MANFREDONIA (FOGGIA) – In un suo libro del 2012, dal titolo libro L’umiltà del male (Laterza, Bari), Franco Cassano, docente e sociologo barese, affermava che “Perché le cose comincino a cambiare è necessario che il bene si giri verso l’imperfezione dell’uomo e smetta di guardarla dall’alto, abbandoni l’inerzia che discende dalla sua presunzione”. Il Bene non può permettersi di essere “aristocratico”. Deve scendere.
Ebbene, non sta proprio qui il vero significato del Natale, nel fatto cioè che il Bene, non potendo pretendere una perfezione che l’uomo non poteva darsi da solo, allora ha deciso di scendere?
Sulla stessa linea si muoveva già, nel Seicento, lo scienziato e filosofo B. Pascal, il quale affermava che per ritrovare l’uomo, da lui definito “roi dechu”, un re spodestato, spoglio e nudo, Dio ha dovuto spogliarsi. Se non è l’uomo a salire, ecco che è Dio che decide di scendere. Lo diciamo col canto più bello della tradizione natalizia: “Tu scendi dalle stelle”. Non è la prima volta. Lo aveva già fatto quando decise di liberare gli ebrei dalla schiavitù dell’Egitto.
Ecco qui il Natale. Dio, sapendo che, laddove non può arrivare la nostra libertà, forse può arrivare la sua Grazia, ecco che decide di spogliarsi. Non aspetta che sia l’uomo a salire sulle vette di un bene impossibile, ma è Lui – il Bene in atto – che decide di scendere nel profondo abisso del male. Solo che, per farlo, deve attraversare il freddo e arido deserto della negazione, del rifiuto.
E così Dio scende. Discende. Anzi Dio esce. Da dove? Da Sè. Il Natale è l’esodo di Dio. È Dio che esce da Dio. Esce dal suo talamo nuziale, dicono i mistici. È come uno sposo che va in cerca della sua sposa, l’umanità, per celebrare con essa nuove nozze, che prima a Cana e poi sulla Croce troveranno il proprio ultimo e definitivo sigillo. Come un pastore che va in cerca del suo gregge, specie di quelle smarrite, che nessuno più cerca, il Cristo che nasce non viene per i forti ma per i deboli.
Non per gli eletti, ma per i perduti. Per coloro che hanno perso tutto: se stessi e la propria dignità di uomini creati a sua immagine e somiglianza. Non per i primi, ma per gli ultimi, per raggiungere i quali Egli stesso deve farsi ultimo.
Letto in questa chiave, il Natale, che spesso ce lo immaginiamo come un mondo di grande intimità, ovattato e magico, ci viene, al contrario, presentato come la storia di un rifiuto. Un intreccio di disagi consumato in un tempo dove, come sempre, erano in corso scontri tra vari tipi di poteri. Tra chi ha sposato la logica del dominio e chi, inerme, invece, non ha avuto neanche il tempo di comprendere la propria reale dignità.
La storia non ha fatto alcun tipo di sconto a chi è nato in quella grotta. Infatti, il nascituro non trovò posto in nessuno albergo, e Giuseppe e Maria, cacciati, furono costretti a trovare riparo in una stalla. E il bambino fu deposto in una mangiatoia (in latino presepe). Il vangelo di Giovanni, nel Prologo, ce lo presenta come un vero apolide, il quale “Venne tra i suoi e i suoi non lo hanno accolto”. Costretto a scappare di continuo.
Costretto, ben presto, a dover andare anche in esilio. Lattante è già emigrato. Anzi perseguitato.
Non si tratta di una farsa. No! Col negativo non si scherza! E il male, che non fa sconti, non lo risparmia. Da esso non si lascia soltanto sfiorare, ma addirittura arriva a farsi devastare, spezzare. Lo prova, prendendolo su di sé. Anzi, dentro di sé, nella carne della propria umanità. E di questo se ne renderà ben presto conto, allorquando vedrà all’opera la ferocia di Erode.
Perciò, il Natale non né magico nè romantico, ma è tremendamente tragico. È il dramma di Dio, come ha detto il grande teologo Von Balthasar. È la spoliazione di Dio. È il Bene che si china. Anzi si inchina. Il Bene che si piega. E che allo stesso tempo si s-piega, si declina. Si esplicita, direbbe il grande teologo e filosofo umanista N. Cusano. È l’onnipotenza che si depotenzia e si spossessa, che si depone, e non si impone con le pretese di chi vorrebbe l’impossibile da parte di un uomo che, invece, è attraversato da mille contraddizioni, dubbi, conflitti, paure e incertezze.
Perché l’impossibile è Lui. Il Natale, infatti, ripropone la domanda (filosofica ed esistenziale) se sia davvero possibile l’impossibile. La risposta, scandalosa, la fornirà l’angelo a Maria: “Nulla è impossibile a Dio”. Ma come realizzare tutto questo, se l’atto stesso del credere, per nulla scontato, esso stesso a volte impossibile, anzi, direbbe Kierkegaard, un assurdo e un paradosso?
Il Natale è il venire giù di Dio. È Dio che scende dal suo piedistallo. Che guarda alla imperfezione dell’uomo senza fargliela pesare. Non lo guarda dall’alto, ma dal basso. Non da un trono di gloria, ma da una culla di paglia, inerme, disarmata e disarmante.
E allora giù, sempre più giù. Solo che per farlo deve svuotarsi, annientarsi. Annichilirsi.
Dio quasi decade. Cade. Dio cade in me e con me. Cade nelle mie stesse cadute per rialzarmi. Inciampa nelle nostre imperfezioni, non per rinfacciarcele, ma per darci la forza di guardarle, capirle, affrontarle e smontarle.
Per trasfigurarle e trasformarle da momenti di morte in momenti di crescita e di rinascita. Il Natale, come direbbe un grande filosofo ateo e nichilista del nostro tempo, Emil Cioran, è una caduta nel tempo. Perché Dio ha molto a cuore il tempo, Ha a cuore la storia. Solo che, quando Dio cade nel tempo, ecco che nel tempo si apre una fessura attraverso cui riluce l’Eterno.
Natale: laddove le cadute si trasformano in fessure, le ferite in feritoie.
E la caduta del Natale sembra anticipare le tre cadute che la tradizione cristiana attribuisce all’uomo della croce nel mentre sale il calvario. Discesa e salita unite in un intreccio inestricabile. Si scende dalle vette dell’amore e si sale la china del dolore. Natale e Pasqua sono strettamente correlati, per raccontare l’unico grande mistero della vita, la quale non è assurda, ma che è solo fatta di contraddizioni.
Il Natale ci mette di fronte a una doppia vulnerabilità: quella di un bambino deposto in una mangiatoia e quella di un giovane rivoluzionario inchiodato a una croce.
Parafrasando Hegel, potremmo dire che il Natale è il Bene (Dio) che sceglie di sottostare alla prova di ciò che lo nega, di sperimentare su di sè l’infinito dolore che proviene dalla immane “potenza del negativo”.
Si, perché in quella culla c’è già il sepolcro. Nella nascita, già la morte. Solo che, poiché, come dice il vangelo di Giovanni, a nascere è l’autore della vita, la morte non è più parola ultima, ma solo parola penultima.
Ma la caduta che si realizza a Natale è solo provvisoria. È un inabissamento che prelude a una elevazione. Una morte che sa già di resurrezione. In questo senso, il Natale è la riabilitazione delle possibilità perdute.
È la natura restituita alla propria bellezza e dignità, alla propria libertà senza alcuna proprietà, che anche se ferita e trafitta, calpestata, è comunque stata resa di nuovo capace di rinascere dalle proprie sconfitte, dai propri fallimenti. Dalle ceneri del proprio niente.
Ma il Natale ci rimanda anche alle nostre fragilità. Perché non vi è risalita se non vi è consapevolezza delle cadute in cui siamo incappati. Ecco, perché, a Natale il Bene si fa umile. Si spoglia di ogni dovere. Di ogni comando.
Non comanda l’amore, perché l’amore non può essere imposto, ma solo scelto e cercato. E se anche il male si fa umile, per ingannarci, il Bene si fa ancor più umile, esponendosi al rifiuto. Il Natale smaschera la falsa potenza del male.
La sua falsa umiltà, usata solo per sedurci, per nascondersi sì che possa colpirci meglio.
A Natale non nasce solo Dio, che, sotto forma di domanda muta, dorme dentro di noi, ma anche noi. Nasciamo in noi per nascere dentro di Lui, e così trovarci uomini nuovi.
E allora, forse, quella culla oggi siamo noi. Vuota e smarrita, disorientata e in attesa. Dove, tuttavia, pur di riempirci, ci mettiamo di tutto. Solo che ciò che più ci riempie, in fondo più ci svuota. La culla è il nostro spazio interiore, che come un deserto arido aspetta di essere dissetato.
Il Natale potrebbe pertanto essere occasione per accogliere, nella culla vuota della nostra interiorità spezzata, questo Bene che per noi si spoglia in umiltà e povertà., affinchè, la culla si trasformi in tempio. Da labirinto si trasmuti in castello.
Che questo Natale sia per ciascuno un’opportunità per costruire, dentro di sè, il proprio castello interiore, e, fuori, una città e una comunità, un Noi, che sappia fare posto a tutti. Più a misura d’uomo, nel continuo rispetto di quella dignità che quel bambino, nato a Betlemme, è venuto a risvegliare e rilanciare.
Sia esso un’occasione per rilanciare la nostra alterità e socialità, per vivere pratiche di prossimità. Per aprirci di più a chi cerca un posto, una casa, una umanità. Perché, come allora Dio nacque nelle sembianze di un bambino, oggi Egli ancora si traveste nei panni di chi ha bisogno di fratellanza, libertà e dignità.
Buon Natale di umiltà a tutti!
Caro Michele,hai parlato di bene ,del Dio incarnato nella persona di Cristo Gesù,che ha lasciato la Sua gloria per venire in questo mondo.
Ma non hai detto la cosa più importante, cioè il perché della Sua venuta.
Sai nel mondo ci sono circo 8 miliardi di persone ,ognuno diverse dagli altri,e questa è una meraviglia di come Dio ci ha creato in maniera stupenda.Ma abbiamo una cosa in comune:
IL PECCATO,una parola sta scomparendo e che da fastidio alle persone.
Purtroppo tutti gli anni,ogni 25 Dicembre si celebra la nascita del bambino Gesù,(data poi attribuita al Dio del sole,la Bibbia non parla del 25 dicembre ,parla invece nel mese di Nisan = corrispondente ad aprile)dimenticando che Gesù è nato,morto e risuscitato una sola volta e verrà una seconda volta come è scritto nella Parola di Dio in EBREI 9:28
“Così anche Cristo, dopo essere stato offerto UNA VOLTA SOLA per portare i peccati di molti, apparirà una SECONDA VOLTA, senza peccato, a coloro che lo aspettano per la loro salvezza.”.
Quel bambino poi lasciato nella mangiatoia,o fuori della porta di casa,o ancora fuori dal proprio cuore,per dare spazio ai piaceri,ai divertimenti,alle mangiate,ai regali di un fantomatico BABBO NATALE, dimenticando invece del regalo di DIO PADRE (DIO BABBO),che ha fatto all’umanità
È scritto in GIOVANNI 3:16
” Perché Dio ha tanto amato il mondo, che ha DATO (ecco il vero regalo) il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna.”
E poi ci si scambiano gli auguri,a chi?
Finché non si nasce di nuovo,non si nasce da Dio non sarà mai un vero Natale, è scritto in GIOVANNI 1:11-13
” È venuto in casa sua e i suoi non l’hanno ricevuto; ma a tutti quelli che l’hanno RICEVUTO (nel loro cuore come Signore e Salvatore) egli ha dato il diritto di diventare FIGLI di DIO, a quelli cioè che credono nel suo nome, i quali non sono nati da sangue, né da volontà di carne, né da volontà d’uomo, ma sono NATI DA DIO.”
GESÙ stesso ha detto in GIOVANNI 3:3
“In verità, in verità ti dico che se uno non è NATO DI NUOVO non può vedere il regno di Dio”.
Quindi non basta essere buoni per acquistare il favore di Dio.
È scritto in GEREMIA 2:22
“Anche se ti lavassi con il nitro
e usassi molto sapone,
la tua iniquità (PECCATO)lascerebbe una macchia davanti a me»,
dice il Signore, DIO.”
PURTROPPO LA VERITÀ FA MALE , ECCO PERCHÉ TANTI RIFIUTANO DI LEGGERE LA BIBBIA PERCHE LA PAROLA..EBREI 4:12-13
“Infatti la Parola di Dio è vivente ed efficace, più affilata di qualunque spada a doppio taglio, e penetrante fino a dividere l’anima dallo spirito, le giunture dalle midolla; essa giudica i sentimenti e i pensieri del cuore.
E non v’è nessuna CREATURA (come vedi siamo tutte creature , figli si diventa) che possa nascondersi davanti a lui; ma tutte le cose sono nude e scoperte davanti agli occhi di colui al quale dobbiamo render conto.
Un abbraccio…..