Nota propedeutica alla lettura: nel rispetto del lettore vergine della visione del film verranno isolate, nell’arco della recensione, eventuali rivelazioni critiche di trama (spoiler) su note a piè pagina, oltre a essere proposto, a fine articolo, un indice della presenza di punti sensibili nell’opera il cui svelamento possa incidere su una sua corretta fruizione.
LA “pausa” cinematografica estiva è occasione, per gli irriducibili, per pescare oltre il filtro distributivo italiano, che decide, secondo criteri commerciali – neanche troppo efficienti invero -, cosa al pubblico è concesso vedere, determinandone alla fine un inevitabile condizionamento culturale. Fortunatamente, nell’era di internet, l’informazione circola con un’efficienza tale – questa volta sì – da non privare di spunti chi voglia approfondire al di là delle sale e abbia naturalmente voglia di indagare.
Nell’ambito del cinema underground, Rue des Ormes si è ritagliato una propria notorietà sin dalla fine del 2009, periodo di distribuzione nella terra d’origine, il Canada, conquistando, considerato il genere, un discreto apprezzamento anche dagli utenti di imbd.com.
Appartenente al filone thriller sadico, sulla linea dei torture movie, esso prova a distaccarsene cercando una novità rispetto ai soggetti classici: questa volta il malcapitato (uno studente di cinema), catturato dai deviati di turno, residenti in una serena cittadina lungo una tranquilla strada, non viene torturato, come da attese, ma solo segregato per evitare che riveli una scomoda verità; anche i suoi tentativi di fuga sono solo castrati, senza compiacimenti efferati, giacché scopo esclusivo dell’antagonista (il capofamiglia) è la punizione dei malvagi, ruolo di cui si ritiene investito.
Dopo un inizio interessante (poco prima della cattura), che, senza mostrar nulla, riesce a creare quel delicato silenzio di accadimenti che anticipa la tragedia, il film si trova ad affrontare il gioco che Tessier vorrebbe instaurare con lo spettatore, l’arduo compito di intrattenerlo senza macabri escamotage. E’ un peccato costatare che, nonostante le apprezzabili intenzioni, il meccanismo non funzioni, complice una sceneggiatura fiacca e profili psicologici dei personaggi che avrebbero richiesto una cura estrema, tanto maggiore in considerazione della mancanza delle esche classiche del genere horror. Così non si avverte quasi mai la ferocia del sadico Jacques Beaulieu, ma se ne avvertono di continuo i tentativi del regista, e anche i personaggi di contorno, come la moglie, sono dei pallidi anormali che non lasciano mai incuriositi. Senza essere dei gore-dipendenti si viene spinti più volte, durante il film, a desiderare che avvenga davvero qualcosa di atroce che alzi la tensione, che delle punizioni fisiche o psicologiche vengano infine inferte al giovane Yannick, pur di autoconvincerci della cattiveria della famiglia Beaulieu, ma neanche questa soddisfazione – infine accettabile anche da chi ne detesterebbe le frequenti basi commerciali – viene concessa, se non debolmente nel personaggio della ragazza.
La pellicola, nell’ultimo terzo di durata, vira poi, presuntuosa, su un nuovo elemento, appiccicato in termini narrativi: l’ossessione di Jacques per gli scacchi diviene quella del ragazzo, sottoposto a una sfida salvifica e redentrice. Il resto della trama si avvolge deludentemente su questo tema, ricorrendo anche ad artificiosi effetti scenici, senza che se ne senta davvero la necessità, e un finale ai limiti del gore macchia anche i pregevoli intenti iniziali.
Rue des Ormes si lascia guardare stancamente dall’appassionato, da chi s’incuriosisce per dettagli, anche per piccole trovate, ma resta trascurabile per tutti gli altri. Mantiene, tuttavia, un’onestà e una ricerca dell’altro che sono quasi sempre assenti nel filone thriller-horror convenzionale, ed in questo senso ci si sente di non colpevolizzarne troppo i risultati. Un’occasione mancata, dunque, ma che si somma ai pregevoli sforzi di certo cinema sotterraneo.
Voto: 4/10
Livello spoiler: 7/10
5150, Rue des Ormes – E. Tessier, 20095
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