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Originalità Samantha Project Ritratti di Donne tra mito e virtù a cura di Ferruccio Gemmellaro

Originalità e suggestione sono fonti comuni in ogni opera artistica

AUTORE:
Ferruccio Gemmellaro
PUBBLICATO IL:
22 Novembre 2023
Cultura // Storie e Volti //

Originalità e suggestione sono fonti comuni in ogni opera artistica che abbia in seno la congruente originalità creativa dell’autore.

In questa insiemistica di ritratti fotografici, o forse meglio dire “pittorialismo digitale”, d’immagini muliebri tra mito e storia, citandone le virtù, i firmatari vi hanno invero dispiegato in omologismo estetico la millenaria avventura della donna, incutendo nell’osservatore l’emozione di una verità scoperta, altrimenti celata dall’ancor viva maschia presuntuosità.

Il progetto, che gli autori auspicano sia itinerante quanto possibile, vede una straordinaria cooperazione del fotografo Renzo Carraro con i make-up artist Marika Zanella e Yasmin Hmaied, lo stilista Francesco Conte; e non è finita: curatore della relativa edizione espositiva, recentemente svoltasi a San Donà di Piave nello Spazio Mostre “I. Battistella”, è a firma di Christian Mattarollo, architetto e critico della fotografia.

L’evento ha ottenuto la collaborazione dell’Accademia d’Arte Marusso, della Fondazione Cassa di Risparmio di Venezia e del Museo del Paesaggio di Torre di Mosto, questo inaugurato nel 2007in sintonia tra quattro Comuni veneti.

Sono ben dodici i ritratti dei personaggi femminili ostentati, ognuno impersonati da magnifiche modelle e queste, come afferma C. Mattarollo “vengono abbigliate con vesti ed oggetti simbolici, estetizzando le figure del passato; un tentativo di mettere in discussione le accezioni negative…”

Perché, dunque, il nome di Samantha al progetto: “… forse Samantha – conclude – non è altro che il nome della tredicesima figura mitica, quella ancora mancante; una donna incredibilmente versatile e mutevole, proprio come l’instabile e contraddittoria epoca contemporanea”.

La modella Giulia Cibinincigna la carrellata con Kitsune, in kimono floreale e lineamenti volpini nel viso che non può obnubilare quel suo dualismo sia di benevolenza d’ausilio agli umani sia di adescatrice delle prede; essa, tuttavia, appartiene al folclore giapponese quale spirito essenzialmente benefico.

Mara Visentin è Yama-Uba, creatura mitologica giapponese, malefica e cannibale, ma qui in abiti orientali, seminuda con la chioma scompigliata, è la metafora ben indovinata nel sottintenderne la seducente, naturale attrazione così chiara nei tratti del volto di maliziosa posas culturale.

La mitologica Arpia greca, rapinatrice e torturatrice di uomini da condurre nell’Ade, è impersonata da Marika Zanella, ornata di piume, dallo sguardo quasi indifferente, ma non per questo meno accattivante e pronta a balzare sulla vittima, in risalto da un marcato contouring (in italiano Contornatura), questa una tecnica studiata per riadattare da mano esperta i volumi del viso grazie all’uso di sfumature scure. “Ali hanno late e colli e visi umani, Piè con artigli, e pennuto il gran ventre” in tal guisa il Divino Dante descrive queste mostruose entità furiosamente nemiche dell’uomo. Qui, però, gli autori la presentano “come un’audace donna che vuole uscire dalla “gabbia” del cliché negativo \…\ attraverso il quale il destino si compie; non per intrinseca malvagità ma per crudele volontà di altri”; ed è allora ristabilita l’atavica verità che confligge nel confronto tra i due sessi.

Claudia Bettiolo ci propone Sirena, ingannatrice di marinai d’odisseica memoria, imprigionata però, fragile e impaurita, nella rete della sua stessa finzione e l’allettante vestimento che ricorda il tramaglio ne è la metafora.

La brava modella,guarnita con decorazioni di scaglie e protesi di orecchie squamate, perviene,comunquesia, a irradiare uno sguardo quasi distupita innocenza, con generosilembi del corpo nudi, in atteggiamento avvincente.

Giulia Boscolo ci presenta un demone mesopotamico, Lilith, ma che è anche biblicamente (nella tradizione medievale) la prima donna di Adamo creata assieme a lui prima di Eva. In tempi moderni, pur rifiutata dal cristianesimo, assurge a simbolo dei movimenti delle femministe. Nel ritratto appare col seno e le cosce in nudità, incoronata e con mantello quale corredo infernale in significato regale ma geometricamente raffigurata in assetto piramidale, peculiare delle icone mariane, a esprimere una sorta di bonifica dalla negatività assegnatale per quel suo sovvertimento contro il sistema patriarcale. L’espressione, infatti, denota quelle sue riflessioni sorte da interiori dissonanze comportamentali.

La modella G. Boscolo ritorna con Giovanna D’Arco, la celeberrima guerriera francese canonizzata. La propone ritta statuaria, con una filiforme aureola stellata e che regge a due mani l’arma simbolo delle sue imprese, la spada, che è ben verticale alla giusta sua altezza. Il seno è fasciato da banda bianca che si regge avvolta dal collo a mo’ di unica bretella e il basso ventre protetto da un’identica fascia quale perizoma; tutto il resto delle carni è scoperto. L’unica con i capelli alla maschile, l’espressione del viso, più che in una sorta di estasi, indicherebbe la propria indifferenza ai sentimenti d’odio o d’amore a lei diretti poiché, assunta poi a simbolo come Lilith, la sua unica vitalità è spesa nel combattere la società retta dal patriarcato.

Ina Mirzac è nelle vesti di Freya (Freyia in norreno e Frij in tedesco),la compagna di Odino nella mitologia nordica, questa l’omologa dell’olimpica greca; ricordiamo l’assonante Afrodite,la Venere romana, con il giorno setimanale Frije-dagaz, Friday e Venerdì.Il suo nome significa “Frigg-moglie” ed è la divinità del piacere sessuale (uno degli epiteti di Odino è, infatti, “Angan Friggjar-delizia di Frigg”) e della procreazione ma esprime potere di guerra, di morte, di magia e di attenzione alle ricchezze innanzitutto auree; peculiarità veicolanti negli uomini, i quali, tuttavia, hanno queste assegnato tradizionalmente alle compagne in complicità se non ispiratrici, certamente per ridimensionare ove non legittimare la loro avida indole maschile. La modella è in veste scollata, reggente anche lei a due mani il simbolo delle proprie virtù, lo scettro, leggermente obliquo ma ancora allusivamente alla giusta sua altezza. L’ornamento è essenzialmente vegetale, come a voler raffigurare la sua autorità sulla terra, visibile nei due ritratti, l’uno di ostentata autorità e l’altro composito di malizioso richiamo pur reggendo l’innata supremazia.

La galleria del progetto, ognora accattivante, avanza con Ornella Liotta in Echidna, personaggio della saga greca, donna serpente dall’ofidico labbro nero, tentatrice dagli occhi abbaglianti, sino a dominatrice del patriarcato ma qui è mostrata in foggia ingentilita che ricorda le danzatrici; nel mito, infatti, seduce il semidio Herakles, figlio di Zeus e della mortale Alcmena, con la quale genera Scite, il capostipite degli Sciti. Echidna, dalla sua, partorisce Gelono il futuro eponimo di Gela, fecondata dall’eroe delle dodici fatiche.

Monica Menin impersona Baba-Yaga, scelta per il logo del progetto, protagonista della mitologia slava divenuta personaggio per favole e allegorie carnascialesche, spirito notturno in Dalmazia, in qualità vuoi benefica vuoi negativa per il prossimo; indossa un elegante abbigliamento invernale e regge tra le mani il grimorio delle streghe a comprovarne il dualismo; il piglio sorge quasi di sfida dalla propria natura di donna.

Martina Dalla Pasqua è la feroce felide egizia Sekhmet, figlia di Ra dio del sole, nelle sembianze di leonessa dall’alito portatrice di malattie e delle epidemie ma anche invocata per le guarigioni e per i corretti medicamenti.

Qui la si ritrae fanciulla fiera delle sue doti, calzante con disinvolturaunatoilette moderna che mette in risalto una coscia nuda, a indicare l’intramontabilità dell’essere femmina.

Woodoo è magia nera, considerata religione in Africa e tra gli afroamericani. In ritratto unico, fuori dai personaggi muliebri, Elisabetta Salvador interpreta tale pratica nell’intento di discostarsi dalla cattiva tradizione, indossando, seduta, un efficace abito bianco in pizzo e lana, mostrando nude parti delle cosce sopra le ginocchia; la distensione del viso, la capigliatura e il trucco, ancora, si vuole siano segnali di attributi tra le migliori virtù femminili.

Anna Tomasi, infine, si esibisce in Branshee, lo spirito che si presenta nell’imminenza di un lutto, al quale si è ispirati per una serie televisiva.

Il ritratto,invece, è confortante poiché la modella in candido abito lungo, seduta, ora china in maniera sinuosa a osservare dei fiori abbandonati sul pavimento ora con gli occhi sull’obiettivo in artificio quasi civettuolo, è impegnata a capovolgerne la tradizione, mostrandosi in un rassicurante ambiente domestico.

Occorre dire, infine, che delle valutazioni qui riportate sono espresse in qualità di visitatore critico della sequenza fotografica e potrebbero non risuonare

in parte con gli intenti e vocativi del progetto.

Si ritiene ciò, nondimeno, la prova di una genialità degli autori poiché ognuno, nel sortire dall’escursione, può spiegarne la retorica storico-sociale in attinenza alla propria culturaed educazione.

Ferruccio Gemmellaro

Meolo Città metropolitana di Venezia

20/11/2023

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