Il piccolo scaraventato giù dal balcone del terzo piano di una abitazione situata in una via centrale di Napoli non si chiamava Astianatte ma Samuele. La televisione ci informa che non è stato un incidente, non è scivolato via dalle braccia di chi lo doveva proteggere in quel momento, l’uomo che prestava servizi di pulizia alla famiglia.
Gli investigatori sospettano un gesto volontario.Come volontario fu il gesto che i Greci fecero verso il piccolo figlio di Ettore, l’eroe troiano per eccellenza, la cui morte segnò la definitiva disfatta della città di Troia. Ricordate l’inganno del cavallo introdotto a Troia come sacrificio religioso, mentre in realtà conteneva un gruppo di armati che aprì le porte al resto dell’esercito greco?
L’esito fu la distruzione a tappeto della città e la deportazione di tutte le donne come schiave dei vincitori. Non ebbero, i Greci, nessuna pietà per il piccolo figlio di Ettore perché questo ragazzino, una volta cresciuto, avrebbe potuto ricostruire Troia e vendicare il Padre.
Spettava al figlio maschio, allora, in assenza di tribunali, la sacrosanta vendetta per la morte del genitore. I Greci naturalmente dal loro punto di vista non potevano correre rischi e gettarono giù dalle mura di Troia, ormai conquistata, il piccolo ma pericoloso, erede. In un parallelo terribile con la morte del piccolo Samuele. Non è Omero che ci racconta questa vicenda terribile.
Lo faranno i poeti tragici dopo di lui. Euripide, in particolare. La voce straziata che grida il suo dolore nella tragedia euripidea è quella della nonna paterna Ecuba, che ha già visto morire il vecchio marito Priamo in un omicidio assolutamente inutile alla logica della guerra; che ha già visto morire i figli maschi tra cui il più grande di tutti, Ettore; che deve essere deportata insieme alle altre donne rese schiave e che ora deve assistere all’indicibile: la morte del piccolo nipote. E che morte!
A lei, non alla mamma Andromaca cui viene negato l’ultimo saluto al figlio, a lei spetta il compianto funebre. E la vecchia nonna ricorda il corso contro natura degli eventi: non è nella natura che i vecchi precedano i giovani nella tomba. “Tu dovevi portarmi le offerte funebri, non io a te”, ricorda la nonna. Lo strazio su quel corpicino dilaniato è stato sempre presente nella storia del nostro Occidente. In tempi di guerra, Le Troiane raccontano con voce antica l’orrore che sempre si rinnovava, con il rovesciamento di ogni valore. Noi ora non stiamo in guerra, o forse sì. Ma è una strana guerra, la nostra. Che si consuma anche con altre armi, tra cui quella della riduzione dell’individuo alla perdita del senso della vita.
Il giovane, per ora ancora presunto omicida, infatti, ha immediatamente dichiarato agli investigatori la sua infermità mentale. E nessuno se ne era accorto. Perché la nuova guerra, che fa di noi consumatori di tv e di social, con poco spazio per le relazioni umane, sta cambiando i comportamenti umani. La solitudine non aiuta la malattia mentale. La rafforza. E prima che se ne vedano i segnali evidenti molti, a contatto con il malato di cui si ignora la pericolosità, rischiano la vita.
Questa guerra silenziosa e sottaciuta ci sta trasformando in individui chiusi e anestetizzati al dolore, incapaci di riconoscerne i segni. Troppo occupati in quel tempo inutile speso a diventare perfetti soggetti passivi di una società che vive del mito del consumo, dei soldi facili, dello scintillio vuoto di tutte le apparenze. E chi soffre di patologie ha tutto il tempo di compiere il male. Anche su un innocente bimbo di appena 4 anni.
Non sappiamo che ne sarà di questo assassino al momento solo presunto. L’iter di casi simili prevede la detenzione e insieme la cura, se possibile. O addirittura nessuna detenzione. Di certo sappiamo lo strazio del padre e della madre, all’ottavo mese di gravidanza. Di certo possiamo dare per scontata la sofferenza del nascituro. Quale sorriso materno potrà mai vedere, mi chiedo.
I bambini continuano a morire, da sempre. L’uomo non ha ancora fatto dell’omicidio un tabù. E neppure la strage degli innocenti è diventata un tabù. Il compito che ci spetta è spaventosamente difficile. Ma forse bisogna dare un inizio, senza assistere rassegnati a queste cronache di una quotidianità assurda e surreale. Questo tabù deve essere la priorità assoluta.
Nulla da aggiungere. Analisi lucidissima e colta. La perfezione non merita chiose. Orgoglioso di averti tra i miei confidenti abitualie di avertiavuto al mio fianco negli anni eroici del liceo