Le attenzioni delle spie dell'Ovra, nell'Italia Democristiana, sul sindacalista Giuseppe Di Vitgtorio (fonte image: asp.gedinfo.com)Foggia – NON era bastata la persecuzione della polizia fascista contro Giuseppe Di Vittorio. Poco importava che il sindacalista cerignolano vivesse dal 1925 in Francia. Le spie dell´Ovra, la polizia politica mussoliniana, avevano occhi anche oltreconfine e la cosmopolita Parigi era terreno facile per lo spionaggio. Le attenzioni fasciste continuarono, sebbene con maggiori difficoltà, anche nel biennio trascorso da Di Vittorio a Mosca, dal 1928 al 1930. Lì, peraltro, nonostante fosse un dirigente comunista internazionale, era guardato perfino dai servizi segreti russi, lo stalinismo non faceva sconti nemmeno ai “compagni”. Però, che il popolare Peppino Di Vittorio, segretario nazionale della Cgil, primo sindacato dei lavoratori, potesse venire pedinato anche nell´Italia democratica e repubblicana “nata dalla Resistenza” è più difficile accettarlo, ma è stato proprio così. Morbose cure poliziesche sono proseguite nei suoi riguardi anche da parte della Democrazia Cristiana. Il passaporto di Di Vittorio era continuamente esposto a provvedimenti particolari: infatti, era prerogativa dei ministri dell´Interno, negli anni Cinquanta, concedere, negare ed eventualmente sequestrare il documento valido per l’espatrio. Sicchè, in pieno 1953, di ritorno da una riunione della federazione mondiale dei sindacati, il pugliese si vide ritirare il passaporto dalla polizia. Bastava rientrare da un Paese dell’Europa comunista per rischiare quel provvedimento, col pieno avallo del Viminale. Le libertà costituzionali subivano il clima della guerra fredda, con conseguenze simili, se non più pesanti, di quello vissuto durante il Ventennio. Lo scontro in atto tra il blocco sovietico e comunista e i paesi che si riconoscevano bei valori dell´Occidente capitanato dagli Usa paralizzava e copriva ogni aspetto addirittura della vita sociale. Nessuno poteva immaginare che quel conflitto epocale, solo parzialmente armato, non avrebbe condotto alla guerra planetaria che si temeva, ma si sarebbe sgonfiato ben prima della fine del secolo.
Renzo Foa, ad esempio, già corrispondente dell’Unità dai paesi del comunismo reale, nel saggio Marsilio “Ho visto morire il comunismo“, 208 pag. 15 euro, illustra lucidamente il progressivo distacco dal partito e dall’ideologia. Il volume raccoglie alcuni scritti che segnano le tappe fondamentali del percorso: le riflessioni sul Vietnam e la Cambogia; gli incontri con Gorbaciov, Dubcek, Jaruzelski; i ritratti di Patrice Lumumba, Ronald Reagan e Karol Wojtyla. Pagine di storia raccontano con rara onestà intellettuale il dramma delle ideologie del Novecento. È una guerra ed è storia, anche se non politica, quella che Giuseppe Ardica propone in “Baby killer. Storia dei ragazzi d’onore di Gela”, sempre Marsilio, 144 pag. 13 euro. Ragazzini tra i tredici e i sedici anni, tutti o quasi cresciuti in ambienti malavitosi. Tutti con un destino già segnato. Avrebbero dovuto sedere tra i banchi di scuola e invece, tra la fine degli anni Ottanta e i primi Novanta, diventano il braccio armato della Stidda, nata da una costola di Cosa Nostra e diventata in pochissimo tempo padrona della parte meridionale della Sicilia grazie al traffico di droga, alle estorsioni e alle esecuzioni spietate. Nel libro si incrociano le loro storie e le loro confessioni davanti a un tribunale dove raccontano in un crescendo di violenza come si sviluppò la cosca. Due quattordicenni vengono cooptati prima per attentati incendiari poi per uccidere i nemici del clan, i commercianti che non si piegavano al pizzo e uomini delle forze dell’ordine. Un episodio emblematico: per il tredicesimo compleanno un padre regala al figlio la prima pistola, commissionando anche il primo omicidio.
“Ma tu chi sei che avanzando nel buio della notte inciampi nei miei più segreti pensieri?” WILLIAM SHAKESPEARE
Anonimo
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