Roma – “Analisi accurate della Commissione antimafia indicano che l’attività mafiosa nella quattro regioni di origine – Sicilia, Campania, Calabria e Puglia- è causa di un mancato sviluppo equivalente al 15-20% del PIL delle stesse regioni”. Lo ha detto il presidente dell’organismo, Beppe Pisanu illustrando la relazione di metà legislatura sull’attività di inchiesta della commissione. “Se molto sappiamo su come i capitali mafiosi vengono raccolti, ancora poco sappiamo su come vengono occultati e investiti nell’economia legale e nei circuiti finanziari nazionali ed internazionali”
Le mafie, ha calcolato Pisanu, nel nostro paese fatturano 150 miliardi l’anno dalle loro attività criminali e questo senza calcolare i proventi della corruzione, dei giochi e delle scommesse. Proprorzioni di guadagni che fanno capire ”quanto ancora lunga e difficile sia la guerra” che lo Stato deve condurre. ”Difficile perché dovremo combatterla più che sul versante militare, su quello assai piu’ sfuggente e impervio dell’economia, della finanza e della politica”. Questa l’analisi del presidente della Commissione parlamentare antimafia, Beppe Pisanu che ha presentato oggi la Relazione sull’attivita’ dell’organismo parlamentare relativa agli anni 2009-2010.
Pisanu ha ricordato l’influenza ”economica, sociale e politica” che le mafie ancora esercitano in tutte le zone del paese arrivando a fornire ”una vera e propria occupazione criminale”. Uno ”sciagurato reclutamento che avviene soprattutto tra le nuove generazioni e, in particolare, tra i giovanissimi provenienti dalle famiglie piu’ povere e a più basso livello di istruzione”. A preoccupare soprattutto la cosiddetta ”zona grigia” anche a livello sociale e civile. Pisanu ha, quindi, bocciato la cosiddetta ”teoria dei due tempi”: l’idea, cioè, ha spiegato il presidente dell’Antimafia, ”nella prassi finora vincente, che la mafia possa essere debellata nel Mezzogiorno, prima con le forze di polizia e poi con la riforma economica, sociale e culturale”. (fonte: Asca)
Redazione Stato
Pisanu accusa la mafia meridionale: “Ferma lo sviluppo”P
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In una Napoli che muore, la camorra è uno dei componenti della povertà, ma non è la sola e l’imprenditore diventa un’atleta agli ostacoli
In momenti di crisi, un imprenditore campano, lotta con le banche, con i fornitori, con i sindacati, con i dipendenti, contro le avversità che possono, in qualche modo, danneggiarlo o mettere in pericolo la vita della propria azienda.
A Napoli le avversità citate, non sono sufficienti. L’imprenditore campano ha bisogno di altri elementi, con cui misurarsi, per aver successo nella propria mission.
Immaginatevi una corsa agli ostacoli, dove l’atleta si trova d’avanti una serie di barriere. La prima è rappresentata dalla burocrazia, che crea ogni difficoltà al neo imprenditore, spesso disorganizzata, inopportuna, rappresentata da impiegati che spesso difendono interessi locali a discapito di nuove imprese.
Il secondo ostacolo è rappresentato dalle banche, si proprio da quelle imprese che dovrebbero difendere e appoggiare opportunità imprenditoriali e giovani con un progetto valido, che non offrono nulla, neanche una valida risposta, ad un mare di domanda poste dai giovani imprenditori. Se non hai un santo in Paradiso, il tuo progetto non viene neanche preso in considerazione. In tutti gli Istituti di Credito, si ha l’impressione che abbiano avuto istruzioni di non concedere credito, di rientrare con i fidi, di raccogliere fondi per destinarli ai grandi gruppi e basta. Nulla più, dimenticando che le piccole aziende “erano” il pilastro della nostra economia.
Basti pensare che, lo stesso progetto, le stesse persone, la stessa azienda richiedente, lo stesso Istituto bancario, a Napoli boccia un progetto mentre a Treviso lo finanzia.
Il terzo ostacolo è la scelta dei fornitori, mica quelli meno cari e con la garanzia di servizi resi, non se ne parla proprio. Appena apri un’attività, piccola o grande che sia, un esercito di collaboratori e professionisti occasionali vengono a segnalarti quella o quest’altra azienda, le chiamano aziende “amiche”, imprenditori compiacenti insomma. Tu immagini di essere circondato da tanti “amici”, ma si presenteranno presto come i figli del diavolo, imponendoti prezzi, pagamenti etc…
Il quarto ostacolo sono i dipendenti, un esercito di senza lavoro, sempre alla ricerca dello stupido di turno. Una folla di disoccupati organizzati che non cercano un vero lavoro, ma qualcuno da sfruttare, pronti a combattere per distruggere il datore di lavoro, per ripulirlo insomma. E se qualcosa non funzionasse secondo i loro piani ? Tutto tranquillo, cè il delinquente di turno in famiglia pronto ad intervenire sull’imprenditore.
In Campania un imprenditore non deve far conto con le scelte strategiche, lo studio dei mercati, la ricerca di nuovi sbocchi, qui si deve difendere quotidianamente, organizzando la propria giornata, in termini di risorse, nel seguente modo: 2 ore per non estere derubato, 1 ora per non contrariarsi il camorrista locale, 2 ore per barcamenarsi nella scelta dei clienti, 2 ore per la produzione, 1 ora per le vendite, 3 ore per il recupero del credito dei mancati incassi, 1 ora per i fornitori. Senza volerlo ti accorgi che hai lavorato 12 ore e la giornata non è ancora finita.
In tutto questo nella completa assenza dei politici, delle istituzioni, del sindacato e di tutti quanti dovrebbero tutelarti.
Napoli sta morendo, piano piano, un sospiro alla volta, senza che nessuno si accorge di niente, ormai tutti avvolti dal fetore della mondezza.