futuriparalleli.it Un ministro per l’istruzione e per il merito. Il richiamo al “merito”, parola amata dalla nuova premier, ha suscitato vivaci discussioni.
“L’idea di meritocrazia ha molti meriti, ma la chiarezza non è tra questi”
(Amartya Sen). E in effetti il dibattito è stato confuso. La parola meritocrazia si riferisce ai talenti personali, alle competenze, alle abilità? Si invoca il merito, mentre intorno a noi molti adolescenti soffrono di povertà educativa, ondate di giovani vanno all’estero, c’è carenza di formazione permanente e alfabetizzazione digitale per la popolazione adulta.
La parola merito non esprime un concetto univoco, anche nella scuola. Ricordo il primo anno di insegnamento. Liceo classico di Monte S. Angelo. Prima verifica: gli studenti sapevano che non era solo un modo per misurare il profitto, ma momento di approfondimento, nuove domande, chiarimenti… L’argomento era il “romanticismo europeo ed italiano”. Francesca: esposizione chiara, scorrevole, corretta l’analisi dei testi e il riferimento alle mie integrazioni… Comunicai il voto. Nove. Tornando a casa, però, mi “interrogai”. Forse avrei dovuto porre domande più specifiche! Luigi intervenne dopo: aveva approfondito collegamenti e differenze, l’esposizione a tratti faticosa, forse perché cercava risposte più personali… Intanto aveva sollecitato la discussione e stimolato altri interventi. Cosa volevo da una verifica? Studenti buoni ripetitori o cercatori di percorsi critici autonomi? Cosa c’è alla base del profitto, del merito? Il giorno dopo in classe ho espresso i miei dubbi. Ridefinii i voti.
Il problema della valutazione mi ha accompagnato sempre. Una preoccupazione condivisa soprattutto nei consigli di classe. Tra i docenti c’erano visioni diverse e divergenze, studenti con differenze marcate tra le varie discipline.
Si discuteva sulle capacità e le competenze. Per ciascun alunno valutazione, scrutini, esami sono prova e sperimentazione di un’idea della giustizia. Un problema che coinvolgeva i genitori. Spesso la valutazione positiva della licenza media non corrispondeva alle superiori, i risultati del biennio a quelli del triennio. C’era chi “respinto”, recuperava, cambiava scuola… Poi l’effetto “alone“. In senso positivo o negativo.
Inoltre il confronto con gli esami di maturità. Vi era qualche collega interessato a contare il numero dei “voti massimi” e non la media complessiva. Allora non c’era l’esplosione odierna delle “eccellenze con lode”, la cui percentuale in Puglia e nel Sud è il triplo del Centro Nord, mentre nelle prove Invalsi accade il contrario ed emergono carenze nelle matematiche e nella comprensione dei testi.
Devo rifarmi ancora ad Amartya Sen (Nobel per l’economia, 1998) e al suo discorso sulle capacità. Come il merito è diverso dai talenti, così le capacità non sono le competenze, le abilità personali… ma qualcosa in più che deriva dall’ambiente che si respira a scuola e fuori. Ho fatto parte delle commissioni agli esami di maturità (Umbria, Toscana, Sicilia… Capitanata, in licei e istituti tecnici); la preparazione specifica degli studenti non presentava differenze, queste emergevano invece (ad esempio tra Arezzo e Foggia) in ciò che di aggiuntivo era offerto dalle singole comunità, dal rapporto virtuoso con il proprio territorio, nella maggiore fiducia con cui si affrontavano le scelte personali. Insomma si percepiva chiaramente che oltre la scuola vi era altro. E’ miope credere che l’apprendimento possa svolgersi nella singola classe. Conta lo scambio, la collaborazione, la cooperazione… Una mamma, di fronte a risultati positivi ma non brillanti della figlia, mi diceva che non usciva mai, leggeva molto… restò sorpresa quando risposi: “Deve leggere e studiare di meno e uscire di più!”.
Metro di misura era il percorso universitario… la carriera. E qui le cose si complicavano. Alcuni confermavano i risultati, altri trovavano difficoltà, a livello relazionale e nel metodo di studio. Poi scelte etiche diverse. Donne che privilegiavano un figlio e non la carriera, altre e altri che ridimensionavano le aspirazioni scoprendosi buone/i infermiere/i, fisioterapiste/i… E il trascorrere del tempo. Persone che si isteriliscono e pensano solo alla pensione e altre che conservano creatività e reagiscono a cambiamenti e fallimenti.
Le idee che corrispondono alla parola “merito” sono diverse. Ricordo una frase di Victor Hugo (1802 – 1885): “Il successo è una cosa piuttosto lurida; la sua falsa somiglianza col merito inganna gli uomini. Concorrono molti fattori: fortuna, aiuto di altre persone, condizioni di partenza, talenti…”
Tutti parlano di MERITOCRAZIA, ma nella triste realtà dei concorsi PUBBLICI, non serve a nulla, perché si è sempre data la precedenza ai famosi RACCOMANDATI DI COLORE POLITICO.
Anzi, chi merita, viene anche UMILIATO nella valutazione, da parte della commissione composta da soggetti corrotti e ignoranti, con la famosa frase : ” mi dispiace, ma…….” .
Oggi, chi vale è costretto ad andarsene all’estero, dove , oltre ad apprezzare la professionalità, pagano il giusto corrispettivo, senza sfruttamento da parte di imPRENDITORI faccendieri.
La meritocrazia è un’ideologia che si fonda sul principio di premiare i “migliori” senza tenere conto delle condizioni di partenza nella competizione.
La meritocrazia, ha quindi poco a che fare con il merito, dal momento che valutare il risultato di una “gara” senza considerare i vantaggi competitivi detenuti dai competitors è profondamente ingiusto e va a favore dei soliti noti…
La meritocrazia spesso, anche se non sempre, premia chi nasce nel “letto giusto”. Non è raro registrare che taluni competono in posizione di vantaggio (come per esempio appartenere a famiglie benestanti che possono garantire una migliore istruzione).
La meritocrazia sovente viene associata, erroneamente o scientemente, alla merito al fine di riprodurre relazioni di potere fondate sulla cooptazione e sul nepotismo. Il merito è un concetto nobile che si fonda sulla solidarietà e che considera tutte le condizioni di partenza nella competizione.
M. Sandel nel suo libro “La tirannia del merito” ha stigmatizzato la tracotanza meritocratica, che “riflette la tendenza dei vincitori a godere troppo del proprio successo, dimenticandosi della fortuna e della buona sorte che li ha aiutati nel proprio cammino”
Sandel riporta il caso delle truffe per l’ammissione ad alcune tra le più prestigiose e costosissime università statunitensi, atenei d’élite in teoria inaccessibili (come il MIT di Cambridge USA), e racconta di come si sia scoperto che, pagando, i figli di (truffaldini, influenti e facoltosi) papà diventavano magicamente meritevoli (sic!).
Concludo con uno slogan: abbasso la meritocrazia, viva il merito!
U stessu meréte d quanne t facerène assessóre…..
Uuuuuu quand chiacchiere stringe e stringe nun jess nnt . Vatt pigghie na tisana