Questa scheda è spoiler-free: nel rispetto del lettore vergine della visione del film verranno isolate, nell’arco della recensione, eventuali rivelazioni critiche di trama (spoiler) su note a piè pagina, oltre a essere indicato, a fine articolo, un livello della presenza di punti sensibili nell’opera il cui svelamento accidentale possa incidere su una sua corretta fruizione.
Titolo originale: The Girl with the Dragon Tattoo
Nazione: Stati Uniti, Svezia, Regno Unito, Germania, Canada
Genere: thriller
MILLENIUM, la trilogia di Stieg Larsson, sbarca a marchio (non esclusivamente) USA con il primo capitolo, The Girl with the Dragon Tattoo, dopo i già noti adattamenti europei del 2009. Alla macchina da presa il poliedrico Fincher, che non si lascia sfuggire un soggetto dalle connotazioni morbosamente dark cercandone una versione personale e più coerente con il romanzo ispiratore.
Sinossi: un giornalista della rivista Millenium viene assoldato da uno dei più anziani membri di una famiglia di imprenditori per indagare sulla scomparsa della nipote, della cui morte ritiene responsabile un non ancora identificato componente del parentado. Per una serie di circostanze, gli si affiancherà una ventiquattrenne problematica dark, esperta informatica e dalle abili doti investigative.
Fincher ritorna a casa, dai tempi di Seven, maneggiando con mano sicura una materia a lui familiare, a suo agio tra indagini, efferati delitti dai connotati religiosi e personaggi dalle vite turbolente. Partendo da un soggetto comodo, si dedica con piacere narcisistico alla cura delle psicologie, naturalmente e soprattutto della protagonista Lisbeth (una convincente Rooney Mara), dall’oscuro e violento passato e dalle tante disfunzioni caratteriali. Il risultato dell’operazione è – neanche a dirlo – un efficace e malsano thriller che, felicemente questa volta, non incede sui dettagli più cruenti – licenza discutibile dell’acclamato Seven -, ma si mantiene sobriamente “poliziesco” e fedele al romanzo di Larsson, centrando il bersaglio senza capi d’accusa.
Rispetto all’originale di Neils Arden Oplev, oltre alla maggiore aderenza al testo (pregio molto relativo), vince su sceneggiatura, direzione e interpreti. La prima è meglio sviluppata rispetto all’opera svedese, più giustificata nei passaggi, nelle dinamiche caratteriali, le evoluzioni dei rapporti, come quelli (an)affettivi di Lisbeth. La regia è di mestiere, solida, decisa e accattivante, nonostante il predecessore del 2009 avesse buoni meriti su questo stesso fronte. Il cast, infine, è più convincente, credibile, ancora una volta con una marcata differenza sulla protagonista, che nel film di Oplev non risultava sempre coerente nelle sue manifestazioni emotive, passando tra stati umorali differenti in modo talvolta non giustificato, nonostante il disegno comportamentale.
Fincher vince, ma non soddisfa.
Non sazia lo stomaco di chi si aspettava da lui un marchio che andasse oltre i colori scuri e le atmosfere malsane – aspetti, come si diceva, tuttavia tenuti fortunatamente sotto controllo. Quel che sembra mancare è proprio la lente del regista, quello stile che non è solo colore ma racconto, una lettura diversa di un frangente, di un momento della trama, anche banale, attraverso il tratto, la sfumatura, che sia nei dialoghi o nella forma estetica. In questa pellicola, dark per struttura, pare assente l’impronta dell’autore, che lo stesso Fincher era stato in grado di conferire persino ad un legal-movie come The Social Network (scheda), in alcune sequenze ai limiti dell’esibizionismo visivo.
Ogni oggetto di questo bell’arredamento è al suo posto ma non in casa Fincher, solo in una sua “seconda residenza” non ancora troppo amata. Gli esiti finiscono, così, per diventare quasi dimenticabili nella sua filmografia, pur non costituendo mai un demerito delle sue abilità. E l’unica traccia di questo interessante regista ci appare nei titoli di testa, intriganti ma non assolutori delle assenze.
Messo alla spalle il raro merito di aver aggiunto un tacca all’esiguo elenco di remake superiori agli originali, si resta in attesa dei successivi due capitoli.
Fincher sarà ancora alla regia.
Valutazione: 7/10
Spoiler: 10/10
AltreVisioni
Mission Impossible – Protocollo Fantasma, B. Bird (2011) – poca sostanza per un entertainment gradevole che si esaurisce nelle trovate tecniche. Sospensione dell’incredulità offesa più volte * 6
Uomini che odiano le donne, N. A. Oplev (2009) – adattamento svedese dell’opera di Larsson. Non sempre curato ma efficace * 6.5
Confessions, T. Nakashima (2010) – ennesimo film orientale di vendetta, un po’ compiaciuto ma fascinoso. Insolito * 6
Dans ma peau, M. de Van (2002) – morboso thriller sull’autolesionismo. Prima parte studiata, seconda vuotamente gore * 5
Cypher, V. Natali (2002) – fantascienza televisiva con un soggetto intrigante. Potabile * 6
In Stato d’osservazione
Hugo Cabret, M. Scorsese (2011) – fantasy 3D per Scorsese. 11 nomination agli Oscar * 3feb
War Horse, S. Spielberg (2011) – * 17feb