Meolo (VE), 3 ottobre 2022 – Negli ultimi secoli aC e prima dell’espansione romana, nelle terre dei Lupi, Daunia con Irpinia e Lucania, da sempre intersecata dalle greggi, la primaverile ‘mena delle pecore’, locuzione questa in uso dopo il Mille tra l’età aragonese e napoleonica, che poi si sarebbe certificata in “transumanza”, era inalveata lungo gli appositi tratturi osservando il Ver Sacrum, la Primavera Sacra, rito pastorale di origine sabina.
La pratica di Menare, cioè condurre, viene dal tardo latino ‘Minare’ che vale spingere mentre Transumanza è con il prefisso dal latino ‘Trans’ che vale attraverso e ‘Humus’ terra ma l’italiano ha ricalcato il gallico ‘Transhumance’ verosimilmente a seguito delle campagne francesi nel meridione.
“Terre dei lupi” poiché il nome Daunia, da parte messapica, Daunus si legge Lupo dal biotopo di questi animali sui monti, ma ‘lupi’ erano ancora i contigui Irpini e Lucani da tema osco Hirpus e greco Lykos.
Il popolo osco di origine preromana era stanziato inizialmente in Campania, le cui presenza e lingua si estesero in ampia area geografica.
La Primavera Sacra era preannunciata da una cerimonia sacrificale rischiarata di religiosità per Tefer, il dio custode dell’agricoltura e delle colonie, pertanto spirito dei belligeranti a difesa di queste, in tempo di guerra.
Dopo la liturgia, gli ovini erano tratti nei pascoli guidati dall’allegoria di un totem quali il toro per i Sanniti, il lupo per gli Irpini, Lucani e verosimilmente per Dauni, il cervo per i Frentani, questi popolo di lingua osca stanziati tra il Sangro e il Fortore, l’orso per i Marsi, questi di lingua osco-umbra occupanti l’odierno Abruzzo in area lacustre del Fucino, il picchio per i Piceni, questi nelle attuali Marche e parzialmente nell’Abruzzo; totem che identificavano la pertinenza tribale e che rappresentavano gli animali che erano stati offerti in sacrificio per buoni auspici.
Per i Dauni occorre una breve chiarificazione: il significato di “lupo “pare attestatosi in ambito indoeuropeo attraverso il frigio “daos” ma ci sono studiosi che invece lo attestano dal greco “sciacallo”.
Molto però concorre all’etimologia che Daunos sia, invece, l’equivalente del dio latino Faunos, il dio lupo, poiché i gruppi radicali indoeuropei quali “bh-dh” nella loro evoluzione linguistica ricompaiono in consonante fricativa “f” vedi Bhlos in Flos “fiore” e Dhermo in Firmus “fermo”.
La traduzione in Primavera sacra sarebbe sorta a seguito delle liturgie di sacrificare uno dei figli che sarebbero nati nella primavera successiva, o tutti come da alcune fonti, per rabbonire gli dèi dopo tragici eventi, quali invasioni, pestilenze e disastri naturali; una fosca eredità, per cui i primogeniti erano immolati a Tefer per rabbonirlo nei tempi particolarmente perigliosi.
Una lugubre pratica che, semmai si voglia dare credibilità alle pagine del romanzo ‘Mal’aria’ di Eraldo Baldini, si sarebbe sporta dalle superstizioni sin nei primi decenni del XX secolo, tra le paludi del ravennate e venete, dove si racconta di bambini infettati dalla malaria fatti annegare per rimuoverne la iattura.
Tale pratica infanticida del Ver Sacrum sarebbe cessata merito di un ripensamento sociale e venne sostituita obbligando quei figli, in età giovanile, a una sorta di esilio poiché avrebbero dovuto stanziarsi in lontane terre dove far nascere una nuova città e tale fenomeno aveva assunto la denominazione di “Verme sacro”, che oggi ci dona l’immaginativa figura di un’armonica teoria umana che si sperde all’orizzonte.
Il Ver Sacrum, così, si svolse, inoltre, nel significato di ‘sorgente sacra” a indicare il fenomeno emigratorio donde sarebbero scaturite nuove patrie.
Dopo le celebrazioni del Ver Sacrum, quindi, figli più grandi raccattavano i totem delle tribù e svanivano in cerca di terre.
Per inciso, l’espressione Ver Sacrum è stata scelta per assegnare il titolo metaforico alla rivista, in ambito artistico, concernente la Secessione Viennese fondata da Gustav Klimt nel 1898.
La dea che, di là dei rituali orditi dalla casta sacerdotale, sarebbe stata considerata dal popolo quale portatrice della Primavera, era la magnanima Feronia, la cui devozione era estesa nei territori italici e che sarebbe stata associata o omologata nella dea Cerere – in osco Kerri – anche questa italica, ben adottata dai romani in Ceres, dea tutelare dei raccolti e delle nascite.
La dea Feronia fu esportata dai Marsi, il popolo insediato laddove, oggi indicata, appunto, con Marsica, il cui dio osco della guerra Mamers sarebbe stato omologato nella divinità romana Marte.
C’era ancora Tellus con-venerata tra i Marsi, dea della Terra, che avrebbe dato l’avvio linguistico per voci quali Tellurio, Tellurico.
Per un secondo inciso, i fedeli di Mamers, detti Mamertini, giocarono un ruolo da guerrieri mercenari arruolandosi nelle file del tiranno siracusano Agatocle, occupando e impossessandosi della città di Messina nel 2899 aC; parteciparono alla prima guerra punica nel 264-241 aC, che avevano essi stessi attizzata, facendo accorrere la repubblica di Roma, sventolando il pericolo egemonico dei cartaginesi.
Avanti all’intrusione italica degli osco-umbri (sabellici)-lucani, allo stanziamento della Megale Hellas, la Magna Grecia, e alla suddivisione apula in Daunia, Peucezia e Messapia, si erano avvicendati nel V secolo aC gli italioti Ausoni, i mitici discendenti di Ausone, l’adulterino di Ulisse e Calipso, stabilitisi dal Lazio allo stretto messinese, successivamente scalzati dagli Iapigi in Puglia, poi gli Enotri, spandendosi dalla Lucania verso la Campania, Basilicata e Calabria, periti coltivatori delle viti, eponimo Enotro sbarcato dall’Arcadia un paio di generazioni alla guerra iliaca (da qui il prefisso -eno per “vino” dal greco oinos), infine, gli Japigi, di ramo illirico con i Peuceti, mille anni aC, dal Gargano e lungo la costa adriatica pugliese.
Popoli che avevano via via indotto i nomi di Ausonia, Enotria e Japigia nella quale si evidenziava la Daunia.
Il coronimo Ausonia, in un tempo e ancora poeticamente in greco e latino nei secoli, per l’estesa area geografica che occupava, sarebbe stato identificato con la penisola italica.
Tutti, nello stivale, tentarono nei secoli di serbare l’indipendenza, ma dovettero assuefarsi alle novità delle nuove genti e per finire nella mappa unificata romano-latina.