ORMAI accettata dall’entourage cinematografico come figlia d’autore e autrice (nel senso più snob del termine), Sofia Coppola, convinta del suo personaggio – e data la giovane età ed esperienza gliene si potrebbe dare anche ‘ragione’, nonostante tutto -, sbarca in Laguna quest’anno con il suo ultimo lavoro, Somewhere.
Il film descrive per stralci la vita tout-court di un rinomato attore, Johnny Marco (interpretato da un bravo Stephen Dorff), soffermandosi sulla vuotezza e assenza di stimoli della sua quotidianità. A fare irruzione nella sua gabbia dorata è la giovane figlia, che resterà con lui più del previsto.
Trama semplice, scopo altrettanto elementare: comunicazione della futilità, fragilità, noia di un mondo altro, dell’amaro al di là dell’immagine che ci proviene dai media. Unica variazione narrativa significativa è Cleo, che, nelle intenzioni della regista, smuove le acque e crea redenzione, riconoscimento di umanità, via di fuga e lotta per riconquistare se stessi.
In modi e forme che vorrebbero forse essere debitori di Antonioni, il racconto della vita di Johnny procede per ritagli non romanzati, quasi sequenze da reality, inquadrature distaccate delle sue giornate, dei suoi veloci e precari rapporti, una sorta di documentario che sa scegliere cosa mostrare, ma senza usare l’affabulazione. La sceneggiatura consta per tanto nella “raccolta di fatti” (nell’illusione documentaristica) più che nella loro manipolazione narrativa, spostandone l’efficacia sull’abilità di scrematura.
Compito arduo, dunque, ma quali i risultati?
Buoni sul fronte dell’attenzione: si percorre la visione del film, senza che accada quasi nulla di significativo, ma si resta desti, non incuriositi da quel che verrà dopo ma in fondo rapiti come dei voyeur che osservano da uno squarcio televisivo una vita che non li appartiene. Proprio quando l’operazione sta per stancare, subentra l’elemento “figlia”, che dà nuovo sale, e il sistema passa da uno a due personaggi, procedendo così fino al finale.
Cosa si può dire, invece, sul fronte comunicativo?
Onestamente poco. Gli obiettivi sono centrati solo con una pallida sufficienza, non soltanto raccontando nulla più di quel che già s’immagina (scarsa originalità) ma facendolo con una fiacchezza creativa che non stimola, non arricchisce, lascia tiepidi. L’intervento di Cleo, poi, è completamente inefficace, non convince minimamente né tantomeno la rivoluzione interiore che dovrebbe scatenare in Johnny: la reazione finale accade e basta senza che lo spettatore ne senta veramente le ragioni.
Sofia Coppola – ormai è noto – ama la rappresentazione delle vite inquiete, prima giovanili, con i suoi tre lavori precedenti, ora un po’ più mature, con il quarantenne Johnny Marco. Abbandonata la strada leggera per tocco e narrazione di Lost in Translation, mantiene solo il tocco con quest’ultimo film lasciando il terreno della commedia esistenziale ma senza immergersi del tutto in quello drammatico. Sono apprezzabili le intenzioni, che contengono davvero l’autorialità di una regista promettente e audace, ma il dipinto finale non è Monet e ne è a malapena un’imitazione.
Nota finale a margine per la – campanilisticamente – chiacchierata presenza italiana nella sequenza della premiazione del protagonista presso un programma tv, motivo di pavoneggiamenti della Marini e della Ventura in recenti interviste. Cosa ci sia davvero da vantarsi è poco chiaro: stucchevole – ma reale! – immagine per la televisione nazionale, rappresentata come frivola, inopportuna e da pon-pon, dove le due “star” interpretano loro stesse – e nel caso della Marini verrebbe da dire “per sfortuna”.
Le interpretazioni nostrane non fanno figura migliore, Laura Chiatti inclusa: il film acquista un’improvvisa caduta recitativa in questa parentesi italiana la cui necessità in sceneggiatura resta un mistero.
Naturalmente per Somewhere sale ricche di pubblico e – c’è da scommetterci – di consensi da complesso d’inferiorità: tira più un pelo di festival…
Voto: 6/10
Livello spoiler: 4/10
Somewhere – S. Coppola, 2010S
2 Commenti
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“Il film acquista un’improvvisa caduta recitativa in questa parentesi italiana la cui necessità in sceneggiatura resta un mistero”.
Per il mistero: le interpretazioni nostrane hanno consentito forse a Sofia di essere sostenuta (da valutare in quale senso) anche in Italia.
Giuseppe dF
L’ipotesi della marchetta di Sofia Coppola all’Italia è una delle più diffuse – per la distribuzione? per il festival? – e, volendone dar credito, il mio interrogativo va letto come appositamente retorico.
Ho preferito, lasciando il dubbio aperto, mantenermi garantista e non peggiorare la valutazione di un film già reo di pretenziosità.
a.c.