Manfredonia, 05 dicembre 2020. O Signore, quest’anno tutti si stanno chiedendo a che ora farti nascere. Il paradosso è che mentre tutte le autorità ecclesiastiche e i credenti praticanti si sono convinti ad anticipare la Messa di mezzanotte, restano da convincere quelli che a messa ci vanno una volta l’anno e passano il resto del tempo a tifare per l’affondamento delle navi con i migranti. Forse non sanno costoro che per te che sei abituato all’eternità non è affatto un problema stabilire l”ora in cui nascere. E poi tu, com’è tuo solito, ci spiazzi tutti quando nel vangelo, anziché dirci a che ora nascerai, ci dici: “Vegliate, dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora” (Mt 25,13).
E poi Signore, a dire il vero, quest’anno la domanda non è “quando” nascerai, ma “dove” lo farai. Te lo chiedo perché sembra che non ci sia posto per te, in un tempo dove a dominare è lo sconforto e la disperazione, la sofferenza e la morte. Sembra che tu non ci sia o che ti sia dimenticato di noi. E nel tentativo di trovare una risposta ho cominciato a guardarmi intorno. A guardarmi dentro. A indagare per capire. A pormi domande per cercare risposte.
E sai che cosa ti dico? Ti dico che non hai che da scegliere. Anziché non esserci posto per te, proprio di questi tempi di pandemia globale sono tanti i luoghi che fanno per te. Luoghi e situazioni che, come a Betlemme, possono farti da culla. Non ti hanno spaventato i virus di duemila anni fa, figuriamoci ora! E poi, ogni epoca storica ha i propri virus, e tu non hai ma smesso di venire. Non ti sei lasciato spaventare. E questo per il semplice fatto che per te tutto ciò che accade nel tempo e nella storia è sacro. Anche questo nostro tempo, che molti considerano profano, lo è.
Tutto è sacro, perché è stato il dolore a renderlo tale. E laddove vi è un grido di dolore, là ci sei Tu. Perché Tu sei esperto nel soffrire. E non perchè tu ti compiaccia del patire, ma perché chini il capo di fronte a tutto ciò che sembra finire, per assumerlo e trasfigurarlo. Come ha detto il profeta Isaia, a te non piace “spezzare una canna incrinata, né spegnere uno stoppino dalla fiamma smorta” (cfr. Is, 42,3). Tu sei cura e prossimità. “Tu visiti la terra e la disseti e la ricolmi delle sue ricchezze” (Sal 65).
Forse verrai a nascere in un letto di ospedale. In un reparto di terapia intensiva, accanto a tanti corpi non solo malati, ma spogli ed esposti. Corpi intubati tra numerosi macchinari e reparti affollati. No, o Signore, no! Perché tu in quei letti c’eri già. Ci sei sempre stato. Non c’è bisogno di aspettare il Natale e i nostri falsi buonismi per vederti giacere là. Tu c’eri già. E lo sei da sempre. E lo sai sempre. T che sei l’Abbandonato, non abbandoni chi ti abbandona.
Tu ci precedi sempre, e nasci prima che ce ne accorgiamo. Prima che la morte venga. Tu ami nascere negli scarti prodotti dai nostri egoismi, nelle zone rese oscure dal nostro individualismo, per riaccendere speranza, “per portare un lieto annuncio ai poveri, per liberare i prigionieri e ridare la vista ai ciechi, proclamare un anno di grazia” (Lc 4,18-19). Tu squarci i cieli e scendi (Is 63,19), anche se lo fai nascondendoti sotto spoglie che non ci permettono di riconoscerti.
Solo che fino ad ora non ce ne siamo mai accorti, perché non avevamo tempo per queste cose. Non abbiamo mai avuto tempo per te e tempo per i luoghi dimenticati. Per queste periferie esistenziali. Per le ferite che toccavano sempre gli altri. Per gli scarti e le persone rese invisibili dalle logiche economiche oggi dominanti. Per i segreti nascosti delle cose semplici. Perché l’abitudine ci ha resi ciechi, spegnendo in noi lo stupore per la vita e il rispetto per tute le creature.
Abbiamo preferito correre dietro ad altre cose, spesso inutili e dannose. Abbiamo confuso le pozzanghere con le sorgenti, inseguito miti di forza per paura di ammettere la nostra debolezza. E ora, che tocca a noi essere spogliati di tutto, ci accorgiamo che tu eri là. Nascosto nelle pieghe delle cose date per scontato e nelle piaghe di chi non aveva più voce per gridare.
Troppo comodo accorgersene ora! Ora, che il dolore sta toccando anche noi. Perciò, perdona la nostra incapacità di ascoltare e di guardare. Perdonaci se non abbiamo avuto gli occhi giusti per le cose essenziali, se ci è mancata la sobrietà. Perdona i nostri cuori non più di carne ma di pietra, la nostra dura cervice. L’insensibilità e l’indifferenza con le quali con troppa facilità in tante occasioni ci siamo girati dall’altra parte.
Perdonaci se invece che costruire ponti abbiamo costruito muri per proteggere i nostri confini. Perdona il nostro cinismo e il nostro narcisismo. I nostri calcoli e le nostre pretese di avere sempre tutto sotto controllo. I nostri capricci e i nostri eccessi. Le nostre false sicurezze e i nostri idoli che le alimentano. I nostri abusi e il nostro delirio di onnipotenza. Perdonaci se abbiamo fatto pagare sempre agli altri, specie ai più deboli, il prezzo del nostro successo, del nostro benessere e delle nostre scalate sociali. Perdonaci se abbiamo idolatrato l’immagine del nostro ego, minando e depauperando ciò che invece è comune.
Questo virus, che ora ci attanaglia, ha messo in ombra altri virus che da tempo stavano minando i nostri legami sociali. La nostra capacità di saper essere una città e la nostra voglia di comunità. L’idea di un progresso che includesse tutti.
Ma per fortuna nostra, tu non usi con noi quella stessa misura che noi usiamo per misurare gli altri. E io sono certo che, anche se “Tu, ci fai bere lacrime in abbondanza” (Sal 78), nonostante tutto, anche quest’anno Tu verrai e nascerai. Ci sorprenderai e verrai di nuovo. Verrai ora. Si, proprio ora che ci è rimasto poco.
Verrai da povero. Verrai per nascere nel nostro poco, per dare dignità alla nostra povertà. Verrai in quello che ci manca, per dare un senso alle nostre privazioni e riconciliarci con la nostra fragilità. Per farci apprezzare ciò che davvero è essenziale e farci capire che è meglio rinunciare a qualcosa piuttosto che, pur di averlo, lo sottraiamo a chi ne ha più bisogno di noi. Nella comune povertà tu ci indicherai qual è la vera ricchezza. Quella che nessuna malattia e nessuna pandemia potranno mai toglierci.
E tutto questo nella speranza che possiamo cominciare a capire che è arrivato finalmente il tempo della condivisione e della cooperazione. Il tempo di una fraternità universale e di una giustizia globale.
Forse nascerai sui camion militari che, in una fila macabra, hanno trasportato in questi lunghi mesi di pandemia i corpi inermi di tanti nostri amici e parenti falciati dal virus. Ti ho visto, o Signore. Si, anche questa volta tu eri là. Ti ho visto! In quei corpi inermi c’eri tu nel mentre ti portavano al sepolcro. Tu, deposto dalla croce, al pari di chi come te oggi viene di nuovo messo in croce dal dolore, dalla solitudine, dalla disperazione .
Ti ho visto nelle lacrime di chi, impotente, non ha potuto seppellire neanche i propri cari. Nei fiori mancati e nelle parole rimaste mute. Nel deserto di un gesto mancato o nella sete di un abbraccio non dato. Per questo, Tu verrai e nascerai nelle loro speranze. Perchè sarai Tu l’abbraccio che tutti cerchiamo. L’orizzonte entro cui riaccendere i nostri desideri e la voglia di lottare per costruire un futuro che vogliamo far cominciare già da adesso.
Tu verrai a nascere perché so che ami trasformare le tombe in culle. Come quella volta nella stalla di Betlemme, dove, avvolto in fasce, mentre preannunciavi la tua morte, cominciavi a far balenare il progetto rivoluzionario della tua risurrezione. Perché a Natale, per noi cristiani, è già Pasqua. Tu ami sorprenderci proprio mentre stazioniamo nel cuore delle nostre delusioni.
Per questo, Tu nascerai anche quest’anno. E lo farai nascendo dentro di noi. Lo farai per trasformare le nostre strade in culle, la nostra disperazione in un esercizio di resilienza. Per una nuova generazione.
Che sia questa l’occasione buona per seppellire le nostre asce e le nostre armi. I nostri rancori e i nostri conflitti. I nostri arrivismi e i nostri egoismi. I nostri ipocriti propositi di cambiamento, per lasciare spazio a un impegno concreto di interiore metamorfosi. Per tornare, liberi e grati, a reincantare il mondo, e di nuovo intonare il canto della vita. Anche di quella debole di chi è caduto o si è perduto.
Forse vuoi nascere per venire a stanarci dalle nostre paure. Ti nasconderai dietro le mille mascherine che ci siamo messi per proteggerci, ma anche per fuggire. Nascerai per abitare i nostri silenzi. Le nostre sconfitte. I nostri fallimenti. Per spingerci a uscire dai nostri gusci.
Tu, questo Natale, vuoi nascere nelle nostre relazioni ferite, nella distanza che siamo costretti a tenere senza che ci possiamo abbracciare. Vuoi nascere nei nostri sguardi spenti e rassegnati. Sui nostri volti rimossi. Vuoi farti compagno d viaggio delle nostre erranze. Per ridisegnare le mete e ridarci le mappe, grazie alle quali, anche se a vista, possiamo di nuovo tornare a navigare in questo mare tempestoso.
Una cosa è comunque certa. So che, ovunque nascerai, quest’anno verrai senza troppe luci. Senza troppo rumore. Senza troppo frastuono. Nascerai come piace a te: di nascosto e senza troppo clamore. Di notte entrerai nelle nostre notti. Verrai senza incenso, né oro e mirra. Senza cori di angeli. Perché verrai a nascere nel nostro dolore. Nelle nostre solitudini. Nelle nostre paure e nelle nostre incertezze. Tra i nostri dubbi e le nostre angosce. Verrai a nascere nelle nostre morti. E so che verrai scalzo e in punta di piedi. Tra le mura delle nostre città desolate. E vedremo sorgere un stella che “la tenebra potrà solo farla sanguinare, ma non certo oscurare” (G. Ceronetti).
E la carne che prenderai sarà quella di tutti noi, anche di chi non ti ha creduto. Specie di quei corpi nudi nei quali ci hai fatto toccare con mano la nostra fragilità rimossa. Forse lo farai per farci sentire, finalmente dopo tanti tentativi, una carne sola, membri di un’unica e sola grande famiglia umana. Perché questa pandemia, se è vero che ci ha distanziati, almeno una cosa buona forse potrà consegnarci:ci farà sentire più uniti nel mentre viviamo un comune dolore.
E sono certo che anche quest’anno ti spoglierai per entrare nella nostra spoliazione. Per rialzarci. Perché tu non abbandoni mai coloro che ami. Non ci lasci stazionare nei sepolcri che noi stessi ci siamo costruiti. E anche se “Tutto il mondo, davanti a te è come polvere sulla bilancia, come una stilla di rugiada mattutina caduta sulla terra”, ecco che Tu “hai compassione di tutti, perché tutto puoi…Tu ami tutte le cose esistenti e nulla disprezzi di quanto hai creato; perché tutte son tue, Signore, amante della vita” (Sap 11, 22-26).
E se tu nascerai in noi, anche noi nasceremo in te. Nasceremo l’uno all’altro. Nasceremo grazie all’aiuto che ci daremo. E vedendo il modo con il quale tu ci ami, forse cominceremo a farlo anche noi. E allora non sarà Natale solo oggi, ma tutto l’anno. E, come dice una canzone, anche l’anno che verrà! Quell’anno che speriamo di vedere, e che certo tu di nuovo ci donerai.
Grazie solo grazie per queste bellissime parole.
Lo ha spiegato il geniale Crozza in 30 secondi.
Bellissime parole, profonde e carismatiche. Grazie di cuore.
Bellisime parole, profonde e carismatiche. Grazie di cuore.