Roma – C’era una volta Tornatore. C’era una volta un regista che al suo esordio, a soli trent’anni (1986) girò una pellicola iperrealistica,il Camorrista, dove arte, sincerità autoriale, denuncia sociale e tecnica cinematografica convergevano ad uno tra i più alti livelli mai raggiunti per un’opera prima. Successivamente firmò grandi pellicole come il pluripremiato Nuovo Cinema Paradiso, Una Pura Formalità e La legenda del pianista sull’oceano ma anche delusioni come Stanno Tutti Bene e Malèna. L’impressione che pervade l’ultimo lavoro di Giuseppe Tornatore, girato nella sua città natale Bagheria (o Baarìa) è di un prodotto ipertrofico che suona falso e strizza l’occhio al cinema americano.
La storia di una due generazioni di famiglie siciliane tra gli anni ’20 e ’80 appare costellato di avvenimenti storici dipinti con una grana molto grossa. Così, desiderando inserire troppi temi (il fascismo, le lotte dei contadine, la mafia, il comunismo ed i figli dei fiori) si rischia di non approfondirne nessuno e scendere, a volte, quasi nel macchiettistico. Così come appaiono come macchiette le star televisive (Beppe Fiorello, Nino Frassica, Giorgio Faletti, Ale e Franz) o delle fiction (Leo Gullotta, Raul Bova, Laura Chiatti e altri) che compaiono, a volte per pochi secondi, portando solo distrazioni allo spettatore senza arricchire in alcun modo la storia. Sembra quasi che nessuno voglia mancare alla sfilata in passerella per questa mega produzione, già preconfezionata per la Notte degli Oscar. La pellicola parte benissimo nelle prime scene, grazie ad una ricostruzione storica notevole (la vecchia Bagheria è stata ricreata fedelmente in un set a Tunisi) e alla discreta prova dei due attori (Francesco Scianna e Margareth Madè) ma va lentamente a sfaldarsi per mancanza di una solida narrazione unitaria e un montaggio fin troppo sincopato.
Il film ha inaugurato la 66^ Mostra internazionale d’Arte cinematografica di Venezia senza vincere alcun premio ma, ciò nonostante, è stata scelto per rappresentare l’Italia agli Oscar escludendo così Gomorra e il Divo (Gran Premio della Giuria a Cannes) due pellicole molto più interessanti ma, sicuramente, molto più scomode di Baarìa.
(foto tratta su gentile concessione da: squeezermag.wordpress.com)