Manfredonia – LO Stato di diritto è basato sulla separazione dei poteri e sull’uguaglianza di tutti i cittadini dinnanzi alla legge. Ma ancora prima dello Stato di diritto esiste la società; una società che per esser civile deve reggersi sul “contratto sociale”: ogni cittadino accetta di ‘sottostare’ alle leggi, così acconsentendo che il potere di giudicare, e di rendere pertanto giustizia, sia delegato ad un organo relativo. Mancando una accettazione serena di questi principi (fondamentali) si può pertanto andare incontro ad uno stadio di ‘caos’, con il rischio di uno ‘smantellamento totale’ dello stesso Stato di diritto. Prima dell’intervista con l’avvocato Salcuni (Vanni, civilista di Manfredonia), per discutere dei recenti provvedimenti del Governo adottati in materia di giustizia, non era stata minimamente immaginata una discussione di filosofia del diritto. Un esame meramente fazioso della cronaca attuale avrebbe infatti portato (in maniera verosimile) a polemizzare sul “cui prodest?”, privando in tal modo, il lettore, di una visione d’insieme necessaria per discernere le intenzioni (che “possono” essere buone ) dai fatti. Il parere emerso nel collocquio è stato invece tecnico e da esperto del diritto, lucido e scevro da passioni fuorvianti, in una sola parola: chiarificatore.
Una premessa è d’obbligo. Da qualche tempo, maestri del giornalismo italiano, come ad esempio Giorgio Bocca, ma anche degli eminenti giuristi, come Stefano Rodotà, parlano di “democrazia autoritaria”. Il sistema politico italiano sarebbe diventato infatti assolutistico: a causa della nuova legge elettorale, i parlamentari nazionali non verrebbero più eletti dal popolo, ma “scelti” direttamente dal capo. Le conseguenze di questa situazione sono presto dette: senatori e onorevoli potrebbero rispondere ora delle loro azioni, e delle loro decisioni, non direttamente al popolo, come prevede la nostra Costituzione, ma a coloro che hanno scelto di candidarli: vale a dire ‘il capo’. In questo modo verrebbe a mancare il cd ‘dissenso’ all’interno dei partiti: il parlamentare eviterebbe di ‘dissentire’, proprio per il timore di non essere candidato nella successiva tornata elettorale. La Costituzione italiana, che descrive il regime nazionale come ‘democrazia parlamentare’, sarebbe stata pertanto ‘modificata’ (in modo tacito) proprio in un punto fondamentale come quello della forma governativa. E’ in questo contesto che si inseriscono le discussioni, avute con l’avvocato Vanni Salcuni, in merito alle leggi cd ad personam; dopo la bocciatura, da parte del Consulta, del Lodo Alfano, sono attualmente al vaglio delle Camere tanto il disegno di legge sul legittimo impedimento (già approvato dalla Camera) quanto il ddl sul cd processo breve (approvato dal Senato). Già annunciati dal Governo i passi successivi alle approvazioni succitate: da una parte il ripristino dell’immunità parlamentare, da un’altra l’approvazione del Lodo Alfano bis, questa volta come legge costituzionale.
La prima domanda rivolta, nel corso dell’intervista, all’avvocato Vanni Salcuni fa proprio riferimento al caso del ‘legittimo impedimento’, definito recentemente dal Ministro Angelino Alfano “nient’altro che il diritto a governare di fronte ad una congerie di processi” che vedono imputato il premier. Il legittimo impedimento, dice l’avvocato Salcuni, è già presente nell’ordinamento italiano. Tutti i codici di procedura penale stabiliscono infatti che “quando l’imputato non si presenta all’udienza”, e risulta che l’assenza sia stata originata da “una assoluta impossibilità di comparire per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento”, il giudice ha allora il dovere di “rinviare il processo”. La novità è rappresentata dal fatto che il ddl attuale riguarda soltanto il premier e i Ministri, rendendo la funzione di governo di per sè causa di legittimo impedimento a comparire ai processi penali che li vedano imputati.
Sono diversi i profili di incostituzionalità individuati dall’avvocato Vanni Salcuni, nel corso dell’intervista, relativamente a questa disciplina: “innanzitutto, come già nel caso del Lodo Alfano, appare evidente la violazione dell’art. 3 della Costituzione, relativa al principio di uguaglianza”. “Perchè solo il premier e i ministri, e non i sottosegretari, ad esempio, o i Presidenti di Regione? – dice Salcuni – Ma anche ammettendo che si possa agire in tale senso, occorrerebbe circoscrivere il più possibile i casi di legittimo impedimento con ipotesi tipiche e tassative”. Al contrario, si legge: “ogni attività, comunque, coessenziale alle funzioni di Governo” (art.1, comma 1). Espressione talmente vaga da poter includere qualunque cosa, commenta laconico l’avvocato Salcuni.
Ma non è tutto: mentre nell’attuale disciplina è il giudice a certificare la presenza effettiva del legittimo impedimento, nella nuova è la stessa Presidenza del Consiglio ad “autocertificare” l’impossibilità a comparire. Questa l’intuizione dell’avvocato Salcuni: “il legislatore sa già che il ddl è incostituzionale, dato che tocca una materia che necessita di legge costituzionale, e lo rivela all’art.2 – spiega l’avvocato- dove afferma che la legge è una normativa -ponte”, vale a dire “transitoria”. “Sarà valida fino alla legge costituzionale, il Lodo Alfano bis. Un’implicita ammissione di colpa”
Regione-Territorio Avvocato Salcuni: questa giustizia è 'Ad personam'
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