Da recenti cronache giornalistiche abbiamo avuto modo di leggere roboanti titoli circa l’anniversario di un sodalizio che, nientemeno, avrebbe dato vita, sic et sempliciter, alla ”Nova Siponto”.
Una nuova città con il beneplacito di un tizio (fondatore di nuove città, vien detto). Una città sorta dal nulla, dalla fanchiglia della palude, in una zona malsana e mai redenta. Il tutto grazie anche ai vecchi operatori di questo sodalizio e alla lungimiranza di alcuni… pionieri.
A quanto pare, qui da noi, di “fondatori” ce ne sono stati a iosa! A dire il vero ci siamo guardati intorno e di “nuove città”, nell’ambito del territorio sipontino, manco l’ombra, anzi con i secoli sono scomparsi antichi “casali”.
Per quanto riguarda la zona paludosa, malsana e mai redenta, dalle deliberazioni decurionali della Città di Manfredonia abbiamo tutt’altro riscontro. Dei relativi riferimenti ci siamo occupati di recente, come anche ci siamo occupati della spiaggia di Scoppa, di don Raffaele Scoppa, dal quale poi ha preso il nome l’orto, ed altro ancora. Ma di nuove città, niente.
Abbiamo voluto vieppiù conoscere lo stato delle cose, ed abbiamo appurato (e lo abbiamo pure reso noto) che l’Univeristà sipontina ha avuto sempre di mira la bonifica delle paludi, investendo molte risorse finanziarie, con l’affidamento dei terreni redenti in censo a privati cittadini per le opportune migliorìe (delibere consiliari di tutto il sec. XIX).
La proposizione “mai redenta”, quindi, stona. E stona ancor di più se si tiene presente un provvedimento deliberativo, del 13 aprile 1823, che tratta la vertenza con un Frattarolo (famiglia che poi diventa proprietaria di terreni siti a Scoppa, presso l’attuale “Pineta”).
E qui sorge un dubbio. Non è che con la denominzazione di “Nova Siponto” si vuole alludere a quell’ abbozzo di agglomerato urbano voluto e promosso dal Consorzio Generale di Bonifica di Capitanata, con l’ assegnazione di terreni, poi pur edificati, a manca e a dritta?
Vediamo di ricavarne qualche utile informazione.
Nel 1823, quindi, abbiamo notizia circa l’utilizzo delle acque della fontana di Siponto per movimentare un mulino da porsi in sito (richiesto da tale Michelangelo de Fabritij); ne nasce una vertenza con gli eredi di Lorenzo Frattarolo i quali pretendono che la fonte rientra nell’ambito dei territori ex paludosi al defunto censiti, per cui spetta loro la privativa.
Il Decurionato (Consiglio Comunale), ovviamente, contrasta la richiesta, affermando che la fontana è stata sempre di “pubblico diritto”.
Lo stesso Decurionato, comunque, si esprime favorevolmente per la costruzione del mulino.
Nel provvedimento vien fatto pure riferimento al progettato e non realizzato acquedotto per Manfredonia (voluto da papa Benedetto XIII) e che doveva trarre origine proprio da quella fontana. In vero, parte di opere, con scavi, invasi, bacini e rotture di roccia, è stata realizzata, ed i resti sono visibili proprio nella parte terminale del “canale delle brecce” che lambisce la pineta e l’orto di Scoppa.
Ed ancora una volta si pone l’accento da parte degli Amministratori comunali sipontini che il territorio delle paludi bonificate è una fonte di entrata per le casse comunali, per cui non ci si trova di fronte ad una “landa” desolata, abbandonata dagli uomini e da Dio.
“Si manifesta che la fontana di Siponto coll’acqua della quale vuolsi formare un molino, è una gran sorgente perenne alla distanza di un miglio dalla città, le acque della medesima sono state sempre di pubblico dritto, e tutti i cittadini se ne sono sempre avvaluta per far abbeverare i loro animali”.
E non si vede proprio dove sta quell’abbandono!
“Oggi si sente che gli eredi di d. Lorenzo Frattarolo, dacché ci censì una porzione delle paludi sipontine pretendono che la fontana colla censuazione sia divenuta di loro privativa.
Il Decurionato sulle pretenzioni degli eredi Frattarolo è di avviso che sian strane, da che il Comune ha censito le terre paludosi collo scopo di ottenere il miglioramento…
Sull’ utilità della costruzione del Molino è d’avviso che giovi al Comune, perché nel luogo dove si vuol fare avvicina di più le acque, e fa dall’intramprenditore spurgare, e pulire porzione del canale, che trovasi fatta, e giov’anche, perché produrrebbe il favore di cittadini nel ribasso sulla mulitura, quindi si è conchiuso di permettersi l’accennata costruzione, colla condizione che dall’intramprenditore dopo servitosi delle acque deve a regola d’arte farle correre nel mare onde non avvengano ristagni e ciò sino a che Il Comune non sia nello stato di poter eseguire il proseguimento del canale sino alla città”.