MANFREDONIA (FOGGIA) – (di Michele Illiceto) La città è fatta di persone, e le persone vivono in famiglia. E le famiglie abitano nei condomini. E i condomini formano un quartiere, e sono i quartieri che, a loro volta, fanno la città. Sono essi i veri luoghi dove si decide tutto. Qui la gente ci vive e ci passa, lavora, si incontra, si riposa.
Se i quartieri funzionano, anche la città funziona. Ma a chi tocca farli funzionare? Bella domanda!!! Ed è qui che facciamo a scarica barile. Invece tocca a noi: i cittadini.
E, allora, bisogna ri-occuppare i quartieri. Abitarli non da spettatori ma da protagonisti. Starci non con l’indifferenza di chi sopporta gli altri che ci abitano, ignorandosi a vicenda, e quasi facendo a gara per evitarci. Ma abitarli prestando attenzione, prendendosene cura nei minimi dettagli, con un minino costo e un massimo beneficio.
Solo la cura (di tutti e di ciascuno) è il rimedio alla reciproca indifferenza. Al degrado e all’abbandono. Ma anche al sopruso e all’arroganza. Alla negligenza, fino ad arrivare alla mancanza di senso civico. Che poi può sfociare nella violenza e nella delinquenza.
Insomma, da cittadini tiepidi dobbiamo trasformarci in cittadini svegli e vigili, interessati e appassionati. Si tratta di riappropriarsi degli spazi pubblici come luoghi di aggregazione e di incontro, di socializzazione e di partecipazione, di condivisione e di reciproco sostegno. Come se sime si tornasse al vecchio “vicinato”, dove tutti appartenevano a tutti.
I quartieri sono veri luoghi comunitari, dove gli anziani possono scendere e passeggiare con tranquillità e i bambini giocare in parchi giochi custoditi e attrezzati. Se così fosse non ci sarebbe più distinzione tra centro e periferie. Non ci sarebbero neanche più le stesse periferie. Saremmo tutti al centro – senza per forza abitare in centro – se al centro mettessimo la periferia dei quartieri.
La città la dobbiamo intendere come una comunità di comunità, e non come un agglomerato di individui isolati tra di loro, estranei e chiusi in se stessi, reclusi nel proprio spazio privato e prigionieri di case belle dentro ma fatiscenti fuori, inserite in spazi pubblici lasciati all’incuria.
Non una città vissuta come un luogo neutro che non ci appartiene, dove le persone si sentono ignorate oppure, peggio ancora, alienate. O addirittura scartate. Se tornassimo a prestarci reciproca attenzione, a guardarci un poco meglio negli occhi, non tanto per spiarci ma per custodirci e aiutarci, nei quartieri nessuno sarebbe invisibile e nessuno sarebbe escluso. Al contrario, chi sa fare qualcosa, la metterebbe a disposizione degli altri. Perché, se tutti danno. Ecco che tutti ricevono.
Se nei quartieri la gente si sentisse unita e legata a questioni che riguardano tutti, a loro volta sarebbe facile unire i quartieri per il bene della città. Eviteremmo una città divisa, dove tante parti in conflitto e in competizione, anziché fare il bene della comunità, ne ostacolano la realizzazione.
Spero che la prossima Amministrazione comunale faccia questo passo avanti: fare dei quartieri delle piccole comunità che condividono risorse, talenti, processi, fatiche ma anche gioie, momenti belli e anche momenti difficili. Organizzano feste ed eventi. E per fare questo li si dovrebbero attrezzare e promuovere. Riqualificarli.
Pensate ad es. alla domenica: tutti potrebbero scendere nella piazza di quartiere per vivere insieme momenti di amicizia, per fare sport, o per qualche momento musicale o di cultura, o per giocare o per qualche lavoro collettivo di manutenzione.
Ma per iniziare, è necessario uscire dai propri appartamenti come se fossero dei piccoli bunker. Spegnere il pc e il cellulare, o peggio la tv, e scendere dai propri piedistalli. Cominciare anzitutto a conoscersi e salutarsi, ad accogliersi, a sostenersi nelle reciproche fragilità e difficoltà.
Si può iniziare, cominciando dalle piccole cose: da un albero da piantare o da un giardino da sistemare, da un lampione da aggiustare o da una strada da pulire, da un anziano solo in casa da visitare, da un gattino o da un cane da adottare. Da dei ragazzi che hanno bisogno di un sostegno scolastico o da un parco giochi da risistemare. Partire da qui per poi arrivare alle cose grandi. Ma tutti insieme: piccoli e grandi. Senza distinzione né di classe né di altro. Tutti adotteremmo un pezzo di quartiere e tutti verremmo adottati. Tutti adottano e tutti sono adottati. Altro che adozione a distanza.
Si potrebbe proporre di tornare ai vecchi consigli di quartiere, però stavolta farli funzionare sul serio, e non intenderli più come inutili propaggini dei partiti di una volta. Sarebbe bello se per ogni quartiere si conoscesse quanti anziani soli ci sono e organizzare un servizio spesa per loro. Oppure quante famiglie versano in condizioni di disagio di varia natura. Prendersi cura dei disabili dando loro il giusto spazio in cui valere le loro grandi risorse.
Insomma penso ai quartieri come a tanti piccoli Kibbutz: comunità che sanno prendersi cura di tutti e di ciascuno.
Ed è qui che le associazioni dovrebbero lavorare: quartiere per quartiere. Non assistendo, ma promovendo un senso di partecipazione attiva e costruttiva che, come una reazione a catena, fa diventare tutti gli abitanti soggetti impegnati e attivi. Responsabili. Tutti custodi della città partendo dalla cura e dalla custodia dei quartieri.
E’ questa rivoluzione la vera elezione elettorale. Essa è rivoluzione culturale, sociale e politica. Non aspettate il periodo elettorale per cambiare la città. Da domani, guardatevi intorno, e se c’è un pezzo di quartiere che merita la vostra attenzione e la vostra cura, allora formate un gruppo, fate comunità. Uscite dal vostro io e fate uscire anche gli altri.
Non aspettate di andare a votare per cambiare la città. Ma votate voi stessi. Sì, ho detto bene: votate voi stessi. Siete voi i futuri sindaci. Siate sindaci di voi stessi. Basta con questa delega che rende inutile il ruolo di chi ci governa. Ciascuno voti se medesimo come cittadino e come sindaco del proprio luogo dove vive e abita. Ma lo faccia subito prendendosi un pezzo di quartiere da animare e da curare.
Manfredonia non ha bisogno solo di un sindaco, ma di tanti sindaci. Diventiamo tutti sindaci. Cioè diventiamo tutti persone che sanno prendere in mano la propria città. E non per esibizionismo o per fare a gara. Anche questa è una forma di potere. Dobbiamo invece sentirci tutti servitori della nostra comunità. Basta con questa stupida tentazione di comandare. Siamo gente seria. Le persone sagge sono quelle che sanno che l’unico potere è quello di servire il bene di una causa comune.
E, allora, tutti in campo e tutti in gioco. Professionisti, operai, negozianti, medici, casalinghe, famiglie, parrocchie, associazioni, scuole, studenti, giovani e anziani. E non per bontà, ma per una questione di saggezza e di civiltà. Per solo buon senso. Per un atto di onestà. L’individualismo è una malattia che non colpisce solo chi lo subisce ma anche chi lo pratica.
Si tratta di un gesto di maturità, perché chi è maturo non guarda solo al proprio interesse, ma sa guardare oltre il proprio orticello. E anche perché, se nel quartiere le cose funzionano – e funzionano anche grazie a me e a te – anche io e te viviamo meglio.
La città è dei quartieri ma i quartieri sono di coloro che li abitano. Perciò, non vi aspettate che arrivi chissà quale sindaco-salvatore a salvare questa città. Questa città la possiamo salvare solo insieme. Ciascuno con il proprio contributo.
Alle prossime elezioni potrà anche capitare che venga eletto il migliorare sindaco del mondo, ma se la città non si sveglia, quel sindaco fallirà. Il sindaco potrà solo creare le condizioni, offrire gli strumenti, ma sono i processi che generano i cambiamenti e i processi sono le persone che li decidono, li fanno e li costruiscono, sia come singoli che come comunità.
Io e i miei alunni del Liceo lo faremo nelle prossime settimane. Ci guarderemo intorno e non ci volteremo dall’altra parte. Adotteremo un pezzo della nostra città.
Perché la città, prima che fuori di noi, è dentro di noi! La città siamo noi!
A cura di Michele Illiceto
Condivido tutto. Bravo … e grazie
Ma lei gira per i quartieri?Basta con le teorie ci vuole pratica. Vengono signori, venghino.
Filosofia… il pragmatismo???
Sono convinto che tu sei l’uomo migliore per amministrare la nostra Città perché non abbiamo bisogno di politici di professione e neanche di imprenditori con conflitti di interesse palesi ma di un educatore che possa insegnare a noi tutti come vivere la socialità. Sono sempre stato dell’opinione che mettere in ordine la nostra Città occorre prima mettere in ordine la nostra educazione, la nostra famiglia, la nostra vita personale e, non ultimo, i nostri cuori.
Condivido in toto ciò che ha scritto, belle parole e un gran bello invito a fare tutto con tutti.
Vero quello che dice sul personalismo, sull’essere io e nessun’altro, c’è ne vorrebbero di persone come Lei dice, ma c’è un dato di fatto, l’egoismo, il voler primeggiare a tutti i costi, l’arroganza e il non altruismo ci ha fatto arrivare a questo stato nella nostra bellissima città.
Le ferite che non riusciamo ad emarginare per colpa di chi ha fatto del proprio io e del proprio…amo la mia città.
Dobbiamo veramente e tutti insieme provare a votarci da soli ed essere sindaci di noi stessi.
Caro professore, prima ancora che lanciare proclami bisognerebbe imparare ed insegnare a guardarsi dentro ed ammettere che, il più delle volte, si è sbagliato; che le scelte di campo fatte nel passato sono state sbagliate ed hanno consentito a chi non meritava e si sapeva che non meritava, di salire a palazzo San Domenico per precipitare una Città nel buio della disperazione etica, morale ed economica. Lei che ne ha fatto modello di vita deve promuovere, prima di tutto il valore dell’onestà, sopratutto quella intellettuale, per essere credibili punti di riferimento per le giovani generazioni. Quanto ai valori proposti, frutto di una visione di comunità positiva, solidale, giusta, le azioni necessaria per realizzarla devono essere declinate con strategie ed obiettivi economici chiari e sostenibili, compito questo di amministratori capaci e disimpegnati da conflitti di interessi materiali o partitici.
Caro Michele, è vero la qualità della vita delle città dipende – io però dico anche – dal comportamento dei suoi cittadini, ci mancherebbe. Certo bisogna “rioccupare” i quartieri e abitarli non da spettatori passivi ma da protagonisti.
In questa nostra martoriata città, invero, non sono poche le persone che potrebbero svolgere un ruolo da protagonisti, ma preferiscono stare in disparte a curare… i propri interessi personali. Come dici tu, Michele, l’individualismo è una brutta malattia.
La tua analisi – che condivido – credo però che sottovaluti la dimensione politica (in senso stretto) del governo di una città.
In altre parole, il condominio, il quartiere e la città per “funzionare” bene hanno bisogno,
soprattutto di una classe politica, onesta e capace, che ha cuore solo il bene comune della comunità che amministra.
Tu sai benissimo – da docente di lungo corso – che nulla è più educativo del buon esempio!
Un caro saluto.
Pagate i debiti prima di dire fesseria
La misura dell’intelligenza è la capacità di cambiare.
(Albert Einstein)