Nazione: Danimarca/Regno Unito
Genere: epico fantastico
SE esistesse una rubrica dedicata al cinema di rilievo che non vedremo (forse) mai nelle sale, Valhalla Rising occuperebbe di sicuro una posizione preminente tra le produzioni degli ultimi anni.
Presentato fuori concorso alla 66a Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, il film di Refn si è reso oggetto di divergenti opinioni da parte di critica e pubblico, divisi tra sostenitori della curata epica mitologica e detrattori della celebrazione della violenza. Una visione diretta della pellicola è in questo caso, come in tanti altri, illuminante per comprenderne la futilità del dibattere.
Valhalla Rising narra l’avventura di One-Eye, guerriero orbo che, prima prigioniero di vichinghi pagani e costretto a feroci combattimenti, poi in viaggio con cattolici sulla via della Terra Santa, compie un cammino spirituale tra premonizioni e sanguinose necessità di sopravvivenza.
Semplicisticamente accostato a opere come Apocalypto, col quale ha in comune solo l’aspetto epico e l’accentramento attorno alla figura di un guerriero “primitivo”, Valhalla Rising ha molto di più e molto di differente rispetto ai suoi predecessori.
La storia, primo discrimine, è accessoria, un mero pretesto narrativo, binario su cui Refn comunica a suo modo un mondo diverso, lontano, mitologico non per riferimenti alla letteratura ma per astrazione. I luoghi dell’azione non sono mai perfettamente riconoscibili, non hanno agganci a geografia o storia, sono non-luoghi in cui prototipi di uomini speciali vivono e combattono, umani per istinti ma divini per disegni, come archetipi di un inconscio pauroso.
Pochi dialoghi puntellano il film giacché corporeità, equilibrio delle azioni e suggestioni oniriche sono gli unici codici di comunicazione scelti da Refn per suggerire il divino attraverso l’essenziale, sottraendo l’umanità del verbo e del superfluo in genere. I combattimenti sono danze, la ferocia è azione non mediata da compassione né da compiaciute pulsioni, i paesaggi sono dipinti immensi come proiezioni di un iperuranio.
Sintesi della filosofia dell’opera è il perfetto One-Eye, uno straordinario Mads Mikkelsen, che disegna un guerriero misterioso privo di parola (che comunica attraverso la bocca di un bambino), fissamente espressivo e finalmente classico contro il barocchismo inopportuno di altri “eroi” americani del filone. La sua precisa definizione, l’essenzialità di mimica e azione ne fanno un mito in senso stretto, indimenticabile come un samurai d’annata.
La fotografia, infine, è in stato di grazia, sfiorando in più riprese l’estetismo epico di Kurosawa (Ran), quello funebre di Herzog (Nosferatu) e il naturalismo di Malick.
Diviso in sei capitoli, Valhalla Rising vede negli ultimi due un discutibile eccesso di surreale, non ben integrato e soprattutto inutilmente confuso, il quale anziché connotare ulteriormente l’opera con tracce di stile finisce per rendere pericolosamente fumosa una narrazione che avrebbe meritato altra sorte, accettabile anche sulle linee dell’azione classica.
Il ricorso alla violenza è dosato e ben lontano dalle massicce iniezioni di tanto cinema di genere (a parte la scena […]1), lasciando sospettare che le polemiche sullo specifico aspetto del film nascano dall’efficacia delle singole sequenze più che dalla quantità, svelando così le dinamiche di riflessione dei detrattori: ripetute somministrazioni di violenza gratuite, se non efficaci, pesano meno di poche curate iniezioni di efferata potenza; e se questo è comprensibile sul fronte emotivo e istintivo, lo è meno su quello critico, che dovrebbe render merito di scopi raggiunti e corretta proposizione.
Si ha l’impressione, a fine visione, di aver assistito a un mancato capolavoro, che possiede i suoi limiti principali in una perdita di padronanza della materia sul finale e nella persa occasione di una più complessa e solida sceneggiatura.
Fa male pensare che cinema del genere venga relegato alla buona volontà di cinefili-archeologi, ma rincuora riflettere su quanto oggi la reperibilità di tali prodotti non sia più un’esclusiva per audaci e i sottotitoli un patrimonio spesso libero in rete.
Da non perdere, comunque la si veda.
Voto: 8/10
Spoiler: 7/10
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[…]1 dello sventramento