Manfredonia (Fg), 4 ottobre 2022 – Francesco, dopo il crocifisso e il lebbroso, a un certo punto incontra Chiara, una giovane ragazza ricca e bella, la quale come lui cerca Dio. Cerca Colui che innalza gli umili e abbassa i potenti, fonte e culmine di ogni amore e Sommo Bene. Lo cerca al femminile, da donna, che da bambina ha sognato, come tutte le sue amiche, di diventare sposa e madre. Solo che lei ha scelto un’altra strada che, guarda caso, ora si incrocia con quella di Francesco. Chiara vuole andare in sposa a Colui che, con la croce, ha sposato tutti e tutto. Anche lei vuole essere madre, per generare non tanto nella carne, quanto piuttosto nello spirito.
Francesco la incontra e ne rimane affascinato, perché vede in lei quella grazia e quella bellezza che ha appena trovato in Dio. D’altronde, come ha scritto lo storico francese G. Duby, il XII secolo “è il secolo della dominanza femminile”, e anche Francesco vi ci si deve confrontare. Ma ancor più è Chiara a rimanere affascinata da Francesco che ai suoi occhi gli appare come colui che incarna meglio di tutti l’amore che ella nutre per l’unico e vero sposo: il Cristo povero e umile di cuore.
Francesco e Chiara, due anime nude non intenzionate a conquistarsi, ma sempre pronte ad ospitarsi. Ambedue innamorati del vangelo, nel quale vedono la via per realizzare la più alta forma di libertà. Sono legati da un’amicizia spirituale che è molto di più che un semplice amore sponsale, dove il maschile e il femminile vengono coniugati non più come semplici polarità psico-sessuali da colmare in una reciprocità puramente umana, ma come due condizioni spirituali da unire in una nuova forma di complementarietà che ha il sapore della fraternità e della sorellanza.
Ambedue scoprono che la fede non ha nulla a che fare con la paura o con i bisogni di sicurezza, ma solo con l’amore che si fa dono nel gesto di totale spoliazione della croce. Non è alienazione ma vera e propria liberazione ed esplosione del cuore. La fede è scoprirsi amati da un Amore che supera ogni nostra aspettativa, ogni nostra visione. Scoprono che l’amore non è prestazione ma vocazione.
Francesco e Chiara si scoprono ambedue cercanti e mendicanti dell’unico e medesimo Assoluto. Cercanti e cercati, sono tutti e due consapevoli che nessuno può offrire all’altro ciò che solo Dio è in grado di dare. E cominciano a donarsi ciò che hanno trovato: ognuno dona all’altro quel Dio da cui è stato amato. Non hanno null’altro da donarsi se non quel Dio che, spiazzandoli, a loro si è donato per primo. Chi trova l’Amore, trova Dio e viceversa. E chi trova questo Amore, diventa egli stesso amore, dando tutto, perché è un amore che chiede tutto.
Ma noi siamo fatti di carne. E la carne vuole il suo spazio. Ha le sue passioni. Solo che Francesco e Chiara si sono talmente spogliati di tutto, che la loro carne incontra il punto zero della propria origine. Si rendono conto che essa esprime all’esterno un desiderio la cui radice si trova solo all’interno, nel più profondo della loro anima, perché ora sanno che la carne ha una radice spirituale. E che le passioni non vanno represse, ma trasfigurate e riaccese. Non vanno soffocate, ma convertite e orientate verso Colui che di esse è la radice e l’autore. Perché, come ha detto in un suo bel libro E. Ronchi, “la santità non consiste in una passione spenta, ma in una passione convertita. Perché Dio è assente dove è assente il cuore”.
Francesco e Chiara interiorizzano il corpo e con esso la stessa carne, e scoprono che, come dice il salmo 62, anch’essa anela a Dio. E’ una carne fragile che si porta dentro una ferita che solo l’amore può guarire, perché se la sete della carne è di natura spirituale, allora nulla di carnale ormai può bastarle. Perché, come ci ha ricordato il filosofo Levinas, il corpo comincia dal volto, luogo dove nell’umano si nascondono le tracce del divino. Chi perde il proprio volto – su cui è scritta la grammatica della propria dignità – perde anche il proprio corpo.
A noi, abitanti del postmoderno, che viviamo in una società di corpi-senza-volto, questa esperienza ci manca molto. Che fine hanno fatto oggi i corpi? Che fine fanno i corpi senza i volti? Vengono mercificati. Smontati e fatti a pezzi. Oggettivati e reificati. Scambiati e venduti sui tanti mercati dei sentimenti e degli affetti. Vilipesi e offesi, sono ridotte a pure facce o peggio a pure maschere.
Per Francesco e Chiara siamo volti che rendono visibili le nostre anime invisibili, le quali si elevano con il pensiero e con il cuore verso un Assoluto di cui siamo immagine e che abita nella parte spirituale di noi. Qui nessuno può entrare se non incontra Lui. Essa è più intima di noi a noi. Talmente intima che neanche noi ce ne accorgiamo, fin quando non incontriamo Lui, che in noi la risveglia e la riapre, rendendola di nuovo accessibile come mai è successo prima. Qui avvengono delle nozze mistiche che nessun amore può pareggiare. Qui ogni amore umano viene superato per essere trasfigurato. Qui non incontro un amore qualsiasi, ma l’Amore. Qui non si ama qualcuno, ma si ama l’Amore stesso.
E’ questa la castità: non interruzione-sospensione della sessualità, ma suo compimento. Una vertigine che la carne prova quando riesce a sprofondare nella sua radice spirituale. Essa non riguarda il corpo o la sessualità, ma il cuore, dove i sensi, come diceva D. M. Turoldo, diventano “divine tastiere”.
A chi oggi, prigioniero dell’edonismo, a sua volta figlio di un materialismo volgare, si vede coi soli occhi della carne, Francesco e Chiara insegnano ad elevarsi, per cominciare a vedersi con occhi spirituali, che non appartengono solo al credente, ma a chiunque cerca il bene e la bellezza, a chi lotta per la giustizia e per la pace. A chi scopre che non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce da quell’Amore che nessuno può contenere.
Francesco e Chiara si guardano senza sentire il bisogno di toccarsi, perché lo sguardo di ambedue è rivolto altrove. Si accarezzano con gli occhi solo per sfiorarsi, senza ferirsi, perché ambedue portano nel proprio corpo le stimmate di un amore puro, sconfinato e indicibile. Si attraversano senza mai violarsi. L’uno custode della sete altrui.
Ambedue stanno sulla soglia del corpo altrui, come si sta di fronte alla porta di un luogo sacro. Ambedue, abitati da un ospite sconosciuto, tolti i sandali, scalzi, entrano insieme nel tempio di Madonna Povertà, per mendicare insieme l’unico e vero Amore, quello dell’Altissimo, senza il quale non vi è alcuna ricchezza. Si guardano senza desiderarsi, per non trasformare l’altro in un oggetto volto a colmare una propria mancanza.
Si accolgono in un amore nulla prende e nulla toglie. Si guardano senza possedersi, ma soltanto rispondendo “Eccomi”. Senza nulla avere, per essere insieme molto più di ciò che ci si può dare. Francesco e Chiara amano senza trattenere. Liberano ciò che amano da ogni forma di bisogno e di legame. Lo lasciano andare, per lasciarsi condurre, sapendo che nulla a loro appartiene. Nessuno è suo, per questo nessuno può fare proprio l’altro.
Il loro amore umano, da “possessivo” è diventato “oblativo”. Eros è diventato Agape. Ecco perché la carne non basta più. E’ incapace e impotente per veicolare la forza di un amore che ormai è solo spirituale. La carne tace e cede il passo al cuore e all’anima la cui sete è più grande e profonda. Si inchina di fronte al mistero da cui è chiamata, provocata, assunta. Si lascia trascendere senza più nulla pretendere. Non è avida. Ha rinunciato a tutto ciò che la tiene incatenata. E’ stata liberata. Solo ora può sbocciare. Compiersi.
Il corpo si trasforma in tempio. Non è una prigione o una tomba, come volevano alcuni filosofi antichi, ma è un luogo sacro che custodisce una perla preziosa. Un vaso di creta che porta in serbo un tesoro che non va sprecato, ma custodito.
Francesco e Chiara conoscono bene un passo del Cantico dei Cantici che dice: “Forte come la morte è l’amore, tenace come gli inferi è la passione: le sue vampe sono vampe di fuoco, una fiamma del Signore! Le grandi acque non possono spegnere l’amore né i fiumi travolgerlo” (Ct 8.6-7). Non si mancano a vicenda, perché ormai a ciascuno manca solo l’Assoluto, di fronte al quale ognuno cede il passo, per farsi agli occhi dell’altro come una via per raggiungerlo. Prima da soli e poi insieme.
Francesco e Chiara sanno che Dio lo si incontra soltanto attraversando l’umano, per questo non lo saltano, ma lo attraversano e lo trasfigurano. Lo compiono. Lo acquietano. Il loro non è nell’ottica della sponsalità carnale, ma di una sponsalità mistica. Il loro rapporto è paterno e filiale. Infatti, Francesco chiamava Chiara la sua “pianticella” e Chiara chiamava Francesco “il nostro Padre”.
Scoprono che non solo sono stati fatti dall’Amore e per amore, ma ancor più che sono stati fatti, creati, per amare. Per amare Dio e, in Dio amare tutti, perché, come ha detto Bonhoeffer, l’amore è polifonico. Francesco e Chiara non vogliono amare solo qualcuno, ma ogni creatura. Chi non ama, non solo non ha conosciuto Dio, ma è condannato a non conoscere neanche se stesso.
L’attualità di Francesco e Chiara sta nell’aver compreso che l’amore non è solo un’emozione, un sentimento, un qualcosa che risponde a un semplice bisogno fisico o psicologico. Un piacere o un godimento da provare. E’ molto di più. L’amore è qualcosa di divino. E’ il divino in noi. E’ Dio stesso che si appassiona a noi, appassionandoci a Lui. Dio, che fa fiorire l’umano.
Il chè non mi pare assolutamente poco!
(fine della quinta e ultima parte)