Saranno anni che nessuno ne parla. Ed il bosco soggiace sotto cumuli di indecente silenzio. Il paleoalveo del Cervaro, naturale cassonetto di buste in plastica e strani contenitori metallici di inenarrabile grandezza. Qualche metro, giusto di fianco alle prime strutture della baraccopoli commerciale sacra, una svolta a destra con lo sguardo che corre verso Foggia, nel verde di una pianura senza fine, poi, di getto, come una macchia nera d’inchiostro sul bianco celibe del foglio in carta, il mostro. L’eco mostro. L’eco ribrezzo.
IN PRECEDENZA PREDISPOSTE DELLE TELECAMERE PER CAPTARE IL PERICOLO DI FIAMME: COSA E’ RIMASTO – Sedie in plastica e pietre ne hanno sfondato tutti i vetri. Le vetrate sono aperte. E, anche quelle, ridotte a scheletri modesti di una corporeità inesistente. E se è ancora possibile dedurne gli ambienti, le aree di osservazione, i bagni, la reception, d’altronde è chiaro come il giorno che non avrebbe mai funzionato la totalità del progetto. In primis: troppe scale. Ce ne sono a decine, alcune alte ed inadatte alle famiglie, donne incinte e bambini. In secundis, per la totale mancanza di sensibilità ambientale mostrata dalle istituzioni pubbliche, sempre pronte a sposare la causa del dio denaro in barba alla vera forza dauna: il paesaggio. Giusto accanto, svetta, argentea come un obelisco tecnologizzato, un’antenna altissima. Anche questa strana scala verso il cielo (alta per lo meno 5 metri) ha perso la sua originaria funzione. Avrebbe dovuto fare da grande fratello contro possibili incendi. Dal Centro Naturalistico Dauno confermano che, lassù, erano state predisposte telecamere con complessi sistemi di infrarossi capaci di captare immediatamente il pericolo fiamme. Alziamo gli occhi al cielo. Di telecamere non v’è traccia. Sono state destinate un po’ più verso la città, in posizione utile per giovare appena di più alla collettività umana. Ed oggi sono alla scuola Pacinotti del Capoluogo.
300 ETTARI BOSCHIVI ABBRACCIATI DA 400 DI CAMPI COMUNALI – Il Parco, benedetto a gran voce come la nuova fonte del Terzo millennio, è abbandonato a se stesso. Occorre un rimboschimento che non ci sarà, probabilmente, mai. Eppure sì che, da Corso Garibaldi, le possibilità per metter mano ad un progetto organico vi sarebbero anche. I 300 ettari boschivi sono abbracciati da 400 ettari di campi comunali. Tutti coltivati e tutti, identicamente, misteriosamente affidati nella mani di chissà quali figuri. C’è chi racconta che, non più tardi di qualche anno addietro, un guardiano dal ruolo in effetti indefinito, impedì a tecnici dell’Unione Europea di verificare le condizioni dei terreni. Val la pena di ricordarlo, pubblici.
FOCUS, L’INTERVISTA – VINCENZO RIZZI (CSN): “SALVARE IL PARCO ? NON VOGLIONO”
(ride) Risposta ovvia, ma evidentemente mai abbastanza: non solo non è normale, ma non è neppure legale.
E allora?
E allora non riusciamo neppure noi a capacitarci. Leggendo le carte del 2004, quando il Comitato Via della Regione Puglia bocciò la proposta di installare lì quel tipo di azienda con motivi tutt’altro che aleatori, e quelle del 2007, ovvero quando lo stesso Ente dette, di fatto, il placet, c’è da rimanere sconvolti.
Perché, in tre anni, di fatto…
…di fatto in tre anni non è cambiata la missione dell’azienda. Nella delibera del Settore Ambiente si parla di interventi possibili soltanto se rivolti alla difesa di quelle zone.
Estrarre ghiaia non lo è.
No di certo. Anzi. Ammettiamo anche che non ci sia il prelevamento della ghiaia dagli argini naturali. Comunque, la ghiaia va lavata, un passaggio esiziale per il fiume Cervaro. Lavando la ghiaia, in effetti, si crea una vera e propria melma. Una fanghiglia che si deposita sul fondo, non solo alterando l’alveo. Ma, soprattutto, incidendo in maniera irrimediabile sulle forme di vita presenti mediante una drastica riduzione dell’ossigeno.
Comunque, in ogni caso, la ghiaia viene presa nei dintorni?
Ovvio. Però immaginate un terreno con tante buche. Che attrattiva ha? La stessa di un cimitero di notte.
E allora come si recuperano questi errori?
Restituendo le chiavi degli spazi urbani (e questi sono spazi urbani) alla cittadinanza. Quei buchi, esempio, potrebbero essere riempiti con acqua di modo da originare dei laghetti.
Chi fa resistenza ad una cosa così ovvia?
Chi lo gestisce.
Il Comune? Con che fine?
Guardi, meglio non saperlo, probabilmente per paura di distribuire incarichi con il timore di dover sborsare soldi. Invece noi, come Centro Naturalistico, proponemmo una serie di progetti tutti a costo zero, senza impatto sulle casse di Palazzo di Città. Ovvero, intercettando fondi regionali ed europei. Il Sindaco Gianni Mongelli aveva inserito il recupero del Parco nella sua agenda. Ed invece, ci troviamo di fronte ad una gestione fantasma. Con la conseguenza che, al di là degli obbrobri prodotti, molta gente si sente legittimata ad usare il Parco come proprio terreno. Tanti ci vanno per cogliere funghi e per far legna. Cosa, per inciso, vietata dalla legge.
Rizzi, sia sincero: mancano i soldi o la volontà politica?
Entrambi. Abbiamo chiesto anche un tavolo tecnico Comune – Regione per ottenere un’accelerazione per la gestione del bosco. Ovviamente, non si è mai svolto.
p.ferrante@statoquotidiano.it