Cerignola. 20 anni sono passati. Vent’anni fa, l’8 settembre del 1999, veniva ucciso il giovane Hyso Telharaj, albanese, arrivato in Italia semplicemente per cercare di vivere una vita migliore. Ed invece, in una mattina come tante, Hyso ha detto ‘no’ a quel caporale che pretendeva una parte della sua paga per un lavoro di operaio in campagna. E quel no gli è costato la vita. “Si può morire per questo? Si può morire in giovane età per aver rifiutato di piegarsi allo sfruttamento di chi si arroga il diritto di fare da intermediario in modo illegale tra il lavoratore ed il datore di lavoro ed avanza delle pretese?” Ancora oggi è questo l’accorato interrogativo che i fratelli e la sorella del ventenne albanese rivolgono a chi li ascolta quando si ricorda il triste evento della morte di Hyso. Presso Palazzo Coccia, ieri sera, lunedì 9 settembre, nell’incontro dal titolo “Io mi chiamo Hyso: caporali e caporalato a 20 anni dalla morte di Hyso Telharaj”, le parole risuonavano nell’uditorio, parole di rabbia venivano dai parenti di Hyso. Ma di una rabbia che colpiva per la sua compostezza, per la pacatezza con cui veniva espressa. Si può chiedere giustizia anche senza urlare, anche con uno spirito ricolmo di pace e di accettazione. Non solo. Le parole dei fratelli di Hyso colpivano anche “per la loro maturità e modernità di pensiero”, come ha sottolineato il procuratore Vaccaro, tra i relatori della serata. Modernità di pensiero perché i fratelli del dolore, Suzana e Ajet, hanno rivolto ai presenti non un grido di vendetta, ma un invito che voleva risultare come la vera soluzione alle ingiustizie del caporalato, della mafia sociale, della vita. “Studiate, studiate, studiate”, queste le loro parole. È la conoscenza, è la cultura, la comprensione delle cose, ciò che può davvero salvare il mondo. Relatori nel corso della serata, don Luigi Ciotti, presidente nazionale di Libera, associazione contro le mafie nata nel 1994; Daniela Marcone, responsabile di Libera – settore memoria per la provincia di Foggia; il procuratore capo Ludovico Vaccaro.
“Bisogna conoscere, infatti” ha quindi ribadito don Luigi Ciotti. Non conoscere solo sull’onda del l’emozione di un momento, però. “Bisogna conoscere per approfondire” ha insistito il presidente di Libera. Conoscere per cambiare le cose. E bisogna “schierarsi”, ancora don Ciotti. “Il pericolo di oggi sono coloro che si definiscono neutrali, quelli che non scelgono da che parte stare ed anche i mormoratori, coloro che commentano sotto voce, per le strade, senza provare a migliorare le cose, ma solo per seminare zizzania”. Bisogna invece “assumersi la responsabilità di fare la propria parte” ricordando che, al di là di quanto certamente le istituzioni possono e devono fare, “lo Stato siamo noi” per dirla, ha evidenziato Ciotti, con le parole di Francesco Marcone, il direttore dell’Ufficio del Registro di Foggia assassinato il 31 marzo 1995, perché “Nessuno dovrà più morire per un pezzo di pane”, come è piaciuto sottolineare a Ciotti citando Giuseppe di Vittorio “mentre siamo nella sua terra”. E non perdere la fiducia nel fatto che il lavoro nelle istituzioni sta procedendo. E spingere perché continui, quando si ha la sensazione che si stia arenando. “Questo il nostro compito di cittadini”. Nel 2016 è arrivata una legge importante in Italia contro il caporalato ed il lavoro nero, informano i relatori. Si tratta della 199/2016 recante: disposizioni in materia di contrasto ai fenomeni del lavoro nero, dello sfruttamento del lavoro in agricoltura e di riallineamento retributivo nel settore agricolo. E sono in corso, aggiunge Ciotti, tavoli tecnici di discussione su tutti i fenomeni annessi e connessi con quello del caporalato, come quello delle mafie nel settore agroalimentare. Ma cosa può fare ognuno di noi per dare un contributo fattivo a che il caporalato, le mafie sociali, il lavoro nero vengano contrastati?
Ludovico Vaccaro suggerisce nel suo intervento tre possibilità: 1. Evitare di acquistare prodotti a prezzi minimi, senza etichetta, segni di una possibile retribuzione minima corrisposta ai lavoratori a monte del processo di distribuzione dei prodotti, e laddove vi è retribuzione minima, si può pensare vi sia stato anche sfruttamento; 2. Favorire un collegamento diretto tra domanda e offerta di lavoro, anche quello da svolgere nelle campagne; 3. Spingere perché si attivino servizi di trasporto pubblico, o messi a disposizione direttamente dai datori di lavoro, per raggiungere i punti di lavoro, e questo per scoraggiare l’intervento illegale di intermediari/caporali improvvisati al momento. Perché, definisce il procuratore Vaccaro, il caporale non è altro che colui che si assurge al ruolo di intermediario, offre il mezzo di trasporto al lavoratore per raggiungere il luogo in cui presterà la sua opera e poi pretende un compenso per questo. E lo pretende come quota da sottrarre sull’importo del compenso che il lavoratore decide di corrispondere al lavoratore.
Il caporale che uccise Hyso Telharaj sapeva che il ragazzo avrebbe percepito circa 13 mila lire di allora per ogni cassone di pomodori raccolti. Un cassone da riempire in più ore di lavoro. Quel caporale pretese di sottrarre a Hyso circa 5 mila lire perché riteneva di averne diritto per averlo ‘trasportato’ sul luogo di lavoro ed avergli fatto da intermediario. Hyso non accettò. Stava provando a costruirsi una vita migliore lui. E quel caporale, insieme con altri, lo ammazzò. Non si può morire così. Daniela Iannuzzi
Daniela Iannuzzi
Caro stato il fatto è successo a Cerignola non a manfredonia, e Cerignola fa parte della Dauni e non del Gargano mettiamo i puntini sulle ii il Gargano parte da manfredonia per finire a Ischitella ed un po di dintorni. Foggia fa parte della dauniae non scrivete sempre Gargano
Buongiorno, è corretto quanto dice. Ma la tematica purtroppo interessa l’intera Capitanata, la Puglia, e la stessa Italia. Grazie, StatoQuotidiano.it
Perché allora non mettete Puglia?
Perchè non esiste come categoria. Grazie per la sua attenzione, a presto