StatoQuotidiano.it, 19 gennaio 2022. “La sentenza di appello ha fondato il diniego sotto due profili: da una parte, non era provato che le vittime avessero minacciato di morte l’imputato e, dall’altra, la condotta dell’imputato, in tesi dì reazione alle minacce dei fratelli,
era stata realizzata quando i fratelli si erano allontanati dal bar, ponendo fine al litigio“.
Con sentenza di recente pubblicazione, con data udienza riferita allo scorso 15 ottobre 2021, la Corte di Cassazione di Roma ha dichiarato “inammissibile il ricorso” proposto nell’interesse di Valentino Di Santo, nato a Foggia il 12/12/1975, avverso la sentenza del 30 ottobre 2019 della Corte d’Appello di Bari.
Come da atti, “nei confronti di Valentino Di Santo è ascritto il reato di tentato omicidio
di Paolo Di Santo (capo A) e di Ciro Di Santo (capo B), aggravato dai futili motivi, fatto commesso, in Foggia il 4 novembre 2015, investendo le persone offese, fratelli dell’imputato, con l’autovettura”.
“Con sentenza pronunciata in data 30 giugno 2016 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Foggia aveva dichiarato l’imputato colpevole dei reati ascritti e, riconosciute le attenuanti generiche prevalenti, l’aveva condannato alla pena di anni sei di reclusione”.
Con sentenza pronunciata in data 30.10.2019 la Corte di appello di Bari, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha ridotto la pena inflitta ad anni 4 di reclusione, con conferma nel resto.ù
“La dinamica del fatto è stata accertata sulla base della testimonianza delle due persone offese, riscontrata da quella di altri soggetti che avevano assistito ai fatti”.
“La mattina del 4 novembre 2015 i fratelli Paolo e Ciro Di Santo avevano incontrato in un bar il fratello Valentino, con il quale, in ragione di questioni economiche pendenti tra Valentino e Paolo, era iniziato un litigio, cui i fratelli Ciro e Paolo avevano posto termine uscendo dal bar. Di lì a poco venivano raggiunti dal fratello Valentino in auto, che, a forte
velocità, si dirigeva contro di loro. Paolo veniva investito in pieno, mentre Ciro solo di striscio”.
“Dopo il primo investimento, l’auto faceva marcia indietro e Paolo, caricato sul cofano, cadeva a terra; Valentino allora avanzava con l’auto cercando di investire Paolo, che però riusciva ad alzarsi e salire su un muretto, così evitando di essere nuovamente attinto”.
“La Corte di appello aveva condiviso la ricostruzione della dinamica dei fatti operata dal primo giudice, evidenziando che il consulente tecnico si era limitato a riferire che del primo investimento non erano rimaste tracce oggettive, come invece del secondo; e che il medico legale aveva riscontrato la compatibilità delle lesioni cagionate alle vittime con la riferita dinamica del fatto”.
“Quanto alla qualificazione giuridica del fatto – è riportato nella sentenza in oggetto della Cassazione – il primo giudice aveva ritenuto che, pur non essendosi verificato pericolo di vita, fosse stato integrato il tentato omicidio in ragione della idoneità degli atti a cagionare la morte e della loro direzione univoca, desumibile dalla reiterazione dell’azione di investimento che non aveva cagionato la morte solo per la prontezza delle vittime ‘che si sono rifugiati rispettivamente dietro a un veicolo parcheggiato e sul muretto mettendo così in salvo gli organi vitali e scongiurando l’evento letale’.
“L’imputato, poi, aveva agito con la volontà di uccidere entrambi i fratelli”, come riportato nella sentenza della Corte di Cassazione di Roma. “Sul punto, il secondo giudice ha evidenziato che un estraneo, il teste (…), era intervenuto dopo il primo investimento per richiamare l’attenzione dell’imputato e farlo desistere, ma vanamente; comunque, anche in precedenza l’imputato aveva minacciato di morte i fratelli, mentre la condotta successiva – l’imputato era fuggito rimanendo irreperibile per tre giorni – era
pure significativa della consapevolezza in capo all’imputato della gravità del fatto“.
“I fatti erano uniti nel vincolo della continuazione”.
“La Corte di appello ha escluso il riconoscimento dell’attenuante della provocazione, sul rilievo, da una parte, che non era stato provato che le vittime, nel corso del litigio al bar, avessero minacciato di morte l’imputato e, dall’altra, che le vittime si erano allontanate e quindi non vi era alcuna adeguatezza tra la loro condotta e quella dell’imputato”.
“La Corte di appello, infine, ha rilevato che il primo giudice non aveva applicato la diminuzione di pena per la scelta del rito abbreviato, e quindi ha proceduto a ridurre di un terzo la pena inflitta in primo grado”.
Ha proposto ricorso per cassazione il difensore di Valentino Di Santo, chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata.
Ora la decisione della Corte di Cassazione di Roma.