Abbiamo chiesto al prof. M. Illiceto, docente di filosofia alla Facoltà Teologica Pugliese di Bari, di commentare a puntate la nuova enciclica sociale di Papa Francesco dal titolo “Fratres omnes” incentrato sul tema della fratellanza.
FRATRES OMNES. I PRESUPPOSTI FILOSOFICI. L’io, l’altro e il Noi
E’ stata pubblicata, il giorno di S. Francesco d’Assisi, la nuova enciclica di Papa Francesco dal titolo suggestivo Fratres omnes, “Fratelli tutti”, incentrata sul tema della fraternità-fratellanza, letta e coniugata in chiave sociale, economica e spirituale. Molti commenti già pubblicati ne spiegano i tratti salienti, l’articolazione e le proposte operative che conseguono, senza tuttavia indicare il presupposto filosofico-antropologico di tale enciclica, che invece è necessario tenere presente per una adeguata comprensione.
Il tema della fraternità rimanda alla categoria dell’alterità, rispolverata e messa in evidenza soprattutto nel Novecento, grazie a filosofi come E. Mounier, M. Bunber e E. Levinas. Il tema dell’alterità che ci permette di parlare della fraternità, viene introdotto dal fatto che in principio non c’è l’Io individualisticamente inteso – come molti pensano – ma il nostro essere stati il “Tu” di un altro. Quindi in principio non ‘è l’io ma l’altro.
Infatti, quando si nasce si contrae un debito con la vita, con gli altri, con la comunità, con se stessi. E forse anche con Dio. Siamo in debito perché ci troviamo ad esistere e ad avere qualcosa che non abbiamo scelto, che non abbiamo meritato, ma che abbiamo ricevuto. E se lo abbiamo ricevuto è perché un altro ce lo ha dato-donato. Da un “altro” abbiamo ricevuto ciò che siamo. E così, fatti da un altro scopriamo di essere fatti per un altro: ecco la base antropologica della fraternità che Papa Francesco utilizza per argomentare tutte le sue affermazioni.
Il fatto che veniamo da un altro significa che all’inizio non siamo ancora, o già da subito, un “io”, ma al contrario siamo nella condizione del “tu”. Siamo un “tu”. Il “Tu” di un Altro. All’inizio quindi non c’è l’io che esclude l’altro, ma un altro che ci permette poi di diventare un io. Prima di essere identità, siamo alterità. E dire alterità è dire prossimità, socialità, fraternità.
L’alterità – e la fraternità che ne segue – ci precede, ci istituisce e ci costituisce. Perciò, contro ogni forma di egoismo-egotismo, contro ogni primato dell’individualismo, contro ogni forma di narcisismo e di solipsismo, si sappia che l’altro viene prima. Detto altrimenti, non c’è io senza l’altro. Dimenticare questo significa compromettere anche il proprio io.
Ecco perché Papa Francesco afferma che “L’individualismo non ci rende più liberi, più uguali, più fratelli. La mera somma degli interessi individuali non è in grado di generare un mondo migliore per tutta l’umanità. Neppure può preservarci da tanti mali che diventano sempre più globali. Ma l’individualismo radicale è il virus più difficile da sconfiggere. Inganna. Ci fa credere che tutto consiste nel dare briglia sciolta alle proprie ambizioni, come se accumulando ambizioni e sicurezze individuali potessimo costruire il bene comune” (FRANCESCO, Fratelli tutti, n. 105).
Come ci ha insegnato il grande filosofo Hegel, nessuno potrà mai diventare se stesso, senza la mediazione dell’alterità dell’altro. Grazie al’alterità dell’altro, alla sua prossimità e alla sua fraternità, ognuno arriva anche all’alterità di sé. Perché anche io sono l’altro di me stesso. Come insegna la psicologia, una positiva relazione con l’altro mi aiuta a instaurare anche una positiva relazione con me stesso. Si prenda come esempio il bambino, il quale comincia a capire chi è grazie alla mediazione affettiva della alterità della madre. Il bambino matura la visione del proprio sé a partire da come egli considera il modo in cui viene visto dalla madre.
Questo significa che non siamo solo individui, come alcune teorie iperliberiste sostengono, ma anche comunità. Allo stesso modo non siamo solo comunità, come un certo marxismo radicale ha sostenuto, ma anche individui. Per esprimere questa doppia dimensione, individuale e comunitaria insieme, il cristianesimo, in particolare il filosofo del 400-500 d.c., Boezio, ha usato una bella categoria antropologica, dicendo che l’uomo è “persona”, in greco “prosopon” che significa volto e non solo maschera.
Perciò chi separa l’io dalla comunità divide l’uomo da se stesso e in se stesso. Persona è un termine che è stato ripreso dal filosofo E. Mounier agli inizi degli anni Trenta dello scorso secolo, fondatore del personalismo comunitario che poi ha trovato uno sbocco eccezionale nella filosofia dell’alterità di E. Levinas, Di ambedue mi sono occupato in un mio saggio filosofico di dieci anni fa dal titolo La persona. Dalla relazione alla responsabilità. Saggio di ontologia relazionale.
Bella cosa quindi scoprirsi “altri” di un “altro”. Questo significa che, come diceva il grande filosofo M . Buber, “In principio, c’è la relazione”. Pensavamo di essere solo un “io” e invece ci scopriamo che in principio non c’è l’io, ma il nostro essere il “tu” di un altro. Infatti, è solo dopo che accade l’Io, il quale, una volta accaduto, scopre di non bastare a se stesso.
Ecco a questo punto la seconda scoperta: dopo che sono passato dal mio essere un “tu” al mio essere un “io”, scopro che il mio “io” non mi basta. E allora mi apro ad un altro “tu”. E questo non bastare a me stesso è indice del fatto che ognuno di noi non è fatto “solo” per sé, ma anche per gli altri. In termini di relazione amorosa questo aspetto lo troviamo nel mito degli androgini raccontato da Platone nel suo dialogo più famoso: il Simposio.
Perciò l’intero iter della nostra esistenza si scandisce secondo tre tempi o grandi stagioni: il primo passaggio è dalla condizione dell’essere un “tu” a quella dove maturiamo un nostro “io”; poi scopriamo che il nostro io non ci basta, e allora ci apriamo a un altro “tu”; infine insieme riusciamo a costruire lo spazio del “noi”, spazio sociale e di fraternità che ci completa e ci perfeziona.
E allora la fraternità, in quanto espressione dell’alterità e della dimensione relazionale quale dimensione costituiva del nostro essere persone, non è solo una categoria che appartiene al lessico religioso, ma esso esprime ciò che in profondità umanamente siamo. Pertanto si tratta di una categoria antropologica che va coniugata e praticata in ambito civile, sociale, politico, economico. Come sostiene il Papa, la Rivoluzione francese ci era andata vicina, ma poi dei tre termini proclamati, “Liberté, Égalité, Fraternité”, la terza è stata come rimossa, forse perché troppo impegnativa. Il problema è che senza la Fraternité le altre due, la Liberté e la Égalité, sono fortemente compromesse. Ed è proprio su queste premesse che l’enciclica la rilancia come la grande utopia del futuro.
A cura di Michele Illiceto, Manfredonia 18 ottobre 2020.
È vero che per capire i filosofi ci vogliono i filosofi…Si poteva scrivere un articolo in maniera più semplice da comprendere…