Manfredonia – ATTORI, imprenditori, giuristi, regioni. Quali i responsabili (veri) del disastro Enichem ? Quale la realtà da considerare, in primis giuridica, per una “interpretazione corretta” delle cause che portarono allo scoppio, lo scorso 26 settembre del 1976, di una colonna dell’impianto di ammoniaca, dello stabilimento industriale situato alla periferia est di Manfredonia ? Quando, dopo un boato, la città fu ricoperta da 32 tonnellate di “anidride arseniosa”.
Sono passati oramai due anni dalla sentenza di assoluzione, emessa dal tribunale di Foggia lo scorso 5 ottobre del 2007, a favore di dieci dirigenti dell’Eni e di due consulenti sanitari (si ricorda che EniChem è la denominazione assunta nel 1983 dalla nuova azienda petrolchimica del gruppo Eni, che aveva assorbito le principali attività di EniChimica Spa, la quale, dal 1981, gestiva le società del gruppo Anic e le acquisite. Le molteplici attività produttive del gruppo portarono l’EniChem alla creazione, nel tempo, di società subordinate, divise e specializzate per settore merceologico e produttivo: si pensi all’Enichem Agricoltur: prodotti per l’agricoltura come fertilizzanti e ammoniaca; Enichem Anic: prodotti petrolchimici e chimici primari, come cloro-soda, benzene, etilene, toluene; ma anche Enichem Augusta, prodotti per la detergenza; Enichem Elastomeri; Fibre; Synthesis e Tecnoresine. Ma già al tempo il settore chimico andò in declino a causa del rinvenimento degli impianti di possibili danni ecologici nell’ambiente circostante. Fonte: Wiki).
Subito dopo lo scoppio, come scrisse anche Costanza Alvaro su Panorama, gli operai dello stabilimento furono mandati “a pulire la polvere d’arsenico con delle scope”. Questo senza alcuna “tuta di protezione”. Negli anni a seguire, 23 dipendenti dell’ex Anic muoiono prematuramente, dopo che agli stessi fu diagnosticato, tempo prima, un tumore. Qualcuno in seguito ha parlato anche di “vittime sconosciute”: lo scrittore Giulio Di Luzio, che con il suo libro del 2003 “I fantasmi dell’Enichem”, parlò di donne incinte che partorirono “con il fegato liquefatto”, dato che è proprio il fegato “l’organo vitale più a rischio” in caso di contaminazioni da arsenico.
Il primo a fare un esposto alla magistratura fu l’operaio di Manfredonia, Nicola Lovecchio; questo dopo che l’oncologo Maurizio Portaluri diagnosticò all’uomo (un ragazzo di trent’anni, in buona forma fisica) un tumore al polmone. Da lì innanzi il (lungo) processo contro i dirigenti Enichem, accusati di “disastro colposo, omicidio colposo plurimo, lesioni e omissioni di controllo”. Nella tesi difensiva costruita dagli avvocati per i dirigenti, gli stessi affermarono che, all’epoca dei fatti, “non erano ancora a conoscenza dell’entità del danno”, causato dallo scoppio della colonna dell’impianto di ammoniaca.
Fra le altre dichiarazioni dei dirigenti, per dimostrare la loro estraneità al fatto e buona fede nel prevenire il disastro, una presunta voracità degli ex operai Anic nella “degustazione” di aragoste: “ne mangiavano anche due chili al giorno”, dissero i vertici Eni, per motivare l’elevato tasso di arsenico presente nel corpo degli uomini (l’aragosta è famigeratamente un crostaceo “ad alto contenuto” di sostanze arseniose)
Assieme alle famiglie degli operai deceduti, si costituirono parte civile anche le associazioni Legambiente, il Wwf, Medicina Democrativa, l’associazione di donne Bianca Lancia, la Regione Puglia, il Ministero dell’Ambiente, ma anche i comuni di Manfredonia, Monte Sant’Angelo e Mattinata. Prima del termine della sentenza, alcune delle famiglie interessate al caso decisero di ritirarsi dal processo, dopo aver ricevuto un indennizzo dall’azienda incriminata. Negli anni successivi seguirono le accuse delle diverse associazioni al Ministero dell’Ambiente, a causa della “lentezza burocratica con la quale si stava effettuando la bonifica nel sito”. Nel 1988 l’interruzione della produzione di caprolattame, dopo le continue morti “sospette” di esemplari marini del basso Adriatico. Secondo una ricostruzione, delfini, tartarughe ed altri esemplari sarebbe infatti morti a causa dello scarico in mare, dallo stabilimento Eni, del caprolattame prodotto in azienda.
Passano gli anni e si arriva al contratto d’Area, ai fondi dell’Unione, alle opere (mancate) di reindustrializzazione del sito, ma anche agli imprenditori del Settentrione fuggiti, agli impianti non rinnovati, alle ditte che hanno chiuso, ai diversi provvedimenti di cassa integrazione attivati, a danno dei lavoratori dell’area. Ma anche la mancata autorizzazione, da parte della Regione, della valutazione d’impatto ambientale del sito, dopo l’insediamento delle diverse fabbriche. Un “piccolo particolare” che costò al Governo l’apertura di una “procedura d’infrazione”, sempre da parte dell’Unione, per non aver «adottato le misure necessarie ad assicurare che i rifiuti, stoccati o depositati in discarica presenti nel sito Enichem, fossero recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e pregiudizio per l’ambiente».
In seguito solo due famiglie degli operai morti nell’incidente decisero di non accettare il risarcimento, e dunque la sentenza di primo grado della giustizia ordinaria. Nel tempo la costruzione di un cimelio in commemorazione delle vittime, con lo stesso indennizzo stabito nel processo.
Con un incontro svoltosi lo scorso venerdì 9 ottobre nell’aula magna del Corso di Laurea in Economia dell’Ambiente del Territorio, facoltà di Economia , in via San Lorenzo a Manfredonia, è stato presentato il volume “Industria, ambiente e territorio. Per una storia ambientale dell’aree industriali in Italia”, a cura dei professori Salvatore Adorno, docente di Storia contemporanea all’Università di Catania e Simone Neri Serneri, docente di Storia contemporanea all’Università di Siena. L’iniziativa, organizzata nell’ambito degli eventi celebrativi del decennale dell’Università di Foggia, ha visto la partecipazione del Rettore Giuliano Volpe, della professoressa Isabella Varraso, del professore Marco Galli, coordinatore del Corso di Laurea in Economia dell’Ambiente e del Territorio. La presentazione del volume è stata curata dalla professoressa Maria Gabriella Rienzo, docente di Storia economica presso la Facoltà di Economia dell’Università di Foggia e da Franco Mercurio, direttore della Biblioteca provinciale di Foggia e docente di Storia Contemporanea presso l’Istituto di Architettura di Venezia.
Da segnalare le tesi del professore Adorno che ha sviluppato una parabola di relazione tra le valutazioni di impatto ambientale, pianificate negli anni dalle ditte, e l’ insediamento, nell’area, degli stessi stabilimenti industriali. Ma il professore Adorno ha parlto anche del riconoscimento alle popolazioni locali di “un ruolo comunitariamente importante” dopo l’ insediamento degli impianti «ad elevata tecnologia produttiva»: «una fase del cosiddetto benessere civico a prescindere dai possibili danni per l’impresa».
Nel corso degli anni, dopo la fase di rilancio industriale nel 1950, ci sono state infatti delle mutazioni “nei parametri di giudizio dei know-how aziendali” nelle valutazioni d’impatto ambientale delle diverse industrie insediatesi nel territorio. In ogni modo «non ci sono ferite – ha detto Adorno – che si possono colmare, non sicuramente tramite opere di bonifiche». In conclusione del suo intervento il professore Adorno ha parlato anche della necessità di “una maggiore conoscenza” da parte dei cittadini, e non, in merito alle indagini sviluppate negli anni, sul caso, da parte della magistratura. Questo per avere una visione ” tangibilmente reale” del disastro ambientale avvenuto nel 1976.
In conclusione della serata, da segnalare gli interventi “intellettualmente critici ” del professore Italo Magno, che ha ripercorso le attività intraprese sul caso da parte del sindaco di Manfredonia del tempo, il padre Michele; un sindaco «costretto a dimettersi», ha detto Magno, quasi a vittima sacrificale del disastro avvenuto. Questo nonostante l’uniformità di vedute, espresse dai diverse consiglieri del tempo nelle sedute di Palazzo San Domenico, contro l’insediamento degli impianti Eni. Il professor Magno ha anche parlato di un «preoccupante inquinamento politico, ma anche morale e di stampa libera», sul caso, oltre lapalissianamente ad uno di foggia industriale.
Conclusione della serata affidata agli interventi dei giornalisti Matteo Di Sabato (che ha ricordato la difformità di trattamento per i cronisti locali nella raccolta di notizie sul caso, in base alla diversa testata di appartenenza). Da segnalare l’intervento del giornalista Francesco Paolo Bellizzi, del quotidiano di Foggia ‘L’Attacco’, autore di una recente inchiesta a livello nazionale, riguardante il trasferimento di un dipendente del gruppo Eni dalla sede di Manfredonia a quella di Brindisi, per “divergenze” con la struttura centrale. Il caso è stato anche oggetto di una recente interrogazione posta da consiglieri della Giunta regionale.
Si ricoda che il volume “Industria, ambiente e territorio. Per una storia ambientale delle aree industriali in Italia (ed il Mulino- Bologna 2009)” illustra la storia della questione ambientale nelle principali aree industriali italiane, dalla ricostruzione postbellica agli anni Novanta e ne mette in luce le conseguenze sul consumo delle risorse, le condizioni di vita e di salute delle popolazioni, gli assetti territoriali. I saggi analizzano le controverse relazioni tra industria e ambiente, considerando congiuntamente l’impatto ambientale delle attività produttive e le differenti reazioni delle popolazioni coinvolte, dei tecnici e degli amministratori locali. E’ la storia dell’inquinamento dell’acqua e dell’aria, del consumo del suolo, dello sfruttamento delle risorse naturali ed energetiche, ma è anche la storia delle comunità locali che vissero a contatto con gli insediamenti industriali, del ruolo svolto dalle pubbliche amministrazioni, dai partiti politici, dai sindacati e dai movimenti ambientalisti. Oggi molte di queste aree vivono profondi processi di deindustrializzazione, delocalizzazione e bonifica, altre cercano con difficoltà di trovare le strade di una riconversione produttiva, ma sia il territorio che gli uomini portano ancora il segno della crisi ambientale che li ha investiti. Su questo sfondo il disastro ambientale di Manfredonia viene letto in una prospettiva di lungo periodo che ricostruisce il processo che portò all’insediamento industriale. Si ripercorrono le trasformazioni ambientali attraverso i progetti e le scelte degli attori istituzionali e degli operatori economici e si considerano le conseguenze della scelta industriale sull’ambiente e sulla salute della popolazione. Ne emerge un vero e proprio conflitto per la qualificazione del territorio tra industria e ambiente.
ho bisogno di informazione in più o bibliografia sul caso Enichem per la mia tesi di laurea in sociologia, sulla comunicazione ambientale…Trento