“Strana è pure la motivazione posta a base della vendita dei beni comunali: ‘proteggere le sentenze rinvenienti da contenziosi risalenti ad anni addietro’. Appare utile ricordare agli amministratori comunali che la ratio generale in materia contempla la vendita purché avvenga congiuntamente all’approvazione di un programma di valorizzazione dei beni comunali. Dove sarebbe il piano d’investimento delle entrate da alienazioni?! La verità, invece, che trattasi unicamente di un programma di svendita senza nessuna valorizzazione!”. “Il prendere a pretesto sempre e solo le sentenze e i contenziosi in corso appare ormai come una noiosa favoletta a cui i cittadini ormai non credono più. Non bastava aver applicato quasi il massimo dell’aliquota IMU, ora l’Amministrazione Dotoli vende anche tutto il patrimonio comunale. Che vergogna! Piuttosto, il sindaco e l’assessore Di Ianni non hanno sempre e pubblicamente affermato che i conti erano in ordine? Termini di Berlusconiana e Tremontiana memoria con le relative e disastrose conseguenze ormai vissute!”.
“Se i risultati sono quelli di mettere sempre pesantemente le mani nelle tasche dei lucerini, fino a vendere i beni della casa Comune, la conclusione è che l’Amministrazione Dotoli prima se ne va e meglio è per la Città. Ai Consiglieri Comunali, il Pd rivolge l’invito a reagire con il necessario sdegno politico, anche per i poteri a loro spettanti e sottratti ai cittadini, contro l’ulteriore danno che potrebbero subire dalla privazione del loro storico bene comune”.
Redazione Stato@riproduzioneriservata
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Da: avv. Eugenio Gargiulo (eucariota@tiscali.it)
Per installare una telecamera in un condominio, in caso di urgenza, non occorre il sì dell’assemblea!
La presenza di sistemi di videosorveglianza all’interno dei condomini rappresenta un fenomeno in costante crescita, e non a caso la recente riforma del condominio, contenuta nella Legge 11 dicembre 2012, n. 220, recante “Modifica alla disciplina del condominio negli edifici” ha inserito all’interno del Codice Civile l’art. 1122 ter, in base al quale “l’installazione sulle parti comuni dell’edificio di impianti volti a consentire la videosorveglianza su di esse sono approvate dall’assemblea con la maggioranza di cui al secondo comma dell’articolo 1136”.
Tuttavia, nonostante tale disposizione, la Corte di Cassazione, sezione II, con la recente sentenza 3 gennaio 2013, n. 71, ha individuato una possibile deroga a tale principio in presenza di talune circostanze.
Nel caso affrontato dalla Suprema Corte, un condomino, a fronte di azioni di danneggiamento, regolarmente denunciate, e per scoraggiare ulteriori simili atti, aveva provveduto ad installare un sistema di videosorveglianza dell’area condominiale destinata a parcheggio e del relativo ingresso. A fronte delle spese sostenute ciascun condomino provvedeva a rimborsare quanto dovuto, ad eccezione di una associazione, facente parte del condominio, che si opponeva a tale pagamento.
Della questione veniva investito il Giudice di Pace di Catanzaro che, con sentenza 6 ottobre 2005, n. 1536, condannava l’associazione al pagamento in favore dell’attore della quota di rimborso delle spese anticipate.
Avverso tale sentenza la soccombente proponeva ricorso in Cassazione, sostenendo che, alla luce della disposizione di cui all’art. 1134 c.c., nel nostro ordinamento vige il principio che, in tema di condominio, le spese relative alle parti comuni devono essere autorizzate dall’assemblea o dall’amministratore e, in mancanza di dette autorizzazioni, la spesa sostenuta dal singolo condomino non può essere rimborsata, salvo si tratti di spesa urgente, presupposto non sussistente nel caso specifico.
L’associazione inoltre lamentava una presunta violazione della privacy in base a quanto disposto dall’art. 615 bis c.p., in quanto l’installazione della videocamera era stata installata senza il consenso dei soggetti le cui immagini ed i cui dati sarebbero stati trattati.
La Corte di Cassazione con sentenza 3 gennaio 2013, n. 71, ha rigettato il ricorso condannando la ricorrente alle spese del giudizio di legittimità. Secondo i giudici della Suprema Corte, infatti, nel caso in esame, così come sostenuto anche dal Giudice di primo grado, sussisteva la necessità e l’urgenza di procedere all’installazione della videocamera, e ciò era confortato anche dal fatto che tutti i restanti condomini avevano provveduto al pagamento della propria quota.
In secondo luogo, riguardo la presunta lesione della privacy dei soggetti ripresi, la Suprema Corte ha dichiarato insussistenti gli estremi per la configurazione del delitto di interferenze illecite nella vita privata (art. 615 bis c.p.) nel caso in cui un soggetto effettui riprese dell’area condominiale destinata a parcheggio e del relativo ingresso.
Richiamando difatti un precedente orientamento, nella sentenza si evidenzia che trattandosi di aree destinate all’utilizzo di un numero indeterminato di persone, è da escludersi la tutela di cui all’art. 615 bis c.p., che si riferisce ai soli casi in cui ci sia una particolare relazione del soggetto con l’ambiente in cui egli vive la sua vita privata, in modo da sottrarla ad ingerenze esterne indipendentemente dalla sua presenza.
Foggia, 19 febbraio 2013 Avv. Eugenio Gargiulo