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“La mafia siamo noi quando non vediamo o facciamo finta di non vedere”

AUTORE:
Redazione
PUBBLICATO IL:
12 Ottobre 2017
Cultura // Foggia //

Foggia. “Al Nord come al Sud, le mafie non sono soltanto i clan di Cosa nostra e ‘Ndrangheta, di Camorra e Sacra Corona unita. La mafia è l’incapacità della società di reagire, l’indifferenza […]. Siamo noi quando non vediamo o facciamo finta di non vedere. Noi che non ci chiediamo ‘Io che posso fare?’.” Comincia essenzialmente da questo passo tratto dal libro presentato presso Ubik libreria l’intervento di Daniela Marcone.

Il libro è quello di Sandro De Riccardis ‘La Mafia siamo noi’, edito da Add editore.

Presente alla serata l’autore.

Daniela Marcone è figlia di quel Francesco Marcone ucciso nel 1995. “Assassinato nel portone di casa in un agguato stile-mala, Francesco Marcone, foggiano, 57 anni, da 4 dirigente della sezione al secondo piano del Palazzo degli Uffici Statali. […]. Omicidio che potrebbe anche rappresentare l’anello di congiunzione tra la criminalità organizzata e quella mafiosa” come si legge nelle pagine degli articoli di Gianni Rinaldi pubblicati sulla Gazzetta del Mezzogiorno tra il 1 ed il 2 aprile 1995, dopo l’avvenuto assassinio del funzionario foggiano.Daniela Marcone è anche vicepresidente nazionale di Libera. L’incontro, infatti, organizzato in piena collaborazione con l’associazione presieduta da Don Luigi Ciotti, apre il ciclo di appuntamenti di taglio civile promosso dalla libreria Ubik, tappa di avvicinamento in vista della XXVIII Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie che, il 21 marzo del 2018, avrà luogo proprio nella città di Foggia.

La ‘Mafia siamo noi’, ricorda la Marcone, è una frase usata da Rita Atria, nata e cresciuta in una famiglia mafiosa, che aveva deciso di diventare testimone di giustizia. Le avevano ucciso prima il padre, piccolo boss mafioso di Partanna, in Sicilia, poi il fratello. La moglie del fratello decise subito di collaborare con la giustizia per risalire ai responsabili dell’uccisione del marito. Questo aveva scosso fortemente Rita che così cominciò a mettersi in discussione. Cominciò a raccontare tutto quello che sapeva a Paolo Borsellino, e si uccise a 17 anni, una settimana dopo la strage di via D’Amelio, del 19 luglio 1992, in cui venne assassinato lo stesso giudice.

“La mafia di cui parla De Riccardis nel suo libro riferisce di una mafia sociale che non è così evidente, ma è più insidiosa” continua Daniela Marcone.
“Ricordo una frase di una fotografa, Letizia Battaglia, una fotografa, fotoreporter e politica siciliana, [definita da alcuni ‘fotografa della mafia, ndr.], che andava negli anni ’80 sui luoghi dei delitti della mafia e vedeva, per esempio, le donne vestite di nero e riferisce che più tardi, ritornando a voler fotografare ancora la mafia, non sapeva da dove cominciare perché nel frattempo la mafia era diventata ‘invisibile’. Ed io dunque ho voluto ricostruire quegli episodi di cronaca spezzettati tra loro in cui è chiaro il tentativo della mafia di non voler lasciare tracce di sé”.

La mafia oggi non è più riconoscibile negli episodi delle sparatorie di un tempo, la mafia oggi è un sistema organizzato e che opera in rete infiltrandosi nella quotidianità, in tutti i settori. Questo il senso dell’espressione ‘mafia sociale’ che riferisce il libro di De Riccardis.

“I cittadini non riescono a capire come riconoscere questo fenomeno. Ho cercato dunque di creare un filo conduttore, una memoria attraverso cui ricostruire il volto della mafia attuale.

Il libro rivolge però anche uno sguardo positivo all’operato di chi fa ‘antimafia’. Anche se “L’antimafia degli ultimi anni in realtà non è ancora riuscita a produrre risultati concreti, anzi corre il rischio di essere sfruttata dalla mafia. Chi promuove un certo tipo di antimafia non dà fastidio alla mafia. La mafia piuttosto trae guadagni dall’operato di una certa antimafia. Si pensi a Villabate dove il mafioso Provenzale dà il consenso a realizzare un osservatorio contro la criminalità che, in pratica, gli tornerà utile per dare un’immagine positiva di Villabate a copertura delle attività illecite che vi si svolgono”. E continua: “Il messaggio deve essere opposto alla figura del supereroe che presentano certe fiction. La vera antimafia è quella fatta di persone comuni che costituiscono reti in grado di opporsi alle reti della mafia” spiega De Riccardis.

Sandro De Riccardis è un giornalista e, nel fare il suo lavoro, è spesso arrivato a conoscere storie di comuni cittadini coinvolti in grande inchieste sulla criminalità organizzata di tipo mafioso. Comuni cittadini vittime dei clan, ribelli alla prepotenza mafiosa e, per questo, eroi sconosciuti e abbandonati. Ma anche comuni cittadini collusi con i clan, fiancheggiatori talvolta perfino inconsapevoli. “Tutti – rivela De Riccardis – possiamo agevolare i traffici malavitosi senza nemmeno accorgercene. E, così, diventiamo noi la mafia. E’ questa la teoria che ho maturato negli anni di carriera e che ora spiego nel libro La mafia siamo noi”.

Daniela Marcone poi torna a parlare.

“Per me la memoria era sinonimo di urgenza per motivi legati alla morte di mio padre, poi arrivano le parole del giudice Luciana Fazio che, nel chiudere, nel 2005, l’ultimo atto relative al processo sull’uccisione di mio padre, afferma che la parte sana di Foggia, che avrebbe potuto collaborare nello svelare la verità, non lo fa. Io ho deciso allora prima in maniera inconsapevole e poi sempre più consapevole di non lottare più per cercare io la verità.

Quello che è accaduto in quegli anni ha molto a che fare con la mafia sociale, ma noi non ancora abbiamo capito cosa sia la mafia sociale. E intanto sembra che la mafia di Foggia e quella del Gargano comincino a creare una rete tra loro per dare vita ad un centro unico di potere.

La relazione annuale della Direzione Nazionale Antimafiarelativa al 2016 parla di una mafia quasi invisibile ormai, difficile quindi da sconfiggere. Manca un rito di affiliazione. Sono sempre gli stessi nomi. È la Famiglia che va avanti. E noi ci siamo sempre detti a tal proposito ‘finché si ammazzano fra di loro, non è un problema’. Così non ci siamo chiesti quali legami stia intrecciando questa mafia con la mafia che io chiamo affaristico-borghese. Quella che io ho definito ‘la mafiosità che mi ha ingoiato dopo la morte di mio padre’.

E invece De Riccardis riprende il tema della mafia sociale. Noi a Foggia, dopo gli ultimi fatti di agosto 2017 in cui sono rimasti coinvolti e uccisi degli innnocenti, abbiamo l’opportunità e il dovere di riprendere ad interrogarci sulla presenza di questa mafia sociale. Ed io mi chiedo perché qui non c’è uno studio sociologico sul significato e sulla presenza della mafia sociale”.

“Ci sono persone eleganti, professionisti, magistrati, funzionari della pubblica amministrazione, architetti” spiega a tal proposito De Riccardis ” che non sono affiliati a clan in modo ufficiale. Eppure contribuiscono, nello svolgimento del loro lavoro, a sostenere le malefatte della mafia.

Questo perché le mafie hanno tanti soldi, ma hanno bisogno di avere persone all’interno di luoghi importanti per gestire le loro pratiche. Questo magari accade anche a Foggia. Vi sono state delle indagini a tal proposito che hanno dimostrato il nuovo livello su cui lavorano le mafie e che dovrebbe essere il nuovo livello di conoscenza della mafia. A Milano per esempio ci sono ormai catene di ristorazione e discoteche gestite direttamente dalla mafia. E non basta quindi sapere di protestare e organizzare manifestazioni per ostacolare questo tipo di mafia”.

E ancora.

“Il messaggio positivo del mio libro è nell’ antimafia delle piccole cose’. Ognuno di noi può riconoscere piccoli atti di malaffare che poi andrebbero ostacolati nella quotidianità”. La domanda a questo punto di Sasy Spinelli, coordinatore provinciale di Libera presente all’evento, rivolta a De Riccardis “I piccoli passi compiuti dall’antimafia sono riusciti a creare una memoria collettiva dopo gli ultimi fatti accaduti a Foggia? Può servire l’antimafia delle piccole cose a contrastare la mafia?”.

La risposta dell’autore.

“Dobbiamo fare tesoro di tutte queste storie. Fare uno sforzo di aderenza al territorio. Si muore ancora per storie di sfruttamento da caporalato per esempio. E accadono delle cose che ci sembrano distanti, ma si verificano nella nostra realtà”.

Daniela Iannuzzi

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