Titolo originale: The King’s Speech
Nazione: Regno Unito/Australia
Genere: storico, commedia drammatica
PUO’ un tema atipico, singolare e apparentemente privo di struttura, come il rapporto tra un reale, la sua balbuzie e un insolito logopedista australiano, esser materia di buon cinema per quasi due ore?
Dodici candidature all’Oscar più numerosi altri premi sembrano non lasciare molti dubbi, tarature critiche a parte, e un po’ di fantasia e memoria cinefila non possono, parimenti, non riconoscere nel soggetto, al di là dell’arduo compito di sviluppo, la potenziale occasione per un classico plot di stampo britannico.
Tom Hooper prende la palla al balzo e sforna un tipico prodotto da notte degli Oscar, un ibrido tra storia, dramma e commedia, imperniato su un difetto che si scontra grottescamente con la figura regale del protagonista, il Principe Alberto, futuro re Giorgio VI, ma che diventa tragedia quando si abbandona l’occhio pirandelliano per scrutarne l’impedimento storico di un uomo alla soglia di grandi eventi (la Seconda Guerra Mondiale).
L’astuzia principe di Hooper – e anche la sua furbizia commerciale, nel senso buono – è nella scelta di alternare il registro comico-grottesco con quello drammatico con un dosaggio sapiente, un delicato equilibrio di pesi che ha del britannico prima ancora dello stesso tema. Si ride di buon gusto in alcuni frangenti, ma non si resta sorridenti per troppo e, comunque, mai tanto da percepire il film come sola commedia. Il rapporto tra il Duca di York e il suo dottore è frizzante e doloroso allo stesso tempo, un confronto alla pari in cui regalità difettosa e umiltà professorale si fronteggiano e si equilibrano in una danza deliziosa, che racconta perfettamente l’origine di un’amicizia virile agli atti della storia – il logopedista sarà accanto al re per tutta la sua vita e durante tutti i suoi importanti discorsi. Bella prova per Colin Firth, ma ancor più pregevole quella di Geoffrey Rush, che gli ruba la scena con un’eleganza per personaggio e recitazione che ricorda il miglior David Niven. Helena Bonham Carter padroneggia con disinvoltura il campo, in una veste insolita rispetto a quelle dark diventate suo marchio attoriale, ed è spalla ideale nella rappresentazione della compagna affettuosa e materna di un uomo debole ma umano, e dunque finalmente nobile contro la regalità formale, sterile e impietosa dell’aristocrazia che lo circonda.
La pellicola, già retta egregiamente dal trio d’attori, s’impreziosisce per lo stile, per la cura dei dettagli, delle inquadrature, che nei campi-controcampi tentano soluzioni raffinate, addirittura più alte dello stesso livello medio del prodotto, e nei frequenti usi del grandangolare, soprattutto nella prima parte, deformano e sottolineano i disagi del Principe Alberto, proiettano il difetto sulla realtà e ci raccontano una visione tormentata prima ancora che un fatto.
A fronte di una narrazione armoniosa e del fascinoso stile british, quel che appare in finale del film è, tuttavia, un accontentarsi o, forse, un’incapacità di alzarsi dell’opera dal buon lavoro da Oscar, che non fa spiacere la critica e fa molto ben parlare di sé il pubblico, il quale resta compiaciuto e convinto dell’alta caratura del film. Il discorso del re è, così, una sofisticata (ma non raffinata) proposizione a veicolo di una storia favolistica, lineare e ben recitata, che tocca un’ampia gamma emotiva e accontenta tutti i palati, un bel racconto che riconcilia col cinema, sempre più aggressivo, e che, grazie a un curato incartamento, lascia lo spettatore medio libero da sensi di colpa reverenziali nei confronti della critica e sereno di urlare “bellissimo!”.
Peccato che Il discorso del re sia solo bello, seppur magistralmente eseguito.
Ci si congeda con le sue dodici candidature, ma senza timori si continua a sospettare che i vertici siano altrove. In attesa de Il Cigno Nero e Il Grinta, ad esempio, prossimamente su queste pagine.
Miglior film, miglior regista (Tom Hooper), miglior attore protagonista (Colin Firth), miglior attrice non protagonista (Helena Bonham Carter), miglior attore non protagonista (Geoffrey Rush), miglior sceneggiatura originale (David Seidler), miglior colonna sonora originale (Alexandre Desplat), miglior fotografia (Danny Cohen), migliori costumi (Jenny Beavan), miglior montaggio (Tariq Anwar), miglior scenografia (Eve Stewart e Judy Farr), miglior sonoro (Paul Hamblin, Martin Jensen e John Midgley).
Voto: 7.5/10
Spoiler: 1/10
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Black Swan, D. Aronofsky (2010) – probabile centro per il regista di Requiem for a Dream * 18feb
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Il discorso del re – T. Hooper, 2010I
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