Manfredonia – BEN ritrovati a tutti gli amici de La Settimana Economica. Nell’appuntamento odierno, subito dopo avervi augurato un ottimo inizio di 2015, parleremo di un “problema” che da sempre affligge tutti noi comuni cittadini: la Viscosità dei prezzi.
Di cosa si tratta? In economia – in particolare, in macro-economia – si parla di viscosità dei prezzi per indicare la resistenza di questi ultimi al crescere, e soprattutto al diminuire, in conseguenza di variazioni della domanda e dell’offerta, sia di aumenti sia di diminuzioni della massa di mezzi di pagamento in circolazione.
Introdotto l’argomento con questa definizione tecnica, cerchiamo di capire meglio, e in modo più semplice, quali sono le conseguenze della viscosità dei prezzi. Quando i prezzi di beni o servizi sono “viscosi” (si pensi, ad esempio, all’andamento dei tassi d’interesse sui mutui, rispetto a quello dei tassi di riferimento decisi dalle banche centrali), le variazioni di questi ultimi non si traducono in modo uniforme all’andamento del prezzo del bene\servizio di riferimento, poiché su di essi si osservano anticipazioni, ma soprattutto ritardi.
Fondamentalmente, le variazioni risultano più o meno lente. Entrando più nel merito del discorso, il vero problema è che questa viscosità agisce in modo diverso che si tratti di aumenti o di diminuzioni. Volendo citare il caso dei tassi (variabili) sui mutui, è come quando ad un rialzo dei tassi di riferimento si osserva un repentino incremento di quelli sui nostri mutui, mentre in caso di ribasso, la nostra rata stenta a diminuire con altrettanta rapidità.
Come molti sapranno, il prezzo del petrolio è letteralmente crollato (oltre il 50% in sei mesi), toccando i minimi dal 2009. Tralasciando i non secondari aspetti economici di tale “contrazione” (avremo modo di affrontare l’argomento prossimamente), molti lettori ci hanno scritto sulla nostra pagina facebook chiedendoci: “perché il prezzo della benzina non è, di conseguenza, dimezzato?”.
La risposta a tale domanda è meno banale di quanto si possa pensare, perciò cerchiamo di procedere con ordine. A fronte della sopracitata forte riduzione del prezzo del greggio (materia prima), il prezzo dei principali carburanti (prodotto raffinato) ha registrato contrazioni nell’intorno del 15%. Le ragioni di una tale disparità sono numerose, tuttavia la principale è individuabile nell’ammontare delle tasse governative addizionali al prezzo effettivo del prodotto raffinato (carburante), che perciò non può beneficiare appieno del minore valore della materia prima (petrolio). Un’altra essenziale ragione è, inoltre, individuabile nei costi fissi (incomprimibili) a carico delle compagnie petrolifere, necessari alla raffinazione della materia prima, allo stoccaggio e al trasporto dei carburanti. Ciò premesso, è indubbio che la viscosità dei prezzi sia una caratteristica che richiede un attento monitoraggio da parte delle autorità di vigilanza, a garanzia degli interessi dei cittadini, per prevenire abusi e illeciti.
Gli unici a non avere “colpe” di questa proprietà dei prezzi dei carburanti sono i distributori, ovvero i benzinai. I loro margini sono esigui e assolutamente marginali rispetto al prezzo finale pagato dai consumatori. Pertanto, cerchiamo di ricordarcene quando, mentre staremo facendo rifornimento, guarderemo con sguardo seccato gli addetti alle pompe delle stazioni di servizio.
(A cura di Leonardo Taronna => www.twitter.com/TaronnaL
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Il prezzo del petrolio scende ai nuovi minimi da cinque anni e mezzo e il Brent (petrolio di qualità) è sotto 50 dollari il barile (circa 159 litri) per la prima volta dal maggio 2009. Tre sono i motivi principali: l’eccesso dell’offerta, il calo della domanda e il dollaro forte (l’euro è sotto un dollaro e venti).
Il nostro Paese, com’è noto, sul fronte dei prezzi dei carburanti presenta una particolarità rispetto a tanti altri Paesi: il peso enorme delle accise (imposte), che non variano al variare del prezzo del petrolio. La componente fiscale supera il 60% del prezzo finale. Secondo l’Assopetroli e la Figisc, il 64,5 sul prezzo della verde e il 65% su quello del diesel è dato dalla pressione fiscale. Secondo l’Unione Petrolifera, dal 2010 a oggi l’84% degli aumenti registrati sono stati di natura fiscale. Occorre ridurre, in modo significativo, il peso delle accise per rendere il sistema Italia più competitivo. Il prezzo del carburante incide su trasporti, turismo e industria (e non solo).
Come si può pensare di competere con la Germania, dove la benzina costa 1,32 euro al litro e il diesel 1,17, o la Francia, dove la benzina costa 1,22 euro al litro e il diesel 1,07? Per non parlare di Stati Uniti (qui la benzina costa 0,48 euro al litro e il diesel 0,67) e la Russia (qui la benzina costa 0,50 euro al litro e il diesel 0,48).
Eccellente analisi, su un’anomalia tutta Italiana, oserei dire una piaga quarantennale. A mio modo di vedere, i governi italiani sono refrattari ai ribassi
dei carburanti in quanto diminuirebbero gli introiti fiscali. Ecco perchè penso che siano degli emeriti cialtroni quando sbandierano proclami sulla ripresa economica del nostro paese! Nonostante la gravissima crisi economica e sociale e con una disoccupazione giovanile terrificante giunta al 50% continuano con queste politiche suicide.