Manfredonia – «Il cigno e la tortora. Origene interprete del Cantico dei Cantici» – questo è il tema affrontato dal dr. Vito Limone (Università Vita-Salute San Raffaele, Milano) venerdì 15 maggio, presso l’Auditorium ‘Mons. Valentino Vailati’ di Manfredonia, quale conclusione della VI edizione del ‘Maggio di Cultura Cristiana’, rassegna organizzata dal prof. Michele Illiceto e patrocinata dall’arcidiocesi di Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo.
L’incontro è stato, inoltre, occasione della presentazione del libro: Origene, Commento al Cantico dei Cantici, a cura di Vito Limone, Feeria, Firenze 2014, pp. 430, € 30,00. Il dr. Limone ha scelto di concentrare l’attenzione su un tema molto affascinante dell’opera del Maestro cristiano alessandrino, il canto. E ha sottolineato che la novità di quest’opera, senz’altro una delle fondamentali della mistica cristiana antica, si comprende solo alla luce della differenza da ciò che l’ha preceduta. Così, anche la simbologia del ‘canto’, che caratterizza il commento origeniano al Cantico, è nuova in quanto il suo significato è inedito nell’antichità greca, dice cioè qualcosa di del tutto nuovo rispetto alla letteratura e al pensiero della Grecità.
A questo proposito, per mettere in luce la differenza tra il ‘canto’, quale è concepito da Origene nell’opera, e le forme del canto nell’antichità greca, si è soffermato prima di tutto sul canto di Orfeo, il canto poetico. Secondo la mitologia greca, infatti, Orfeo, figlio della più bella delle Muse, suonatore della cetra e della lira, aveva la capacità di ammansire col solo suono del suo strumento non solo le bestie più feroci, ma finanche i mostri infernali e persuadere gli dèi dell’Oltretomba a rilasciare l’amata Euridice. Il canto di Socrate, invece, canto filosofico, quelle parole ch’egli pronuncia nel dialogo del Fedone poco prima di morire, parole simili al canto dei cigni che, prima di lasciare questa vita, innalzano il canto più bello, è un canto di verità: come il cigno, animale profetico caro ad Apollo, prevede ciò che lo attende dopo la morte e, con il suo canto, gioisce di ciò che gli accadrà; così, le parole che il filosofo, che ha desiderato tutta la vita il sovrasensibile, pronuncia davanti alla morte, con cui solamente potrà possedere ciò che ha sempre atteso, sono parole di gioia, non di terrore.
Una terza, nuova forma del canto è introdotta, ha detto il dr. Limone, da Clemente, in quell’opera famosa che è un’introduzione alla filosofia, il Protrettico, in cui l’autore cristiano dice che, oltre al canto dei Greci – il canto di Orfeo, o quello di Socrate – c’è un nuovo canto, quello di Cristo, canto nuovo eppure eterno. Se il canto di Orfeo è un canto che seduce e quello di Socrate un canto che dice la verità, il canto di Cristo, che anche possiede le caratteristiche di questi due canti, è un canto che salva, che dona salvezza a coloro che lo ascoltano.
Questo motivo del canto, infine, torna anche nel Commento di Origene al Cantico, lì dove l’Alessandrino interpreta i versetti in cui si parla del canto della tortora. Il cantico della tortora – spiega Origene – è allegoria sia del canto di amore di Cristo per l’anima, che è attratta da Cristo come noi siamo attratti dal canto della tortora che, quanto più si nasconde in luoghi deserti, tanto più è cercata, ma è anche allegoria del canto d’amore dell’anima per Cristo, che è l’unico vero ‘sposo’ dell’anima, come la tortora è animale fedele al proprio compagno per tutta la vita. Il canto, dunque, di cui parla Origene – indica il dr. Limone –, quel canto che è allegorizzato dal canto della tortora, è un canto d’amore. L’incontro, inoltre, è stato seguìto da un vivace dibattito con il prof. Illiceto nonché con il pubblico presente in sala.
Fotogallery di Benedetto Monaco
Redazione Stato