Manfredonia (Fg), 3 ottobre 2022 – Francesco ha incontrato Dio nel crocifisso di S. Damiano, ma non ancora lo ha incontrato nei crocifissi della storia, quelli che, in ogni temo e in ogni epoca, si trovano per strada. Ha incontrato l’uomo della croce ma non la croce dell’uomo. Se diventi fratello delle cose naturali rischi di cadere in uno sterile romanticismo. In un misticismo velato di egoismo, che sa più di fuga che di impegno. La fraternità universale con le altre creature, per completarsi, deve fare i conti con la fraternità più difficile c complicata da vivere, quella scritta sui volti degli altri: è la fraternità sociale. Francesco ha sperimentato la trascendenza verticale, ora deve sperimentare la trascendenza orizzontale.
E, allora, ecco un episodio che ancor più gli cambia la vita in modo davvero radicale: l’incontro con il lebbroso. E’ Francesco stesso che ce lo racconta: “Il Signore dette a me, frate Francesco, d’incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza d’animo e di corpo. E di poi, stetti un poco e uscii dal mondo”. (Testamento di san Francesco, n. 110).
Francesco qui deve vivere una seconda spoliazione per donarsi fino in fondo. Non c’è, infatti, fede senza carità. donazione senza condivisione e non c’è condivisine senza spoliazione, per immedesimarsi nell’altro. E’ facile spogliarsi davanti a Dio, difficile è farlo davanti ai fratelli, specie se ripugnanti. E’ facile donarsi a Dio, difficile è farlo agli altri.
In questo gesto, Francesco, alla povertà deve unire tutta la sua umiltà: amare il lebbroso da lebbroso Non per pietismo, restando sul piedistallo della sua levatura spirituale. Non lo ama dall’alto. Deve scendere. Ancora scendere. Abbassarsi. Svuotarsi. In amore, bisogna scendere dai propri piedistalli per poter incontrare l’altro nella sua reale e personale condizione.
In quel lebbroso, Francesco vede se stesso. Quel lebbroso gli ricorda come era lui prima della conversione, e come il buon Dio si è preso cura di lui. Come su di lui si è chinato per guarirlo da una lebbra ben più grave: l’idolatria e il vuoto esistenziale. Non può non amare un lebbroso chi a suo tempo è stato lebbroso! E Francesco lo è stato. Ma ora è guarito. E quindi vuole guarire. E’ stato mandata a riparare e costruire, a curare e sollevare.
Tutti noi abbiamo una lebbra da cui farci guarire e una lebbra che a nostra volta tocca a noi guarire! Bisogna avere l’umiltà per riconoscere la prima e una grande disponibilità d’animo per realizzare la seconda. Solo così si guarisce dalla lebbra più terribile: quella dell’egoismo e del narcisismo.
L’amore che diamo – dice la moderna psicologia – è l’amore che riceviamo. Non si può amare se non si è stati amati, dice E. Fromm, e prima di lui il Vangelo. E se questo amore ci ha liberati e guariti, allora questo amore mette radici e comincia a scoppiarci dentro. Comincia a crescere e a diventare contagioso. Non vogliamo tenerlo solo per noi, ma sentiamo un forte impulso a donarlo. E così. l’amore ricevuto a sua volta si fa dono. Da rivoluzione interiore si trasforma in rivoluzione esteriore. Questo, per Francesco, significa che ogni rivoluzione sociale presuppone una profonda rivoluzione spirituale.
Ecco l’esperienza di Francesco: ha imparato ad amare ciò che è difficile amare. Passa dall’esperienza in cui è stato lui ad essere amato a quella dove ora è lui ad amare.
Qui l’imitazione del crocifisso raggiunge il suo apice. Lo si coglie nel racconto che ne fa Tommaso da Celano: “Poi, come vero amante della umiltà perfetta, il Santo si reca tra i lebbrosi e vive con essi, per servirli in ogni necessità per amor di Dio. Lava i loro corpi in decomposizione e ne cura le piaghe virulente. La vista dei lebbrosi gli era prima così insopportabile, che non appena scorgeva a due miglia di distanza i loro ricoveri, si turava il naso con le mani. Ma ecco quanto avvenne: nel tempo in cui aveva già cominciato, per grazia e virtù dell’Altissimo, ad avere pensieri santi e salutari, mentre viveva ancora nel mondo, un giorno gli si parò innanzi un lebbroso: fece violenza a se stesso, gli si avvicinò e lo baciò” (Tommaso da Celano, Vita prima di San Francesco d’Assisi, nn. 348-349).
Insomma, non è Francesco che salva il lebbroso, ma viceversa, è il lebbroso che salva Francesco. E il lebbroso è Cristo stesso. Quell’uomo dei dolori che, morendo sulla croce, ha inchiodato ogni forma di violenza e di odio, di egoismo sociale e di inutile rivalità. Ha visto bene De Andrè che nella sua famosa canzone “Il testamento di Tito”, conclude con queste parole: “Io nel vedere quest’uomo che muore/Madre, io provo dolore/Nella pietà che non cede al rancore/Madre, ho imparato l’amore”.
Francesco ha imparato l’amore dal dolore: prima dal suo, poi da quello delle cose. Poi perfino dal dolore di Dio, che nella croce del Figlio ha condiviso il nostro. In seguito, nel dolore del lebbroso, perché se umano è diventato il dolore divino, divino è ogni dolore umano.
Nel Vangelo c’è un passo che sintetizza tutto il percorso esistenziale e spirituale di San Francesco, il poverello di Assisi, il quale dopo averlo ascoltato ha fatto la sua scelta radicale una volta per sempre. Questo passo è: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà. Infatti quale vantaggio c’è che un uomo guadagni il mondo intero e perda la propria vita? Che cosa potrebbe dare un uomo in cambio della propria vita?” (Mc 8,34-36).
Lo possiamo intendere nel modo seguente: “Chi non prende il suo dolore per trasformarlo in amore non è degno non solo di me, ma non è degno neanche di sé. Di ciò che io gli ho dato: la ragione e il cuore, la libertà e il coraggio. Chi non si dona, perde se stesso e ciò che ha ed è. Chi invece si dona, tutto ciò che perde lo ritrova, non in sé, ma in colui al quale si è donato. Perché se vi ho fatti io, sappiate che vi ho fatti l’uno per l’altro”.
Se la fede ci attesta che siamo stati fatti-creati da Dio e per Dio, l’amore ci dice che siamo stati fatti-creati per gli altri e con gli altri! Fatti per amare perché fatti dall’Amore!
A cura di Michele Illiceto