Fioccano battute qui sul web: “Ci vuole la vacanza per riprendersi dalle vacanze!”, ammonimenti ai giovanissimi a non soffrire troppo per la riapertura delle scuole, battute sui professori che aspettano settembre con una angoscia mortale. Si ricordano con nostalgia i bei tempi in cui la scuola iniziava ad ottobre e subito ti riposavi perché, in uno stato che tutti vogliono laico, era una bellezza festeggiare San Francesco. E non mancano le solite polemiche, sui siti specializzati proprio sulle tematiche della scuola: ministri della pubblica istruzione “così e così”; insegnanti che sognano la immissione in ruolo; insegnanti cui i conticini che si fanno fa già presagire la delusione dell’ottenere una cattedra anche per quest’anno.
Tramandare la riforma
Su tutto incombe inoltre, questa è una novità assoluta, lo spettro della quota 100: “Resterà anche per l’anno prossimo?” … “ Farò in tempo ad andare in pensione prima della data regolamentare prevista dalla legge Fornero?”. E il carrozzone della scuola si avvia quasi per inerzia, sempre fra mille difficoltà. Assicurare la continuità dell’insegnamento e non cambiare 10 supplenti in tre anni.
Arrivare per gli adolescenti dalla terza media ad un mondo che spaventa i più, quello della scuola secondaria, dove non sempre quello che si è fatto alle scuole medie viene preso per buono. Test di ingresso a gogò, che neanche a Medicina! La pretesa di ogni governo di lasciare la sua traccia di immortalità nella riforma che nessun ministro nega a se stesso e al suo gruppo politico di riferimento.
E spesso la montagna partorisce un topolino e una riformina, per così dire, di cui si poteva tranquillamente fare a meno.
Le domande del primo giorno
E litigi in casa per la scuola che i figli avrebbero voluto scegliere ma i genitori no. E sentirsi dire a 14 anni che devi programmare un futuro, non importa se ti piace, purché ci sia l’aspettativa di un lavoro. Come se si potesse vivere il lavoro separatamente dal piacere di svolgerlo. E l’ansia dei “primini” che vanno da soli, senza amici, nella nuova scuola. E la gioia del gruppo che si ritrova anche nel nuovo anno. E i genitori che subito chiederanno, fin dal primo giorno: “Come è andata?”. Soprattutto se si portano il senso di colpa di una loro scelta imposta ai figli in maniera apparentemente indolore.
E, tranne i più loquaci, molti ragazzi si affrettano ad imparare le risposte che non produrranno danni per 5 anni. “Come è andata? – Bene!” … “Cosa avete fatto? – Niente!”
Gli alunni, a tutte le età, si aspettano sempre tanto dai loro insegnanti. E gli insegnanti si aspettano tantissimo dai loro alunni.
E, come in passato e sempre, anche in questo anno ci saranno ramanzine e filippiche a iosa, di fronte ad una gioventù tacciata di essere indifferente alla vera cultura (!), legata mani e piedi alla superficialità dei social, che non ha fatto tesoro degli anni scolastici precedenti, “che non conoscono i verbi in italiano, figuriamoci in latino…!” “Che non sei uguale a tua sorella che ho avuto a scuola tre anni fa …!!”
Il carrozzone sta per ripartire. Contare i difetti è facile. Proviamo a contare le speranze.
I ragazzi e i prof
I ragazzi desiderano adulti credibili, la cui autorevolezza rende quasi sacra l’ora di lezione. Adulti che lascino fuori della porta dell’aula la propria vita privata, anche quando hanno di fronte alunni difficili per svogliatezza o vivacità. Adulti educatori, per i quali la parola data va mantenuta, ma che non abbiano paura di essere flessibili di fronte alla bellezza della individualità di ciascun allievo.
E certamente anche gli adulti si aspettano tantissimo dai giovani. E qui c’è posto per una riflessione forse banale ma sempre necessaria. I giovani ci guardano e ci interrogano ogni giorno, contrariamente a quello che si pensa; ci vedono nei nostri pregi e nei nostri naturali e necessari difetti. Esercitano tanta pazienza di fronte alle nostre fisime, alle nostre fissazioni, al metodo che è andato sempre bene e che per questo rimane inamovibile.
Chiedono lezioni chiare, spiegazioni chiare, capaci di suscitare interesse. Questo chiedono i giovani di sempre e da sempre. Ci costringono a fare i conti con la nostra passione per l’insegnamento perché questo lavoro assomiglia tanto al mestiere di genitore, dove la relazione, l’equilibrio è tutto. Dove la rabbia che pure ci deve essere non si dovrebbe mai trasformare in cattiveria.
Si cresce insieme a loro, si studia insieme a loro, si comprendono sempre più cose man mano che la vita avanza insieme a loro. E anche questo anno ‘19/’20 ripartirà sulla educazione ai sentimenti che ora si chiama più pomposamente “educazione alla cittadinanza consapevole”. E che in passato, senza nome preciso, ci costringeva a convivere fra noi. Prove tecniche di cittadinanza. Cosa non da poco.
Non posso permettermi di analizzare con competenza tutti i temi toccati da questo appassionato inno alla missione di Insegnante perche’ si tratta di un tema che esula dalle mie competenze, e, soprattutto, non sono supportato da una solida conoscenza della psicologia umana, elemento fondamentale in un contesto cosi’delicato. Ma so che sei stata, anzi SEI, (semel magister, semper magister, credo si dica cosi’) un’ottima insegnante.Non solo per le tue doti umane , la tua preparazione meticolosa e la tua (tu si’ che ce l’hai) profonda conoscenza dei meandri della psiche umana, compresa soprattutto quella adolescenziale, ma anche e soprattutto perche’ puoi mettere a frutto guardandole dall’ altra parte della cattedra, le esperienze dolorose che abbiamo vissuto insieme tanti anni fa, in un epoca in cui c’erano studenti che erano ragazzi bravi e buoni, insegnanti pessimi (al limite dello stomachevole) e genitori fragili culturalmente e percio’ in pavida soggezione davanti a costoro. Cio’ che abbiamo sofferto allora io l’ ho metabolizzato realizzandomi in un altro campo, tu, ancora meglio, lo hai potuto porre in atto nello stesso contesto, conoscendone tutte le insidie e, pur in un epoca e a contatto con una generazione piu’ sfrontata(sia ragazzi che genitori) ti sei dedicata a salvare giovani menti dal male cui siamo stati esposti noi. So che stai chiudendo con onore la tua bella avventura e che guardandoti indietro non potrai provare altro che compiacimento, pero’in fondo in fondo credo che un po’ti sentirai, (come me d’altra parte quando sara’il mio turno),all’atto di allontanarti dalla scuola, un po’ come il tenente Drago del romanzo di Buzzati, che si lascia malinconicamente la fortezza dietro le spalle proprio quando finalmente l’orda dei Tartari si profila all’orizzonte. Si’, e’vwro, noi a differenza di lui i nostri Tartari li abbiamo affrontati e riaffrontati per quarant’anni, ma quando si svolge una missione del genere, come si fa a dire bruscamente BASTA?
DON CARLOS DUCA DE GUAYALOR