LA VIGILIA DI NATALE- Alla vigilia di Natale era consuetudine in loco (lo si fa tuttora in forma minore) consumare il pranzo di mezzogiorno con il baccalà in umido e le pettole, insieme a broccoli lessati con olio, perché si diceva che si doveva digiunare.
La sera della vigilia invece, si preparava e si cenava con la tradizionale zuppa di pesce e crostacei denominata in loco “a Ciambòtte” solitamente con gli spaghetti. Seguiva (come secondo) l’arrosto di angiulle “l’angidde” o di capitoni. C’erano due metodi in loco per arrostire le anguille e i capitoni. Prima di tutto, si sventravano per eliminate le interiora (come si fa tuttora), poi dopo averli bagnati in olio e aceto si infilzavano in spiedini e si mettevano sul fuoco ad arrostire.
Un altro metodo era quello (tuttora in auge) di tagliarli in pezzetti, bagnarli in olio e aceto prima di arrostirli fuori l’uscio di casa o sul balcone della propria abitazione sopra “a furnacèlle” (piccola rostiera con graticola a carbone), utilizzata tuttora in loco.
Era anche usanza, data l’abbondanza di angiulle, che un tempo si pescavano nelle nostre zone paludose, farle fritte e mangiarle con contorno di patate e insalata.
Va ricordato che il capitone è la femmina di questo squisito pesce, mentre l’esemplare maschio, che è più piccolo della femmina, è l’anguilla.
Mi riferivano alcuni anziani pescatori che quando prima di Natale catturavano nelle reti “u gnàcche” (grosso capitone stanziale di mare) le mogli preparavano la succulenta “Ciambòtte” solo con questo gustosissimo pesce.
“U gnàcche” (pesce diventato raro nel nostro Golfo) che molti preferiscono farlo arrostito, prima di cucinarlo viene privato delle interiora, tagliato a pezzi come le anguille, e poi messo sulla graticola ad arrostire.
Dopo cena, sempre alla vigilia di Natale, prima della mezzanotte, molte famiglie andavano in chiesa per partecipare alla celebrazione della nascita di Gesù. Dopo la santa messa, si scambiavano fuori la Chiesa, gli auguri di Natale con parenti e amici, e poi si tornava a casa, per giocare in famiglia a tombola e a carte. Mentre i più piccoli, quelli che resistevano al sonno, giocavano all’oca.
IL PRANZO DI NATALE – Il pranzo di Natale preparato per il mezzogiorno (che si cucina tuttora) era il tradizionale ragù approntato con “i bbrasciole” (involtini di carne di vitello, farciti con formaggio, prezzemolo, aglio e spezie) con le orecchiette. Certamente a tavola non mancava il vino “ndrechese” prodotto dai nostri agricoltori locali. Ricordo che alcuni vignaioli, nel periodo che precedeva il Natale, mettevano in alto sulla porta di casa, un ramo di pino per indicare che si vendeva il vino novello, che tra l’altro andava bevuto in un certo periodo di tempo e non oltre il periodo di Natale.
Dopo il pranzo si gustavano i dolci caserecci e i rosoli preparati sempre in casa. Poi, il più piccolo della famiglia, saliva su una sedia o sul tavolo e leggeva la letterina di auguri di Natale al Papà, messa sotto il piatto del genitore prima del pranzo. Prima del lauto banchetto natalizio, si scambiavano gli auguri in famiglia e i doni di Natale.
Va evidenziato che a Manfredonia c’era anche l’usanza, da parte di molte famiglie di cacciatori, per il pranzo di Natale, di preparare il ragù con la carne di uccelli con le orecchiette per il pranzo del mezzogiorno. La cena della sera del Natale, si mangiava come alla vigilia, la zuppa di pesce con la pasta, poi pesce fritto, bistecche di maiale o di vitello arrostite sopra “a furnacèlle”, poi ancora salumi e tutto quello che si era avanzato del pranzo del mezzogiorno. Dopo cena si giocava a tombola e a carte fino a tarda ora.
A proposito di tombola, i numeri estratti, venivano segnati sulle cartelle con un pezzettino di mandarino sbucciato o con fagiolini. Era usanza a Manfredonia che il giorno di Natale, di prima mattina, gli artigiani, in particolare i barbieri, i sarti e i calzolai si recavano presso le case dei loro clienti per dare gli auguri di Natale. Era altresì tradizione in loco, che il giorno prima di Natale, i proprietari di barche (gli armatori) mandavano a casa dei loro parenti e compari il pescato della notte precedente, mentre gli agricoltori erano soliti donare polli e uova.
Le Clarisse di Santa Chiara di Manfredonia, invece, come da documenti storici tratti dal Cibario (1764-1790) conservato presso l’archivio storico della Curia Arcivescovile, consumavano alla vigilia di Natale pesce in bianco, mentre la sera pesce fritto, ceci, noci e castagne. Per il pranzo di Natale, erano solite mangiare bollito di carne, maccheroni, formaggi, filetto, provole (regalate) e vino. La sera della vigilia di Natale per tradizione accendevano “u cippe” (grosso tronco di legno) che rappresenta la luce per la Nascita di Cristo.
IL PRANZO IL GIORNO DELLA FESTA DI SANTO STEFANO– l giorno di Santo Stefano le massaie sipontine preparavano (lo si fa tuttora) con verdure varie “a menestra verde a bbrode” con sugo approntato con tracche di maiale “i spundatore de maiele” e per gli chi non se lo poteva permettere “pi codeche de purche” (cotiche di maiale). Le verdure solitamente utilizzate per il pranzo di S.Stefano sono: “a cime verde e bianghe” (cavolfiore verde e bianco), “a verze o cappòcce” (cavolo cappuccio), skaròle ricce e longhe” (la scarola riccia e quella lunga), “u fenucchje” (il finocchio), “cecòrje catalògne longhe” (cicoria lunga), “u vrùcchele” (broccolo, cavolfiore), “l’acce” (sedano).
IL PRESEPE IN CASA – In numerose case, prima di Natale, c’era la tradizione di allestire il presepe tradizionale, che veniva costruito con carta roccia, utilizzando il timo che si andava raccogliere “sope u parche” (zona dove è sito l’ospedale civile) e il muschio “u vellute” che cresce copioso nel periodo natalizio tra le piante di fichi d’india. Venivano utilizzati per la costruzione del presepe anche pezzi di legno e di ovatta, mentre la colla veniva preparata con acqua e farina. In alcune case signorili locali invece, era allestito in un angolo della casa permanentemente un presepe con pupi di pregio artistico. Era molto bello quello che era allestito nell’abitazione del barone Cessa (nel palazzo Delli Santi) e quello conservato nel palazzo di proprietà di “Nennélla a cirre” in via Tribuna. Dagli anni ’20, un altro presepe di pregio veniva allestito nella casa del canonico Stola, con pupi in terracotta molto grandi e di qualità, che sono tuttora conservati presso la chiesa di Santa Maria delle Grazie. Altri pupi di pregio, di scuola napoletana, giacenti in cattedrale, sono quelli che portò a Manfredonia negli anni ’30 l’arcivescovo Andrea Cesarano da Amalfi, esposti per alcuni anni nel presepe che veniva allestito nel salone del Seminario. Alcuni statuine del presepe, ricordo che erano malandate e andavano restaurate.
PROVERBI –PREGHIERE E CANTI POPOLARI DEL NATALE– Un antico motivo di Natale tramandato in loco così recita: “Mo vone Natele, mo vone Natele facime li pettele e li cartellette, i nannarille e i cavezungille –Natale pu mosse de ionde e dope Natele facime li conde-Natele pu mosse de ionde e dope Natele facime li conde. A mangè ji vvenute lu goste a paiè ji vvenute la sòste (impazienza, nervosismo). Una tiritera tramandata oralmente così recita:“Uè Madonne uè Madònne ji fegghjete la Madonne –ho fatte nu belle uagnòne ca ce chieme Salvatore-Salvatore ve pe la chese Mamma Mamme damme lu pene”.(oh Madonna- Oh Madonna è partorita la Madonna – ha partorito un bel bambino che si chiama Salvatore…); Un antico detto popolare della tradizione natalizia così recita: “i pèttele ca nge mangene a Natèle nge mangene manghe alla Bbufanje” (le pettole che non si mangiano a Natale non si mangiano nemmeno all’Epifania). Va ricordato che a Manfredonia il giorno di Natale, era per molti affittuari un giorno ricordevole, perché dovevano pagare la terza rata dell’affitto della casa al padrone dell’immobile. Le altre due rate si pagavano il giorno di Pasqua e il 15 di agosto.
“I MBREGNELE” (I dolci natalizi tradizionali di Manfredonia di Natale)- Le notizie relative dolci tradizionali che si approntavano (e si preparano) in loco prima di Natale è possibile trovarle nell’articolo che ho pubblicato su Stato Quotidiano.it – il 7 dicembre 2019.
LA CENA DELLA VIGILIA DI S.SILVESTRO–La cena alla vigilia di S.Silvestro (Capodanno) era a base di lenticchie “i meccule” (ora cucinati con il cotechino o con lo zampone), legumi ritenuti di buon auspicio per l’anno nuovo. La leggenda legata alle lenticchie risale all’antica Roma, quando era consuetudine regalare una borsa di cuoio denominata “Scarsella” che si legava alla cintura piena di lenticchie, con l’augurio che si trasformassero in monete.
A Manfredonia fino agli anni ’60, era consuetudine, accendere i fuochi “i battarije” per strada in alcune zone della Città. Ricordo negli anni ’50, una persona che abitava in Largo dei Baroni Cessa, dove mio padre gestiva una latteria, che ogni anno alla vigilia di Capodanno, allestiva intorno al vecchio lavatoio pubblico una sorta di batteria, che accendeva la sera della vigilia di Capodanno.
Questo signore era un parente della famiglia dei “sparapizze” pirotecnici Gelsomino di Manfredonia.
Tra gli appassionati di fuochi d’artificio, va ricordato Oronzo Attanasio che ogni anno alla vigilia di Capodanno, allestiva una grossa batteria in via Vittorio Veneto, nei pressi della sua abitazione e poi voglio ancora menzionare il commerciante di pesce Camillo De Cristofaro, che aveva anche la grande passione per i fuochi d’artificio che si divertiva ad accendere nella notte di S.Silvestro ed altri.
Purtroppo, fino agli anni ’60, approfittando dell’accensione dei fuochi, c’era il malvezzo da parte di numerosi cittadini di lanciare ogni sorta di oggetto vecchio fuori dalle proprie case e dai balconi dei palazzi, perché si diceva: ”anne nuve vijta nove”(anno nuovo, vita nuova).
“…Alòo uagnì! Votte, votte abbasce…! (si sentiva gridare dalle abitazioni), perché quella notte “tutto diventava lecito”. Ricordo che le strade, la mattina seguente, dopo la notte di S.Silvestro erano intasate di ogni sorta di oggetti.
LA VIGILIA DELL’EPIFANIA (Una notte avvolta nei misteri e nelle superstizioni)-Credenza popolare vuole che la vigila dell’Epifania era l’ultima notte in cui “l’aneme du preatorje” (le anime del purgatorio) girovagavano per la Città e per le case, prima del loro ritorno al cimitero nelle loro tombe, godendo per l’ultima notte della loro libertà iniziata la notte della festa di tutti i Santi. Era consuetudine, che per rifocillare le anime vaganti, nelle case veniva imbandita la tavola per i defunti ponendo una tovaglia bianca, una pagnottella di pane, un bicchiere d’acqua “l’acqua Sande de l’aneme u Priatorje”, una palma benedetta, un coltello e un lumino a olio acceso. Le anime del purgatorio a conclusione del giro per Città e per le case facevano mestamente ritorno al cimitero e mugolando a capo chino “ce ne ievene a reterè” nei loro loculi e pareva che dicessero: “tutte i feste jessere e venessere – ma Pasc’a Bbufaijeue me venesse” (tutte le feste andassero e venissero ma Pasqua Epifania mai venisse).
Sempre alla vigilia dell’Epifania le ragazze nubili in cerca di marito traevano auspici con l’espressione: “Sanda notte e sanda dije –Sanda Pasc’a Bbufanje-famme vedì a sorta mije-me mbressione pe la conde a ogne pèrsone”. Oppure recitando un’altra filastrocca, dando le spalle alla strada dicevano: Befena, Befene, stanotte manneme ‘nzunne chi me vole-meme e m’amasse nu gran segnore…iette fore totte sta fatje (lanciando a conclusione una manciata di orzo). Va ricordato che all’Epifania è l’ultimo giorno che si friggono le pettole. A tal riguardo c’è un antico detto: Alla Bbufanje tutti i feste vanne vije – oppure “alla Bbufanje tutte i pettele vanne vuje, arresponne Sand’Andunje ste angore llu festine muje!, perché il 17 gennaio Festa di S.Antonio Abate inizia il Carnevale.
Conclusioni. Nonostante i tentativi destabilizzanti che imperano nella comunità sipontina, e non solo a Manfredonia, e la terribile pandemia che ci perseguita da un anno, la Festa del Natale conserva ancora intatti alcuni aspetti relativi ai riti religiosi e alle tradizioni popolari tramandati da secoli. I presepi, la religiosità, la gastronomia descrivono un linguaggio che è difficile strappare dalla storia di un popolo. D’altronde “RINNEGARE LE PROPRIE RADICI EQUIVALE A CANCELLARE LA PROPRIA STORIA”.
FOTOGALLERY
Quella foto… troppi pomodori e pochi aromi…