Roma, 03 marzo 2020. ”Nardino non ha fornito, in positivo, dimostrazione alcuna della positiva evoluzione della sua personalità né, tantomeno, del suo distacco da una compagine criminale che non risulta essere, medio tempore, venuta meno nella sua consistenza obiettiva ed operatività (..)”.
Con recente sentenza, la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto da Vincenzo Pietro Nardino, nato a San Severo il 03/04/1987, contro un’ordinanza del luglio 2019 del Tribunale della Libertà di Bari che ha rigettato la richiesta presentata, nell’interesse dell’uomo, contro “l’ordinanza applicativa della misura cautelare della custodia in carcere, emessa nei suoi confronti dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bari in relazione ai reati di cui agli artt. 73, 74 e 80 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, e 416-bis cod. pen.” (l’uomo è stato interessato dall’operazione “Ares” della P.S. nel giugno 2019)
“Il procedimento penale nell’ambito del quale è stata emessa l’ordinanza impugnata ha ad oggetto l’attività di due associazioni mafiose e di altrettante associazioni finalizzate al traffico di sostanze stupefacenti, stanziate sul territorio di San Severo e facenti capo, rispettivamente, a Franco Nardino, padre di Vincenzo Pietro, e Giuseppe Vincenzo La Piccirella“.
Vincenzo Pietro Nardino (detto “Enzo”, ndr) – osserva la Cassazione nella sentenza – “risponde della militanza nei due sodalizi guidati dal genitore e di concorso in alcuni reati-fine del sodalizio ex art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309”. “Essendo stata proposta richiesta ex art. 309 cod. proc. pen. con esclusivo riferimento al tema delle esigenze cautelari, il Tribunale del riesame ha ritenuto l’insussistenza di elementi tali da superare le presunzioni di sussistenza delle esigenze cautelari e di esclusiva adeguatezza della custodia cautelare in carcere (..) in presenza di gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato di associazione mafiosa. Ha, in proposito, rilevato che Nardino, già condannato per reati in materia di droga ed armi e coinvolto in ulteriori procedimenti penali, è indicato dal collaboratore di giustizia Carmine Palumbo come soggetto stabilmente dedito al commercio di droghe di vario tipo e che non risulta in alcun modo il suo distacco dagli ambienti criminali di riferimento”.
Il citato Vincenzo Pietro Nardino aveva proposto, con l’assistenza del legale, ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, con il quale deduce violazione di legge sostanziale e processuale e vizio di motivazione per avere il Tribunale del riesame omesso di considerare l’assenza di esigenze cautelari concrete ed attuali. Ha, in proposito, posto l’accento sull’epoca delle condotte contestate, commesse tra il dicembre del 2015 ed il giugno dell’anno successivo, e sulla modesta caratura criminale del giovane, la cui unica condanna attiene a fatti verificati nel lontano 2007. “Le residue esigenze cautelari – ha sostenuto l’uomo nel ricorso – ben potrebbero essere soddisfatte attraverso l’applicazione di misura meno afflittiva rispetto a quella di massimo rigore e che altra autorità giudiziaria ha ritenuto, in relazione ad autonoma contestazione (..) l’insussistenza di esigenze cautelari in ragione del tempo decorso dalla commissione dei fatti“.