In Italia, un tempo, in ogni paese, l’abito tradizionale femminile d’occasione era quello della “pacchiana”, ovvero della contadina. Con il termine pacchiana, non si intende solo la contadina, ma anche la donna di modeste condizioni che una volta vestiva con abiti tradizionali, confezionati con stoffe dai colori sgargianti e assortiti.
La stessa, in occasione di cerimonie o nel corso di giornate festive abbelliva l’abito indossando collane con medaglioni, orecchini, braccialetti e anelli d’oro.
Tale costume tipico popolare femminile, fino agli anni ’30-’40 era molto in uso anche a Manfredonia in particolare durante il carnevale. Va detto, altresì, che le giovani sipontine, in occasione della Festa dell’Uva che si celebrava in loco ogni anno, durante il fascismo nel mese di settembre, indossavano l’antico costume folcloristico da “pacchiéne” (pacchiana).
Va evidenziato, che a Manfredonia, sempre nel periodo di Carnevale, c’era l’usanza di cucire e vestire anche le bambine con abito da “pacchianélle” (pacchianella). L’antica foggia del costume “a pacchiéne”delle nostre avi, aveva queste caratteristiche: La gonna, che lunga fino agli stinchi “i spezzille”, era confezionata con stoffa di vigogna “falzetibbe” o “vegògne” ed era di colore marrone o nero, con un sottogonna bianco o avorio di cotone lungo fino ai piedi. Inoltre, le leggiadre sipontine, calzavano “i chianille recaméte” di colori diversi “pu calecagne da fore” (tallone scoperto); oppure scarpe, tipo stivaletto che avvolgevano le caviglie, a loro volta allacciate con cordoncini di cuoio o ciabatte con tacco basso.
Sulla gonnella pieghettata, usavano portare un grembiule legato in vita, che poteva essere merlettato o plissettato a ventaglio, oppure fatto di stoffa e arricchito di “sfringele” (le frange). Intorno alla gonnella “a vunnèlle”, per abbellirla, venivano cucite strisce di stoffa colorata. Sempre alla gonna, abbinavano una camicia bianca di percalle o di cotone, oppure di macò, con maniche larghe raccolte all’altezza dei gomiti, con un corpetto di velluto nero o rosso, a volte anche ricamato e chiuso sul petto con laccetti di cuoio nero sottile.
Sul capo, “a pacchiéne” indossava “u faccertone de sèrge” (scialle pregiato leggero e di tessuto lucido tipo seta) che poteva essere anche fissato ai capelli con uno spillone e lasciato scendere sul corpo. Lo scialle, detto anche “faccelettone”, a sua volta, si portava anche sulle spalle con le due estremità “i duje pizze” incrociate e infilate alla vita sul davanti della gonna, oppure raccolto con “i doje ponde” le due punte sovrapposte sulla testa.
L’uso dello scialle fu introdotto in loco agli inizi del ‘500, allorquando Ferdinando II, re di Napoli, cedette il possesso del porto di Manfredonia ai veneziani. Altro copricapo dell’antico costume, andava sotto il nome “a mèzzascòlle”, grosso fazzoletto di forma triangolare, portato “alla rezzole” (alla pirata, o come le Baccanti dell’antica Siponto), meglio detto alla massaia e annodato sulla nuca, per raccogliere “u tóppe” i lunghi capelli solitamente portati dalle donne.
Sulla gonna, spesso, al posto del grembiulino, le sipontine, per abbellire il costume, usavano mettere “u faccettunìcchie”, che era uno scialle di media grandezza fatto di lana pettinata, a fantasia, di forma quadrangolare e con frangia, che veniva legato lateralmente alla vita, ma utilizzato anche per coprire il capo e le spalle.
Il costume della pacchiana era arricchito, a seconda del ceto sociale, con gli ori: collane e medaglioni al collo, spille sul petto e fermagli o spilloni tra i capelli, anelli e braccialetti. Era usanza, altresì, della pacchiana, portare con la mano destra un piccolo paniere con manico, costruito artigianalmente, pieno di uova fresche, simbolo nella civiltà contadina di vita e di rinascita. Mentre nel periodo di carnevale, “a pacchiéne” usava portare a corredo del costume il tamburello di stagno “u tammurrille de stagne” con sonagli oppure una borsetta a mò di sacchettino utilizzata come porta confetti.
Dopo la seconda guerra mondiale, durante il carnevale, il costume da “pacchiéne” subì trasformazioni, con gonne più leggere, e non sempre lunghe, cucite con raso lucido colorato e con fasce della stessa stoffa intorno alla gonna. Al costume era abbinata una camicetta di organza e un corpetto realizzato sempre di raso nero chiuso con laccetti. Sulla gonna veniva messo un grembiulino e sul capo delle frontiere colorate che richiamavano le fasce applicate.
Un tempo le donne non si truccavano, per non essere tacciate di “mal costume”, ma in occasione delle feste, usavano mettere di nascosto “úmm’a ùmme” sul viso “u citt’è ccitte” un velo di cipria rosa. Va infine evidenziato, che a Manfredonia, fino agli inizi degli anni ’50 del secolo scorso, era usanza di alcune mamme che non avevano figlie femmine, cucire e vestire i maschietti non solo con il costume da pacchianella, ma anche con altri abiti artigianali di carnevale per bambine.
N.B.- Notizie complete sui costumi del Carnevale Sipontino dell’800 e del ‘900, è possibile trovarle da pag. 41 a pag. 58, nel volume: “IL CARNEVALE A MANFREDONIA” (Dai Ludi Sipontini al terzo millennio)- di Franco Rinaldi e Vincenzo Di Staso- Amministrazione Comunale di Manfredonia–Assessorato al Turismo-Collaborazione Upping-Manfredonia- Stampa Gercap-Foggia-2010.
fotogallery
E’ sempre interessante, almeno per me, leggere articoli di Franco Rinaldi, corredate anche di foto come in questo caso. non mi convince questo mettere i costumi tradizionali “la pachianella” nella tradizione del carnevale che è trasgressione, capovolgimento dei ruoli, maschile/femminile, padrone/cafone.
Il carnevale è morto , Viva Carnevale.