A cura di Michele Illiceto. Nella notte del mondo ci sono delle fiaccole che seppur piccole non si spengono e resistono per illuminare non solo nel buio che le circonda ma anche quello da cui nascono e quello verso cui vanno. Etty Hillesum è certamente una di queste. Il pensiero, la vita, l’orizzonte umano e oltre l’umano di giovane scrittrice ebrea va al di là del tempo e le apparenze.
Per le nuove generazioni è importante respirare il profumo di questo amore per la vita, il profumo di quel gelsomino che nonostante la pioggia fiorisce..
Etty ci insegna ad accettare il dolore senza tuttavia rassegnarsi. Sperimentare la potenza del male e continuare a credere nella forza del bene. Non però di un bene astratto, ridotto a pura categoria etica e filosofica. Ma un bene che si fa appello e che chiede alla tua coscienza, alla tua libertà e alla tua responsabilità da che parte stare. Un bene che prende la forma dei volti che, silenziosi, ti guardano nel mentre ti chiedono di non passare oltre.
Nella sua esperienza tragica,vissuta prima a Westerbork e poi ad Auschwitz, dove ha trovato la morte, Etty ha compreso che il mondo e la storia passano attraverso le piccole scelte che ognuno di noi compie quotidianamente, e che sommate a quelle degli altri decidono le sorti di un’epoca, di un paese, di una città, di una nazione intera.
Siamo affidati a noi stessi e un frammento di tempo e di storia ci è consegnato per decidere che cosa farne, nel bene e nel male. “Sono affidata a me stessa e dovrò cavarmela da sola. L’unica norma che hai sei tu stessa, lo ripeto sempre. E l’unica responsabilità che puoi assumerti nella vita è la tua. Ma devi assumertela pienamente”. Ognuno è l’insieme delle scelte che compie. Scelte che decidono sia di noi che degli altri.
Etty ci insegna a non temere le contraddizioni. Anzi, come scrive nel suo Diario, “il fatto è che la vita è composta di contraddizioni, che vanno accettate tutte come sue parti integranti, e che non si può accentuarne una a spese di un’altra”.
Etty non ha cercato di salvarsi. Sapeva che non avrebbe potuto farlo. E allora, piuttosto che salvare se stessa, e piangersi addosso per un destino crudele, da innocente ha deciso di salvare noi che dopo di lei saremmo venuti senza aver visto l’orrore che invece lei, insieme ad altri milioni di ebrei, ha visto.
Ha deciso si salvare quel pezzo di umanità che in lei ancora voleva elevarsi all’altezza della propria dignità, contro un nazismo che, al contrario, stava cercando di annientare e annichilire. E lo ha fatto consegnandoci un compito: non soccombere al male nella piccole cose per impedire che poi cresca e si faccia imponente nelle grandi cose.
La forza più grande del male non è quando colpisce – forse è già troppo tardi – ma quando lentamente e silenziosamente cresce sotto il manto della nostra indifferenza e apatia, e nel segreto delle nostre piccole scelte sbagliate. Perchè la forza del male è direttamente proporzionale al sonno in cui versano le coscienze degli uomini. Non per nulla qualcuno ha scritto che “Il sonno della regione genera mostri”. E il male diventa la passione dominante quando le altre passioni diventano tristi.
Senza riparo, Etty si è fatta lei stessa riparo. E la sera, tra i fili spinati del campo che già puzzava di fumo e si copriva di ceneri umane, riusciva sempre a trovare un cantuccio in cui ritirarsi, per poter attingere la forza di continuare a credere ancora in quel bene che invece appariva debole, offeso e non creduto, calpestato e vilipeso. Deriso.
Questo cantuccio era il suo mondo interiore, spazio immenso e sacro, dove nessuna violenza sarebbe mai potuta entrare. E’ qui che ha posto gli argini al dilagare di una possibile rassegnazione. Era convinta che “bisogna ascoltare con pazienza la propria voce interiore…”. Non luogo verso cui scappare, lasciando che il mondo ci crolli addosso, ma luogo da cui ricominciare. Rialzarsi. Rinascere. Dove è possibile custodire un’altezza che ti permette di elevarti e una profondità che ti consente di fermarti e raccoglierti: “C’è sempre una camera silenziosa in qualche angoletto del nostro essere e potremo pur occuparla di tanto in tanto….Non potranno di certo privarci di quello spazio“. E’ qui che si possono riaccendere la luce della ragione e il calore del cuore, per tornare a pensare e lottare. E sentire nostalgia del bene proprio quando esso soccombe.
Anche se il mondo di fuori stava capitolando sotto la barbarie nazista, Etty capisce che c’è dentro di noi uno spazio che nessuno potrà mai oscurare. E’ lì che si decide la vera battaglia tra il bene e il male. “Spesso ci chiediamo che cosa spinge l’uomo a distruggere gli altri….Ricordati che sei uomo anche tu…Il marciume che c’è negli altri c’è anche in noi..e non vedo nessun’ altra soluzione se non quella di raccoglierci in noi stessi e strappar via il marciume….”
E quando pregava Dio – nel quale stava diventando sempre difficile continuare a credere – non chiedeva di essere salvata, ma che fosse lei a salvare Lui, e salvarlo dal quel male che pareva provare che davvero, come aveva preconizzato Nietzsche, Dio era morto. “E quasi a ogni battito del mio cuore, cresce la mia certezza: tu non puoi aiutarci, ma tocca a noi aiutare te, difendere fino all’ultimo la tua casa in noi”.
Non si tratta solo del Dio della religione. Salvare Dio, per Etty, è salvare il bene e il bello in noi, anche quando il male fuori di noi pare essere più forte e quasi invincibile. Scrive Etty: “…la coscienza del bene che c’è stato nella vita – anche nella mia vita – non è stata soppiantata da tutte queste altre cose, anzi diventa sempre più parte di me…Voglio stare in mezzo ai cosiddetti ‘orrori’ e dire ugualmente che la vita è bella”.
E per quale ragione farlo? Forse perché il male non è così profondo quanto il bene. A tal proposito, ha avuto ragione la filosofa H. Arendt nel dire che “il male non è mai ‘radicale’, ma soltanto estremo, e che non possegga né profondità né una dimensione demoniaca. Esso può invadere e devastare il mondo intero, perché si espande sulla superficie come un fungo. Esso “sfida” il pensiero, perché il pensiero cerca di raggiungere la profondità, di andare alle radici, e nel momento in cui cerca il male, è frustrato perché non trova nulla. Questa è la sua ‘banalità’. Solo il bene è profondo e può essere radicale”.
La giornata della memoria non serve solo a ricordare la Shoah, ma serve anche a confrontarci con il possibile male che sempre, accovacciato, incombe come possibile scelta su di noi e dentro di noi. Siamo chiamati a vegliare e a tenere deste le coscienze sui quei piccoli ermi che possono di nuovo sconvolgere il mondo.
Proprio come dice Etty: “Una volta ho scritto nei miei diari: vorrei tastare i contorni di questo tempo con la punta delle dita. Ero seduta alla mia scrivania, allora, e non sapevo bene come accostarmi alla vita, perchè non l’avevo ancora toccata dentro di me. Ho imparato a farlo mentre ero seduta qui. Poi, d’un tratto, sono stata scaraventata in un centro di dolore umano, su uno dei tanti, piccoli fronti di cui è disseminata l’Europa. E là – sui volti delle persone, su migliaia di gesti, piccole espressioni, vite raccontate – su tutto ciò ho improvvisamente cominciato a leggere questo tempo come un insieme compiuto, e non solo questo tempo“.
Bellissimo articolo, Etty Hillesum sarà sempre una di quelle “lucine accese” per me