StatoQuotidiano.it, 14 maggio 2022. Giorni fa, nella Cattedrale di Manfredonia, è stato presentato da me e dal vescovo Padre Franco Moscone, il nuovo libro di Papa Francesco dal titolo “Contro la guerra. Il coraggio di costruire la pace” (Ediz Solferino, 2022). In queste pagine il pontefice affronta la questione da diversi punti di vista.
In primo luogo il vescovo di Roma parte col condannare la guerra, convinto del fatto che essa nasca dentro di noi. E’ figlia dalla cultura di morte e della cultura dell’indifferenza. Le guerre che combattiamo fuori di noi prima nascono dentro di noi, nel fondo del nostro cuore. Per questo è necessario che il cuore vada pulito, ordinato, purificato, liberato. Da che cosa? “Dalle falsità che lo sporcano, dalle doppiezze dell’ipocrisia. Tutti noi ne abbiamo. Sono malattie che fanno male al cuore, che infangano la vita, la rendono doppia. Abbiamo bisogno di essere ripuliti dalle nostre ingannevoli sicurezze […] Abbiamo bisogno che siano spazzate via dal nostro cuore e dalla Chiesa le nefaste suggestioni del potere e del denaro” (p. 108).
Il pontefice afferma che la guerra stravolge tutto, è follia pura. Non è un fantasma del passato, ma è diventata una minaccia costante. Per questa ragione la guerra la fa chi ha la memoria corta. Infatti “se avessimo memoria, sapremmo che la guerra, prima che arrivi al fronte, va fermata nei cuori. L’odio, prima che sia troppo tardi, va estirpato dai cuori. E per farlo c’è bisogno di dialogo, di negoziato, di ascolto, di capacità e di creatività diplomatica, di politica lungimirante capace di costruire un nuovo sistema di convivenza che non sia più basato sulle armi, sulla potenza delle armi, sulla deterrenza. Ogni guerra rappresenta non soltanto una sconfitta della politica ma anche una resa vergognosa di fronte alle forze del male” (p. 10). Insomma, la pace è l’unica alternativa che abbiamo. Esige coraggio: il coraggio dei miti. Perciò la guerra è un lusso che non possiamo più permetterci.
Ma la pace non va vista come una semplice protesta contro la guerra, o come il risultato di soli negoziati e di compromessi politici nè di mercanteggiamenti economici. La pace non può scaturire dai deserti dell’orgoglio e degli interessi di parte, dalle terre aride del guadagno a ogni costo e del commercio delle armi. Inoltre, la pace “non è la quiete di chi schiva le difficoltà e si volta dall’altra parte, se i suoi interessi non sono toccati; non il cinismo di chi si lava le mani di problemi non suoi; non l’approccio virtuale di chi giudica tutto e tutti sulla tastiera di un computer, senza aprire gli occhi alle necessità dei fratelli e sporcarsi le mani per chi ha bisogno” (p. 119).
Solo che per arrivare a una pace vera bisogna fermare la corsa agli armamenti. Il pontefice e riguardo ricorda che “Hiroshima è stata una vera catechesi umana sulla crudeltà”. Ricordare Hiroshima significa tenere sempre vivo il ricordo del fatto che quell’abisso di dolore deve servire a “richiamare i limiti che non si dovrebbero mai oltrepassare” (p. 72). Di conseguenza non possiamo, “proporre la pace se usiamo continuamente l’intimidazione bellica nucleare come ricorso legittimo per la risoluzione dei conflitti”.
E’ stato il grande limite della Guerra fredda in tutti questi anni, e che pensavamo fosse stata superata. Non si costruisce la pace facendo paura all’altro a causa delle armi che possiedo. Non si può amare una persona o un popolo tenendo armi offensive in pugno. Il pontefice ricorda una frase di Einstein il quale aveva detto che «La quarta guerra mondiale si farà coi bastoni e con le pietre» (p. 76). Questo significa che per la Chiesa l’uso delle armi nucleari è immorale, e non solo l’uso, ma anche il possesso, perché un incidente, a causa di un possesso, o la pazzia di qualche governante, la pazzia di uno solo uomo può distruggere l’umanità.
A un certo punto il pontefice, a pag. 56, ci consegna una specie di manifesto per la pace, quando dice che afferma che “la pace deve essere costruita sulla giustizia, sullo sviluppo umano integrale, sul rispetto dei diritti umani fondamentali, sulla custodia del creato, sulla partecipazione di tutti alla vita pubblica, sulla fiducia fra i popoli, sulla promozione di istituzioni pacifiche sull’accesso all’educazione e alla salute, sul dialogo e sulla solidarietà”.
E ci consegna (pp. 119-120) quattro parole fondamentali che tutti gli operatori di pace dovrebbero fare proprie. La prima parola è PERDONO, inteso come il frutto di una conversione interiore e che consiste nel mettere l’altro di fronte ai propri errori per dargli l’occasione di cambiare vita. E’ “sanare le ferite del passato” e liberare il presente dal potere dei sensi “disponibilità al dialogo, superamento delle chiusure, che non sono strategie di sicurezza, ma ponti sul vuoto”. In terzo luogo vi è la parola COLLABORAZIONE, intesa come “scambio vivo e concreto con l’altro, che costituisce un dono e non un problema, un fratello con cui provare a costruire un mondo migliore e non un nemico da distruggere.
Infine vi è la parola EDUCAZIONE, nel senso che ognuno di noi ogni giorno è chiamato a imparare la “difficile arte della comunione, ad acquisire la cultura dell’incontro, purificando la coscienza da ogni tentazione di violenza e di irrigidimento, contrarie al nome di Dio e alla dignità dell’uomo”.
E poi la pace è anche un dovere che abbiamo verso le nuove generazioni specie quelle che verranno. Scrive il papa: “Le nuove generazioni si alzeranno come giudici della nostra disfatta se abbiamo parlato di pace ma non l’abbiamo realizzata con le nostre azioni tra popoli della terra” (p.71). Insomma la pace è una grande esperienza di alterità, è nasce dal rispetto della differenza, perché “La differenza non è motivo di conflitto, di polemica o di freddo distacco” (p. 118), ma di incontro e di rispetto.
Da ultimo il papa spiega il nesso che c’è tra pace e religione quando affronta il tema del terrorismo e del fondamentalismo religioso. Come ha detto Giovanni Paolo II c’è un “legame intrinseco tra un atteggiamento autenticamente religioso e il grande bene della pace” (p. 118). Come insegna Francesco di Assisi, citato dal pontefice, “la violenza non rappresenta la vera natura della religione. È invece il suo travisamento …Solo la pace è santa, non la guerra!” (p. 118).
Insomma, per papa Francesco la strada per costruire la pace, è quella di immergerci nelle situazioni e dare il primo posto a chi soffre; di assumere i conflitti e sanarli dal di dentro; di percorrere con coerenza vie di bene, respingendo le scorciatoie del male; di intraprendere pazientemente, con l’aiuto di Dio e con la buona volontà, processi di pace. Essa va coltivata anche nei terreni aridi delle contrapposizioni, perché oggi, malgrado tutto, non c’è alternativa possibile alla pace. E poi, ancora, la pace esige che l’arte dell’incontro prevalga sulle strategie dello scontro, che all’ostentazione di minacciosi segni di potere subentri il potere di segni speranzosi. E’ saper accogliere le ragioni altrui.
Inoltre, non c’è pace sena giustizia. Per questo, solo avendo cura che a nessuno manchino il pane e il lavoro, la dignità e la speranza, le urla di guerra si muteranno in canti di pace. Il papa non propone un pace che ci fa stare bene solo con noi stessi, che ci “anestetizza” o che addormenta la nostra coscienza. Questa è una pace egoista e sterile perché mi isola e mi chiude in me stesso. Invece il papa propone la pace evangelica, che al contrario non ti fa stare tranquillo, ma ti mette in movimento. “Non ti isola, ti fa andare dagli altri, crea comunità, crea comunicazione. È feconda e contagiosa, ti porta sempre avanti (p. 123).
La pace del mondo a volte annoia e stanca. Quella evangelica ti sazia senza stancarti e senza annoiarti. La pace non è anestesia, ma impegno. Lotta. Cammino, Profezia. Ed è per questo che il papa, a credenti e non credenti, propone di “contrastare la logica della paura con l’etica della responsabilità’ (p. 50).
A cura di Michele Illiceto, 14 maggio 2022