Mario Ciro Ciavarella, noto scrittore vernacolare di San Marco in Lamis, ritorna a deliziarci con una nuova pubblicazione che, come ormai ci ha abituati, scava ancora una volta nel nostro passato prossimo facendo emergere dal sottosuolo della memoria le tante microstorie che hanno caratterizzato la storia recente del paese.
Il libro, uscito in questi giorni, ha per titolo “In Arcadia” e consta di ventitre brevi racconti che mettono in luce le passate usanze, i modi di fare, i costumi di una comunità, quella di San Marco in Lamis, ancora rimasta ferma ai vincoli contadini, che non ci sono più, con una narrazione fitta di ricordi, di nostalgia profusa per il vissuto, scritto con tono garbato e seducente, che ha il potere di coinvolgerci emotivamente.
Ogni capitolo è introdotto da uno scatto d’epoca sempre molto pertinente alle vicende raccontate mentre il testo lo si può leggere sia in italiano che in dialetto il che aumenta il valore del lavoro.
Si parte da “La prima pustala” (Il primo pullman) con una foto d’epoca che ricorda la carrozza senza cavalli di gucciniana memoria, che incute al suo apparire tra la gente terrore e meraviglia. Si prosegue con la poetica “Una strada, tante storie” dove si intrecciano storie di privazioni e di travagli quotidiani. Molto gustosi i due racconti legati l’un l’altro alla sfera: le bocce e le palle di neve, due modi che denotano il clima che si viveva un tempo. Il primo è la cronaca di una partita di bocce (“Non te la piangere”, un modo di dire) mentre la neve rappresentava per il paese, situato in una valle in cui (allora) le nevicate abbondavano, procurando così enormi disagi alla gente ma anche gioia per quei ragazzi che potevano giocare tra loro a palla di neve (Li paddotte).
Il resto dei racconti si divide tra la struggente nostalgia per il vissuto come il filmino del matrimonio e l’album delle fotografie, entrambi legati dallo stesso filo sentimentale, e da “Maestre di vita” che invece fotografa un momento della giornata tipica di quartiere dove il tutto si svolge davanti l’uscio di casa, forse tra le pagine più belle dell’intera raccolta. Meritevoli di citazione anche “La lettera che non arrivò mai”, “C’era una volta il pane” e “Quanne ce luvava la luce” (Quando la luce andava via) che ci riporta, quest’ultima, ad un tempo non troppo lontano quando a causa del cattivo tempo fatalmente si interrompeva la corrente elettrica lasciando il paese al buio totale, a volte anche per intere settimane.
Insomma un libro che ripercorre il fascino del nostro passato, che sembra lontanissimo ma non lo è poi tanto. Microstorie che appartengono alla nostra memoria collettiva, coinvolgenti, rivolte a noi inguaribili lettori nostalgici ma spero anche ai nostri giovani, da un Mario Ciro Ciavarella in vena di farci riflettere, come spesso ci costringe a fare, che in questo campo è maestro indiscusso.
LUIGI CIAVARELLA