Francesco Marcone, per la città di cui è figlio semplicemente Franco, morto ammazzato nel portone della propria abitazione di Via Figliolia a Foggia nel marzo del 1995, la parola fine non la conosce ancora. E’ una vittima. Anzi, stanti i riconoscimenti, è la vittima delle vittime del capoluogo dauno. Medaglia d’oro al valor civile, per il Direttore dell’Ufficio Registro. Caduto sul lavoro, matrire. Semplicemente, come lo perpetua sua figlia Daniela, un “testimone”, staffetta di onore, figura di riferimento, cardine assoluto, baluardo morale.
I MISTERI – La storia processuale di Marcone è uno zero angosciato ed angoscioso. Quasi dieci anni d’inchiesta e mai nessun colpevole. Tutti partecipi, tutti coinvolti, tutti immischiati, ma nessun mandante, nessun esecutore. Soltanto l’armatore. Raffaele Rinaldi, ex impiegato dell’Ufficio del Registro. Per i giudici, verosimilmente dalle sue mani è partita la pistola che ha ammazzato Marcone. E che nel 1993, misteriosamente, ha sparato contro la porta di uno dei suoi superiori, Stefano Caruso, ombrosa figura, sfumata apparizione della vicenda. Ma Rinaldi muore in un mai chiarito incidente stradale, sbalzato dalla sua moto mentre, ai domiciliari, scorrazzava libero per il Gargano.
La chiusura dell’inchiesta è giunta per stanchezza. Troppe secche, troppo fango, difficile avanzare oltre. Il Giudice per le Indagini Preliminari, Lucia Navazio, dovette arrendersi al decesso di Rinaldi, ultima ruota del carro di coda, colui che, su di sé, fu designato per attirare l’attenzione della magistratura. Ma l’archiviazione disse molto di più. Anzi, le motivazioni auspicarono una veloce riapertura del caso, alla ricerca della verità.
IL MANIFESTO FUNEBRE – E che il caso Marcone non sia solo uno scarabocchio nella storia recente di Foggia, lo dimostra la scritta, misteriosa, apparsa su un manifesto funebre negli ultimi giorni di agosto di quest’anno. Un manifesto con stampato nome e cognome di una donna ucraina, mai apparsa, neppure di riflesso, all’interno del caso. In rosso, marcato con un pennarello, quasi come un fuoco: “per l’omicidio di Marcone Francesco”. Uno scherzo di cattivo gusto? Un macabro gioco? Una combinazione di fatti? Resta un mistero. Quel che, al contrario, non è nascondibile è il luogo in cui ciò è accaduto. Ovvero, ad uno degli ingressi del palazzo degli Uffici Statali del capoluogo. Una costruzione risalente al periodo fascista, ubicata in pieno centro cittadino, da un lato affacciata sulla villa Comunale, dall’altro su Piazza Umberto Giordano e con i fianchi appoggiani l’uno su Via Lanza, l’altro, su Via La Rocca. Nel 1995, qui aveva sede l’Ufficio del Registro, oggi spostato in periferia, con ingresso dalla strada che di Marcone porta il nome. Qui, dunque, ci lavorava Franco. E qui, dunque, l’averne richiamato la memoria potrebbe anche non essere un caso.
Chi ha scritto sul manifesto, non ha badato alla discrezione. Tutt’altro, la sensazione porta alla conlusione inversa. La frase è infatti apparsa sul lato più esposto, quello che dà su Piazza Giordano. Nulla, al contrario, è stato ritrovato dall’ingresso opposto. Nel giro di poche ore, il manifesto è stato coperto. A quanto pare, a chiedere l’occultamento è stata la famiglia della donna, sposata con un foggiano dal cognome campano e mamma di due figli, un maschio e una femmina. A sorprendere, invece, è il fatto che non ci sia stato alcun rilevamento sullo stesso, come si trattasse di una qualsiasi incisione da stadio.
A questo punto, dunque, riannodare la matassa pare impossibile. Il corpo della donna, morta in ospedale, tra l’altro, è stato tumulato in un cimitero del suo paese d’origine. Restano solo le domande. Perché è stato scelto il manifesto della donna? E come mai una frase così secca, che non lascia adito a dubbi? Poi, chi si è preso la briga, probabilmente nottetempo, o comunque al riparo da occhi indicreti, di vergare una frase così diretta non non poter avere dupolici o tiple interpretazioni? Chi era questa donna? Lavorava presso l’Ufficio del Registro ai tempi di Franco Marcone? Oppure è sposata con qualche foggiano che potrebbe essere in possesso di informazioni?
IL REBUS – 29 novembre 1998. Sono passati tre anni e otto mesi dall’omicidio di Marcone. L’inchiesta latita. E’ già stata chiusa la prima volta, archiviata. Colpa di una Procura della Repubblica ballerina, di pm giovani e di qualche episodio che era e rimane poco chiaro. Nella cassetta della posta di casa Marcone, arriva una busta, spedita da ‘Foggia Ferrovia’. Giunge in Via Figliolia a mezzo posta ordinaria. Come una cartolina. Sul fronte, la grafia insicura di un mittente sconosciuto, ha sbagliato il nome della strada. Scrive: “Via Figliolino”. All’interno, un biglietto: “1972 è un foglio di carta da bollo da 2000 quello con la bilancia è una collezionista (rivolgetevi ad una collezionista)”. Eccolo il rebus, l’altro grande fantastico mistero tragicomico dell’inchiesta sulla morte dell’Direttore dell’Ufficio del Registro. L’avvocato della famiglia Marcone, Oreste De Finis, consegna il documento in Questura. Sarà assunto e messo agli atti. Ma, come spesso ha dovuto ammettere lui stesso, “tra la mole imponente di materiale d’indagine, non è dato rinvenire alcun approfondimento e/o spunto di riflessione”.
Eppure, spunti interessanti, dalla sola analisi visiva del biglietto, ce ne sarebbero anche. Primo. Biglietto e busta sono scritti con grafie diverse. Simili, ma diverse. A scrivere, non è chiaramente la stessa persona. La grafia della busta è insicura. Potrebbe trattarsi dei tentativi di un anziano di risulatre fermo. O, al contrario, dei tentativi dello scrivente di apparire agitato ed impacciato. Viceversa, il documento dell’interno conduce a rilevamenti opposti. La composizione delle lettere lascia immaginare che, a vergare la missiva, sia stata una mano ferma e sicura di sé, di chi non ha donde di nascondimenti. Potrebbe essere stata redatta da personaggi esterni all’inchiesta. Oppure da indagati. In ogni caso, non sono state eseguite perizie calligrafiche, né rilevamento delle impronte digitali. Per non parlare della prova del Dna sul francobollo o sulla lingua umettata della busta stessa.
Secondo: il corpus del messaggio, il suo senso. Che cosa vuol dire “1972 è un foglio di carta da bollo da 2000 quello con la bilancia è una collezionista (rivolgetevi ad una collezionista)”?. Proviamo a capirci di più. Come pensato da De Finis, più addestro alle scartoffie di Tribunale e di amministrazione, 1972 potrebbe si, essere l’indicazione di una data. Ma, più raffinatamente, anche un “numero di ruolo ovvero di repertorio”. Possibilità che schiude le porte alla presenza di un secondo documento, da cercare per ottenere informazioni. Documento che, nel 1998, certo era nelle disponibilità di qualcuno. Di chi? Della fantomatica collezionista (“rivolgetevi ad una collezionista”)? E collezionista di che cosa? Di oggetti? Di atti? Di carte? Tornando indietro, lo scrivente parla anche di “una carta da bollo da 2000 quello con la bilancia”. Ma nel 1972, non era in uso la carta da bollo da 2000 (ovviamente Lire), che sarà adoperata molto più tardi. La bilancia richiama invece alla raffigurazione presente sui fogli degli atti giudiziari. E se la collezionista fosse, ad esempio, un’archivista, magari l’impiegata di un ufficio pubblico incaricata alla razionalizzazione degli atti?
Ma sono tutti misteri. Grossi misteri. Appassionanti, quasi giallistici, buoni per inchieste da film. Non fosse che in mezzo c’è un morto ammazzato e la dignità di una città che, dopo quel maledetto giorno, non ha mai più saputo ritrovare sé stessa.
p.ferrante@statoquotidiano.it
Capitanata Donne e 'scritte', tutti i misteri dell'inchiesta Marcone
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Ben detto. Certo si potrebbero dire tante e tante altre cose, come per esempio, questo assassinio ha cambiato i familiari e le persone, come ha cambiato perfino me e come non ha cambiato Foggia. Certo ci si potrebbe scrivere un bel libro od anche un romanzo da leggere sdraiati al mare. Purtroppo, è tutto vero. A tanti anni di distanza, forse per la prima volta, sento una voglia di capire e di verità che non è solo mia, mi sembra un buon viatico per il futuro. L’amarezza più grande, invece, è la superficialità con cui questa vicenda è stata affrontata almeno nei primi mesi, superficialità che non mi pare solo segno di debolezza ma, paradossalmente, di vera forza.
Oreste, tu sei un riferimento per la città di Foggia e un mio assoluto insegnante, fratello maestro.
Piero Ferrante, Red Stato
Ho gia’ altrove pubblicato un commento sull’impiegato Raffaele Rinaldi. Io l’ho conosciuto e praticato fino all’anno 1981 come collega d’ufficio in Abruzzo, ma non mi sarei certo aspettato, a parte la sua assoluta indolenza e incompetenza nel lavoro, che diventasse anche complice di un efferato delitto. Un affettuoso e ammirato pensiero per il povero Dr.Marcone e un augurio che come lui ne nascano altri cento o mille.
Ricollegandomi al mio precedente commento di quattro giorni fa, mi preme comunicare il mio particolare stato d’animo nell’apprendere a distanza di tempo la tragica vicenda del Dr. Marcone, posto che io medesimo ho rivestito la qualifica di Direttore di un Ufficio Finanziario, e so cosa vuol dire affrontare certe pressioni e sollecitazioni esterne non precisamente conformi alle regole. Non posso che ribadire la mia ammirazione per quel Collega buono e sfortunato.