Lucera – UN paradosso: solo il fumo, solo il catrame e le sostanze cangerogene emanate dalle sigarette hanno potuto privare, l’Italia intera dello spettacolo ma anche quella popolare, di uno dei più grandi “cantastorie” di persone emarginate; di indesiderati da società fredde e ciniche. La persona di cui stiamo parlando amava infatti raccontare, con la sua musica, “storie di”: prostitute, drogati, criminali, di soldati ma anche di suicidi. Lo scorso gennaio del 1999 moriva a Genova Fabrizio De Andrè. Al cantautore va riconosciuto il coraggio e la coerenza di aver sublimato i tratti degli sconfitti. Di aver rivalutato con le sue canzoni il ghetto, e i suoi appartenenti, riconoscendogli adeguata dignità. Le sue canzoni hanno infatti immortalato tutti questi sfortunati protagonisti del reale: da Marinella a Bocca di rosa,da Pasquale Cafiero a Carlo Martello, da Andrea al gorilla fino al giudice nano. Le sue canzoni sono state accompagnate dalla suo tono di voce inconfondibile: languido e grave, tenero e malinconico. Fabrizio Cristiano De Andrè , chiamato affettuosamente Faber dal suo amico Paolo Villaggio, nasce a Genova da ricca famiglia , il 18 febbraio del 1940. Il padre Giuseppe era il vicesindaco di Genova. Laureato in legge, si dedicò subito interamente alla musica. Anarchico e ateo dichiarato, era pieno di ammirazione per la fede cristiana e seppur agnostico scrisse canzoni che sembrano parabole e molte di queste vennero suonate perfino nelle chiese. Dal suo primo matrimonio nacque il figlio Cristiano,in seguito dopo la separazione negli anni 70, si legherà alla cantante Dori Ghezzi da cui avrà la sua seconda figlia Luvi (Luisa Vittoria). Il 27 agosto del 1979, Fabrizio e Dori furono rapiti dall’anonima sequestri sarda. Dopo aver pagato un riscatto di 550 milioni furono rilasciati. Oggi , la sua compagna con l’ausilio di molti suoi amici e dei tantissimi fans, ha costituito una fondazione Onlius a suo nome, per mantenere sempre viva non solo la memoria ma anche la poesia che trasudano le sue canzoni, magari c’è ne fosse bisogno. Ciao Faber (Stato/ Giuseppe Aufiero)
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