Foggia, 05 dicembre 2020. “Sono per l’indissolubilità del matrimonio riuscito e non di quello fallito. Perché è meglio il divorzio delle corna quotidiane, delle botte con l’intervento dei vicini, delle pistolettate, delle coltellate, dell’arsenico nei cannolini. Senza parlare delle conseguenze che tutto questo provoca sui figli”. Così Nino Manfredi negli anni ‘70 alla domanda su cosa preferisse, se l’indissolubilità del matrimonio o il divorzio. E da allora ben cinquant’anni sono passati dalla prima approvazione della legge sull’introduzione del divorzio avvenuta il 1mo dicembre del 1970.
Conosciuta come “Fortuna-Baslini”, dal nome dei due deputati, Loris Fortuna (socialista) e Antonio Baslini (liberale), primi firmatari della legge in questione, la 898/1970 inizialmente non conobbe vita facile: non fu infatti raggiunta subito l’unanimità nell’approvazione della stessa, essendo ad essa contrario il partito di maggioranza relativa in quegli anni. E tuttavia fu approvata grazie al grande schieramento favorevole dei partiti laici: PSI; PSDI; PSIUP; PCI, Repubblicani e partito liberale.
Le forze clericali, non paghe, promossero un referendum abrogativo, nell’intento proprio di far annullare tale legge. E in quello che tra l’altro è ricordato come il primo referendum abrogativo in Italia, tenutosi nel 1974, la maggior parte degli italiani si espresse invece per il mantenimento dell’istituto del divorzio. La norma sancita dalla legge in questione rappresentò da allora non solamente un cambiamento epocale nel modo di intendere il matrimonio in Italia. Essa, in realtà, può dirsi a ragione il simbolo di una fase storica in cui forte era il desiderio di libertà da parte delle donne, quella libertà che non semplicemente si intende come intenzione di poter fare le stesse cose che fanno gli uomini, ma semmai la libertà di poter esprimere se stesse in verità e semplicità E, ancora, la legge sul divorzio può essere vista anche come il richiamo ad un’epoca in cui vivo era l’impegno sociale dei giovani, così tanto animati dal desiderio di conquistare diritti ancora non riconosciuti a tutti, quello all’istruzione come quello al lavoro.
Un cammino cominciato allora e che oggi fa sentire i suoi effetti benefici, come tiene a sottolineare, Antonietta Lelario, professoressa in pensione, una donna che ha sempre messo al primo posto la necessità di capire. “Tutto quello che ho fatto nella mia vita era animato proprio dal bisogno di capire: capire chi ero, capire meglio il mondo in cui vivevo e vivo, meglio chi mi stava vicino. Ma capire attraverso la vita, mia e delle altre donne. Per questo ho fatto tutto con loro, fondando negli anni ’70 i primi collettivi femministi, staccati dai partiti e facendo scelte al femminile. Ho, come tutti, cercato la felicità. E il desiderio di capire mi ha aiutato anche a gestire il dolore“.
Storica presenza attiva nei movimenti femministi a Foggia negli anni Settanta, dunque, oggi la Lelario è parte dell’associazione nata nel 1993, ‘La merlettaia’, impegnata nel sociale e in una serie di iniziative culturali. “Sono passati cinquant’anni da allora, ma sembrano due secoli”, queste le sue parole a Statoquotidiano : “Alla fine degli anni ‘70, con i diversi collettivi femminili, organizzavamo manifestazioni, mostre per spiegare le posizione femminile e una volta, ricordo, a sostegno di una ragazza che aveva ucciso il padre in un quartiere periferico di Foggia, perché era stata da questo stuprata per anni. L’arresto di questa ragazza aveva provocato la mobilitazione di associazioni e scuole e dalle foto che riportano quegli eventi si evidenzia un contrasto fra le giovani manifestanti e la città che oggi non c’è più. Nella città si vedono tracce di arretratezza oggi inimmaginabili”.
Oggi, Foggia, secondo la Lelario, per quanto risulti essere all’ultimo posto in classifica per le condizioni di vivibilità, può comunque vantare la presenza di molte associazioni e realtà belle e dinamiche. Un comitato civico, racconta, ha proposto in occasione del 25 novembre, giornata contro la violenza sulle donne, ad ogni associazione di scegliere una panchina e colorarla di rosso scrivendovi una frase in difesa delle donne. “Bene, hanno partecipato a tale iniziativa una quarantina di associazioni”.
Proprio perché Antonietta Lelario ha conosciuto perfettamente la storia dei movimenti femministi della città sin dagli anni ‘70, questo le consente di notare oggi una particolare vivacità dei movimenti associativi, ma anche un’integrazione tra le persone tale per cui, sostiene, le spinte al rinnovamento non si può più dire che vengano solo da sparuti gruppi, come era in passato, bensì anche da larghe fasce della società foggiana e questo probabilmente proprio grazie a quella rivoluzione femminista, realizzatasi negli anni, che sarebbe stata “l’unica in grado di portare profondi cambiamenti nella società e non solo nel rapporto uomo donna”.
Oggi emerge sempre di più una libertà per la donna che questa si è ormai conquistata e presenta caratteri di radicalità. Basti pensare al fatto che le voci che spingono ad ulteriori cambiamenti nel modo di produrre e pensare all’organizzazione del lavoro in termini di cura vengono dalle donne. Infatti le donne hanno accentuato nel lavoro, nell’insegnamento, nella sanità o nell’assistenza domiciliare la componente relazionale e di attenzione all’altro che prima era sottovalutata. Inoltre, poiché gran parte delle donne oggi lavorano, anche qui al Sud, sempre più si richiede che l’uomo partecipi alla cura della vita familiare e domestica. Questo impone un differente rapporto fra tempo di lavoro e tempo di cura, ma per pensarlo occorre una libertà di pensiero che è prevalentemente femminile. “Per dirla in termini più semplici” suggerisce Antonietta Lelario “le donne sono meno invischiate con i paradigmi della produttività, della concorrenzialità che sono tipici del pensiero maschile”. E l’epoca che si è aperta con la legge per l’introduzione del divorzio sembra proprio aver favorito negli ultimi cinquant’anni una emancipazione della donna su più fronti per la professoressa Lelario.
“Sì, ne sono profondamente convinta. Io userei il termine libertà, però, più che emancipazione. Proprio negli anni in cui si affermava quella legge nacque una forte polemica tra le donne proprio su tale punto: ci si chiedeva se le donne stavano lottando per l’emancipazione e, quindi, per entrare semplicemente nel mondo degli uomini, oppure se stavano lottando per conquistare una maggiore libertà, quella di immaginare un mondo diverso.
I collettivi femministi erano 5 o 6 a Foggia negli anni Settanta ed una frase usata per rappresentare la propria percezione era: tutto il mondo deve cambiare se io devo starci dentro con agio.
La legge sul divorzio rappresenta quindi un momento che svelò la possibilità che le ingiustizie cadessero e aprì la porta a questo irrompere dei desideri e della libertà femminile. E nei cinquant’anni appena trascorsi le donne hanno fatto da apripista in ogni campo: le novità, il meglio, le cose più grandi le hanno immaginate le donne. Anche uomini più attenti, il papa, per esempio, stanno evidenziando questo aspetto”.
Eppure c’è ancora tanto da fare e la condizione della donna risulta essere ancora tutta da riscoprire e valorizzare. Sussistono ancora disuguaglianze economiche tra uomo e donna che emergono soprattutto nel corso di una separazione.
“Questo è un dato” dice Antonietta Lelario che però tiene a precisare: “La lettura che insiste sulle diseguaglianze è una lettura schiacciante per le donne, se ci pensa bene. Sembra dire che tutto quello che abbiamo fatto non è servito a niente, che siamo sempre in una situazione di svantaggio, che il diritto non ci sostiene ancora abbastanza. È vero, le diseguaglianze ci sono ancora, ma fare letture ‘schiaccianti’, insistendo su tutto quello che ancora manca, non serve alle donne. Quello che serve è vedere tutto ciò che di buono e di grande hanno fatto e conquistato quando hanno avuto fiducia in sé, nella propria capacità di prendersele le cose”.
Anche fra donne c’è differenza di vedute. Alcune pensano di riuscire ad aumentare la propria forza enumerando i diritti ancora da conquistare, “come dire che più ci si lamenta, più si spera di avere un riconoscimento della propria persona, ma io preferisco sposare una lettura più rivoluzionaria, com’è quella, per esempio, proposta da Hannah Arendt, che propone la ricerca di un nuovo modo di stare al mondo e di farlo rinascere. Io ho riscoperto nella ricerca di questa libertà un motivo di gioia, entusiasmo e una particolare capacità di riprendere in mano la mia vita, anche nei momenti bui. Io preferisco proporre questa strada, quest’atteggiamento”.