Foggia, 06 aprile 2021. – “Solidarietà ad Andrea e Alessandro perché la maggior parte di noi sa di che cosa parlano. Sollecitiamo che si riprenda la discussione in Parlamento per l’approvazione del ddl Zan, disegno di legge contro l’omotransfobia bloccato in Senato, perché se non si dà un nome ad un fenomeno, a qualcosa, quel qualcosa non esiste. E perché questo, oltre ad agevolare questioni più pratiche e burocratiche, a livello culturale diventerebbe dimostrazione di esistenza”.
Così, Alice Rizzi, presidente dell’Arcigay di Foggia, sull’episodio di aggressione omofoba avvenuta a Parco San Felice il 3 aprile scorso. Un’aggressione di cui Andrea, giovane trans foggiano ma residente a Bologna dai tempi dell’Università, ed il suo compagno Alessandro, vittime loro malgrado, avevano raccontato i dettagli sulle pagine di FoggiaToday nei giorni scorsi.
Insulti, allusioni di vario genere erano state indirizzate nei confronti dei due, ad opera di un gruppo di spacciatori di quartiere, a seguito del disinteresse mostrato da parte di Alessandro e Andrea verso la proposta di acquistare stupefacenti. Insulti dai toni offensivi che andavano a colpire soprattutto la condizione di omosessualità dei due giovani.
Foggia è ancora indietro nel cammino verso il riconoscimento delle realtà gay?
“Io penso che sia così” le parole di Alice Rizzi a Statoquotidiano “Ma anche che a Foggia sia come in tante altre città italiane riguardo al tema della omotransfobia.
È vero, certamente, che il lavoro da fare sulla nostra città è tantissimo. Esiste una forte invisibilizzazione sull’argomento, cioè si tende a nascondersi e a nascondere la omosessualità, motivo per cui, quando poi delle persone provano a venire fuori, evidententemente si espongono al rischio di atti violenti. Io, infatti, sono grata, in un certo senso, ad Andrea e Alessandro per aver avuto il coraggio di camminare mano nella mano per le vie della città, di non nascondersi, perché più noi non ci nascondiamo e più la città ha modo di abituarsi alla diversità. Perché tutto quello che ci fa paura è quello che non conosciamo. Sono cresciuta in contesti dove non si parlava di omosessualità, come la scuola, ma anche gli altri che si frequentano solitamente da ragazzini per varie attività. E in nessuno di essi ho mai trovato riferimenti al fatto che si possa essere anche omosessuali. C’è un’eteronormatività fortissima in questa città”.
E, allora, come scardinare tutto questo?
“Cominciando ad abituare le persone alla diversità. Avviando percorsi di educazione alla diversità, soprattutto nelle scuole. Fino a quando questo non avverrà, la conseguenza continuerà ad essere quella del verificarsi di episodi di intolleranza come quello che ha visto protagonisti, purtroppo, Andrea e Alessandro”. Ha usato più volte la parola ‘diversità’. C’è chi non condivide che si usi tale parola per parlare degli omosessuali asserendo che la loro dovrebbe essere considerata semplicemente una condizione di ‘normalità’.
“Io spero che si usi sempre la parola diversità. Lo dico a titolo personale.
Penso che si debba cominciare a parlare di più di diversità per fare in modo che la gente abbia meno paura di questa parola. ‘Diverso’ non significa malato, non significa emarginato. Diverso significa diverso. Siamo cioè tutti diversi l’uno dall’altro e, proprio per questo, siamo tutti unici e speciali, ognuno con le proprie caratteristiche. In questi termini, la diversità, secondo me, è qualcosa che arricchisce”.
Crede, dunque, nella necessità di educare le nuove generazioni alla diversità delle persone.
“Certamente. Negli incontri a cui noi della Arcigay partecipiamo nelle scuole io dico sempre ai ragazzi: ‘Prendetevi cura della vostra diversità, amatela. Perché la diversità è una cosa bellissima’. Io sono un po’ contraria alla questione della ‘normalizzazione’ secondo cui tutto dovrebbe essere considerato ‘normale’. Noi siamo tutti diversi. E più diamo valore a questa diversità e meglio è. Quello su cui noi ci dobbiamo concentrare non è l’uguaglianza, ma la parità di diritti che è un’altra cosa. Io amo la mia diversità, però voglio avere pari diritti. Importante, quindi, lasciarci entrare nelle scuole per parlare con i ragazzi di diversità, di Lgbt, ma questo non perché lo dico io, bensì perché ce lo chiedono proprio i ragazzi”.
In cosa consiste l’impegno dell’associazione Arcigay a Foggia?
“Innanzitutto noi ci siamo nelle situazioni di difficoltà, di mancata accettazione nei confronti della omosessualità. Organizziamo, inoltre, eventi per creare occasioni di incontro tra le persone che così possono conoscere la molteplicità delle situazioni umane. Ci siamo sempre per chi ha bisogno. Anche in questo momento pandemico che ha messo a dura proprio il nostro attivismo limitando tantissimo la nostra intenzione di mettere insieme le persone. Chiunque dovesse avere bisogno di raccontare qualcosa, manifestare un disagio, confrontarsi su determinati argomenti, perché si sente confuso o perché ha paura, voglio che sappia che noi ci siamo. E continuiamo a tenere attivo il nostro sportello di ascolto tramite videochiamate su Skype e su Google Meet. Per accedervi basta iscriversi e farne richiesta alla nostra pagina Arcigay sui social Facebook e Instagram”.
Anche la condizione dei genitori di omosessuali non è sempre facile. Ancora numerosi sono i genitori che non accettano di avere un figlio gay e vivono tale condizione come qualcosa da evitare. Importante a tal proposito l’AGeDO, sezione Foggia, Associazione Genitori e amici degli Omosessuali, fondata da Gabriele Scalfarotto nel 2010 e a lui oggi intitolata.
“L’AGeDO è un’associazione preziosissima, nostra gemella con la quale collaboriamo tantissimo quotidianamente. La sezione di Foggia si occupa di progetti nelle scuole lavorando in modo meno visibile. La presidentessa, Rosa Pedale, medico, con Maria Rosaria di Spirito e Antonio Pepe, tra i fondatori dell’AGeDO, fanno un lavoro fondamentale per coloro rispetto ai quali le difficoltà cominciano tra le mura di casa, quelle difficoltà cominciano tra le mura di casa, quelle difficoltà a farsi accettare che ostacolano poi l’accettazione del sé, la consapevolezza del sé.
Il lavoro di ricongiunzione tra genitori e figli, di mediazione agevolando un dialogo in famiglia su questioni legate all’omosessualità, è un lavoro prezioso di cui si occupa l’AGeDO. Quello che fanno questi genitori è molto bello: si incontrano tra loro, si raccontano le loro esperienze, non si sentono giudicati, a volte manifestano la loro difficoltà nell’accettare i percorsi dei propri figli omosessuali, e si aiutano reciprocamente ad affrontare tali difficoltà.
Io, inoltre, sono molto orgogliosa del fatto che anche mia madre è diventata attivista della AGeDO dallo scorso anno e che la sua esperienza possa arricchire quella di altri genitori.
Qual è l’età media delle persone che più chiedono aiuto all’Arcigay?
“In genere, 15-18 anni.
Alcuni ragazzi vengono cacciati di casa quando i genitori ne scoprono l’orientamento omosessuale, altri non riescono a fare coming out perché non si sentono in un ambiente tranquillo nella loro famiglia e ci chiedono come fare per aprirsi con i loro genitori.
La maggior parte dei ragazzi di quell’età ha problemi a fare accettare la propria realtà omosessuale in famiglia. Non hanno problemi di autoaccettazione, perché oggi, in quella fascia di età, si è molto più consapevoli del mondo Lgbt. Hanno invece difficoltà a relazionarsi con il mondo esterno”.
E per quello che riguarda gli adulti omosessuali?
“Le difficoltà, in tali casi, riguardano soprattutto l’accettazione di se stessi, a stare dentro se stessi, ad accettare la fluidità di una identità.
Io, invece, direi: sentiamoci tutti in dovere di accogliere la diversità, non sentiamoci in dovere di proteggerci da essa, sia che si tratti di amici, parenti, figlio o altri. Non è facile, certamente. Il mondo a volte fa paura. Ma vi sono anche tanti colori e tante realtà splendide dietro ogni diversità. E noi di Arcigay siamo qui per agevolare percorsi di ricerca di questo tipo”.
Progetti, attività della Arcigay.
“Il più grande progetto ora è quello di avere una sede fisica, una casa. Non ne abbiamo mai avuta una, se non per un breve periodo in cui ci siamo autotassati. Stiamo lavorando in rete con altre associazioni per provare a realizzare tale progetto, anche per ottenere finanziamenti pubblici. Durante i mesi autunnali abbiamo realizzato un progetto PdcastLgbt con l’Agenzia Nazionale per i giovani. I ragazzi e le ragazze si sono molto divertiti a realizzare questi podcast. Abbiamo, inoltre, fornito pillole formative ed informative anche a distanza”.
Intanto, rimane bloccato in Senato il disegno di legge Zan, approvato alla Camera dei Deputati nel novembre 2020. Un provvedimento che, se approvato, istituirebbe il carcere per chi commette atti di discriminazione fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere o sulla disabilità.