Bari – DIRE ‘anoressia’ significa evocare l’immagine di una persona, spesso donna, che rifiuta il cibo. L’idea comune è di una persona arresa alla vita, sconfitta perché debole, consumata in linea estrema dal proprio vissuto. C’è una componente essenziale, però, che sfugge e che spesso mette la parola “fine” al successo terapeutico.
E’ la rabbia dell’anoressico.
Di questo parla “Anoressia rabbiosa”, in libreria dal 16 dicembre per Edizioni Psiconline, casa editrice specializzata in psicoterapia, psicologia e scienze umane. Il saggio è scritto dagli psicoterapeuti Luciano Peirone ed Elena Gerardi, con la prefazione del professor Mario Fulcheri, ordinario di Psicologia Clinica nella facoltà di psicologia dell’università degli studi di Chieti-Pescara “Gabriele d’Annunzio”. «Con il termine “rabbiosa” – dicono i due autori – abbiamo voluto sottolineare una componente emozionale che ricorre in diversi pazienti anoressici, nei quali prevalgono sentimenti negativi, anche potenti, che ruotano attorno a invidia, gelosia, aggressività, irascibilità e, tra le altre, conflittualità nei rapporti interpersonali. Il più delle volte queste caratteristiche risultano represse e rimosse, per cui la persona appare frenata nell’esprimere questi stati d’animo, ovviamente difficili da rendere pubblici, per cui prevale la dimensione inconscia».
L’anoressia, come sottolineano i due autori, è una malattia che è autentico paradosso per la “abbondante” civiltà del consumo. Una miccia cova nell’animo di chi ne soffre, tenuta a bada ma pur sempre benzina sul rifiuto del cibo, sulla negazione della vita. Si stima che 1 donna su 200 abbia in qualche modo a che fare con l’anoressia e che circa il 9% delle ragazze, tra i 12 e i 25 anni d’età, soffrano di Disturbi del comportamento alimentare, Dca, come bulimia, vomito, binge eating, obesità. L’anoressia, poi, è donna, se si stima che a fronte di un anoressico di sesso maschile, ce ne sono nove di sesso femminile e, altro dato allarmante, scende sempre di più l’età di esordio della malattia, che oggi arriva a riguardare anche bambine di otto anni. Per diagnosticare la malattia decisivo è il calcolo dell’Indice di massa corporea, che al di sotto del valore di 17,5 significa, appunto, anoressia.
In “Anoressia rabbiosa” i due autori offrono anche spaccati di vite vere, con testimonianze dirette della pazienti in terapia, così come percorsi e spunti terapeutici. «La cura della persona anoressica, – concludono Peirone e Gerardi – , consiste nel ri-costituire e ri-costruire il corpo, nel ridare fisicità al soggetto vivente. Nel farlo sentire vivo e degno della vita. Inoltre sta nel far rinascere la persona, restituendo tonicità al cuore, sede dell’anima, riempiendolo di sentimenti, svuotandolo delle cattive emozioni e colmandolo con quelle buone. Rompendo, in sintesi, il muro di pietra della vuota fortezza armata di rabbiosità. Per l’anoressico che cerca di guarire, ci vuole un cuore che torni ad amare. In fondo la malattia conclamata e anche il più sfumato disagio consistono in una “cattiva, o mal posta, fame d’amore”. Per contrastare la fredda ossessività di una rabbia trattenuta, occorre riscaldare e sciogliere il “sofferente cuore di ghiaccio che non ha più fame”».
Fondamentale è il ruolo della famiglia e della scuola così come multidisciplinare deve essere l’approccio terapeutico, con il coinvolgimento di più specialisti, dal gastroenterologo al nutrizionista, dallo psicoterapeuta all’educatore.
Redazione Stato