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Eutanasia: quando la sofferenza insegue la morte

AUTORE:
Redazione
PUBBLICATO IL:
7 Novembre 2010
Psicologia //

Un momento del convegno (M.P.Telera)
Un momento del convegno (M.P.Telera)
Manfredonia – NEL corso del Convegno sulla percezione della morte, che ha aperto il ciclo di incontri sul dramma dell’eutanasia presso il Palazzo dei Celestini, si è registrata una numerosa presenza di medici e di giovani “affascinati” dalla tavola rotonda condotta dal Prof. Paolo Cascavilla, dal Prof. Michele Illiceto e il moderatore Prof. Francesco Di Palma.

Il seminario di studio è stato organizzato dall’Azione Cattolica, dall’Arcidiocesi di Manfredonia- Vieste- San Giovanni Rotondo, dal Comitato Scienza e Vita di San Giovanni Rotondo e dall’Assessorato alla Solidarietà, cultura e politiche giovanili del Comune Manfredonia.

Il precipizio potrebbe rappresentare una metafora della malattia, dal quale si vorrebbe scivolare per consegnarsi alla morte, lasciarsi cullare da essa, dolce madre che consola. Un letto di spine pungenti come gli aghi che si annidano tra la pelle sottile e violacea, le mani ferme, che non afferrano più la speranza, prive di forza e lo sguardo che supplica la fine. Descrivere e immaginare la sofferenza, ipotizzare e confabulare, decidere di morire e affrettare il passo dell’evento è perdere la forza di lottare.

Il Prof. Michele Illiceto, uno dei relatori presenti al Convegno interviene sul tema: “ Quando è necessaria l’eutanasia? Colui che chiede l’eutanasia ha più paura della sofferenza che della morte. L’eutanasia è un discorso sul dolore, non sulla morte. La sofferenza deve essere evitata attraverso la scelta della morte. Con l’eutanasia possiamo scegliere l’ora, il come e il quando tanto che l’uomo pensa di decidere della morte, esercitando su essa una forma di potere. Scegliere di morire rivela l’impotenza dell’uomo sulla sofferenza. Dobbiamo interrogarci sul senso del dolore, visto che l’eutanasia è il non-senso della sofferenza, di un processo culturale in atto”.

La finestra della vita si spalanca così sul mondo con gli occhi distratti dalla morte mentre la sofferenza è il filo che intreccia il destino degli uomini. Nessuno escluso. L’intervento del Prof. Illiceto prosegue:“ Agon dal greco significa dolore, ma anche lotta, perciò il dolore è la lotta che la vita ingaggia. Molti confondono la rassegnazione col dolore, dimenticando che agon ha affinità con agape. Solo la vita che ama soffre. L’eutanasia è stata resa necessaria, separando il dolore dalla morte, usando il dolore contro la morte. Il dolore come ragione per esorcizzare la morte, separando la vita dal dolore”.

Quanti hanno pensato: “Meglio morire che soffrire”. Da questa comune invocazione discende il diritto a morire, di inimicarci con la vita, uscendo dalla vita odiandola. Il Prof. Illiceto insiste: “Il dolore cade sotto l’ipoteca della morte. Dimentichiamo che l’uomo è capace di amare anche quando soffre, e allora potranno farlo tutti indistintamente. Abbiamo separato agon da agape, eliminando il senso del dolore. Il dolore diventa un quadro che non ha più la parete dove essere appeso”.

Al dibattito è intervenuto anche il Prof. Paolo Cascavilla: “ In questo tempo assistiamo alle altalene e alle orge emotive, tanto che la vita viene svuotata dal senso della sofferenza. La sofferenza non trova più cittadinanza, i riti del passato diventano inutili, formali, stantii. La morte non è più vissuta come una condizione naturale del vivente, si muore soli e in solitudine. La morte è una faccenda privata che sottolinea il processo di individualizzazione che coinvolge sempre più il Sud, tanto che gli ultimi dati affermano che poche donne preferiscono allattare al seno. Un sintomo che dovrebbe interrogarci. Nel caso dell’eutanasia non ci sono ricette prestabilite, esiste una morte dignitosa, ma oltre ad essere un dono, è anche un compito. Credo che ci si avvicina alla morte con la stessa consapevolezza con la quale si è vissuti. Chi accetta il limite, chi accetta la vita sarà anche meno propenso a ricorrere ad un taglio netto come l’eutanasia”.

Decidere di morire si rivela un atto di onnipotenza, che smarrisce l’uso della libertà. Parafrasando il filosofo Jung : “Si diventa uomini o si diventa Dio, solo soffrendo”. Il dibattito non vuole diventare un elogio alla sofferenza, ma un dialogo denso di significato sul senso della vita da riscoprire e valorizzare attraverso il dolore, ponte tra la lotta e la rassegnazione.


mariapia.telera@statoquotidiano.it

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