato di salute, le domande da porre sono subito orientate a capire se si sono presentati i segnali tipici, come appunto la perdita di gusto ed olfatto, per fare il cosiddetto triage”.
E, se almeno due o tre delle domande che si fanno ricevono una risposta positiva, il paziente viene indirizzato a fare un tampone.
Il tampone antigenico rapido, in linea generale, ha una buona sensibilità, ossia una buona capacità di riconoscere e diagnosticare l’eventuale presenza del virus, circa l’80-85%, e, negli ultimi casi, anche 90%, ma, nonostante ciò, non si può dire faccia ottenere una diagnosi definitiva. Questa la si può ricavare solo con il cosiddetto tampone molecolare, generalmente fatto dalla Asl o dall’ospedale.
La Asl del distretto di Cerignola (competente per i Cinque Reali Siti) risulta però essere oberata di lavoro. Vi arrivano, pare, almeno 700-800 segnalazioni di casi COVID sospetti al giorno, e, di contro, il personale a disposizione presso la struttura risulta essere numericamente limitato.
Il paziente, quindi, a volte, fa prima a negativizzarsi da solo rispetto a quando sarà chiamato dalla Asl stessa per fare il tampone molecolare.
Quando il paziente, dopo i primi quindici giorni di isolamento, viene sottoposto al secondo tampone e magari poi è costretto a stare ancora a casa, pur con sintomi tutto sommato lievi, trascorre complessivamente un periodo di almeno 1 mese di allontanamento dalla vita sociale e lavorativa, una limitazione non così facile da sostenere, soprattutto per quei soggetti giovani che non possono perdere giornate di lavoro. In più l’isolamento del singolo comporta anche l’isolamento familiare, di tutto il nucleo familiare.
Stoccatina alla gestione dell’emergenza nel territorio arriva, quindi, da parte del dottor Marcello Menga, secondo il quale la Regione si è fatta trovare impreparata. “Da marzo in poi noi medici siamo stati nella condizione di dover operare senza niente. Non si capiva bene se avessimo diritto a ricevere i dispositivi di protezione. Abbiamo poi ricevuto giusto una boccettina di disinfettante e due mascherine.
E, per di più, siamo stati fatti oggetto di critiche secondo cui i medici di famiglia si astenevano dal fare le visite a domicilio. Noi, potrei dire invece, come categoria ci siamo subito organizzati, per esempio, per la ricetta elettronica, in modo da raggiungere i pazienti nonostante la distanza sociale da mantenere ce lo impedisse”.
E un’altra pecca sarebbe da registrare, secondo Menga: la realtà del territorio di Orta Nova, e dei Cinque Reali Siti, è priva di un distaccamento USCA, ossia le Unità Speciali di Continuità Assistenziale, sostanzialmente personale medico aggiuntivo, operante a livello distrettuale, con sede a Cerignola, chiamato a svolgere attività domiciliari rivolte alle cure per pazienti COVID-19, dimessi dalle strutture ospedaliere o mai ricoverati, con bisogni di assistenza.
Molto spesso, secondo quanto riportato a Statoquotidiano da Marcello Menga, le USCA funzionano solo con un servizio di call center e dopo la segnalazione del medico di famiglia che non può andare personalmente a fare visite a domicilio in caso di positività COVID. E tale segnalazione si può fare solo tramite pec (ossia posta elettronica certificata). “Cosa assurda perché con questa non si riceve nessuna risposta immediata. Piuttosto, come medico di famiglia, io preciserei che io e tanti colleghi abbiamo proposto di andare noi in visita domiciliare purché muniti degli strumenti necessari”.
Sembra, tuttavia, che le USCA operino anche attraverso un servizio di messaggeria rapida whatsapp, secondo quanto riportato da altri medici che raccontano di avere provveduto a inviare, tramite tale messaggeria, segnalazioni per casi sospetti e di aver poi saputo dai loro pazienti dell’avvenuto intervento in loro soccorso da parte delle USCA stesse.
Non è tutto.
Notizia degli ultimi giorni, l’Oms ha annunciato un allarme sul possibile arrivo di altre pandemie, anche più preoccupanti. Lo scenario, insomma, non è proprio rassicurante.
Urge, allora, un cambiamento da parte di tutti delle abitudini nelle modalità con cui si tengono le relazioni con le persone, che siano conoscenti, parenti o amici.
Urge, ora. Senza più rimandare.
Daniela Iannuzzi