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L’interesse che non ti aspettavi sulla Etnopsichiatria

AUTORE:
Luigi Starace
PUBBLICATO IL:
24 Febbraio 2021
Cultura // Medicina //

Nei prossimi anni il mondo della salute mentale avrà necessità di professionisti “post-individualisti” capaci di affrontare in modo efficace e inclusivo la richiesta di benessere psicologico dei migranti. Sono già in tanti a formarsi in questa impegnativa disciplina. I dati descrivono una società italiana in pieno dinamico cambiamento, anche per la salute mentale.

Su una cosa tutti gli esperti uditi o inascoltati sulla Pandemia da covid19 concordano: una volta che la situazione tornerà alla supposta normalità il complesso contesto sociale italiano e mondiale non sarà più come lo si è lasciato. Nuove forze e vecchie spinte torneranno a farsi non solo presenti ma francamente ingombranti. Una di queste è la questione delle migrazioni in ingresso in Italia. Tralasciando le varie declinazioni della politica sul mondo o meglio sulle varie eterogenee e non sovrapponibili realtà di partenza dei migranti, la considerazione dalla prospettiva dei professionisti della salute e della salute mentale è quasi monotematica: come e dove formarsi in Italia sulla etnopsichiatria?

Ma di cosa si occupa la etnopsichiatria?

Roberto Beneduce, antropologo ed etnopsichiatra, la descrive come una disciplina trasversale che si occupa di studiare i disturbi e le sindromi psichiatriche tenendo conto sia dello specifico contesto culturale in cui si manifestano, sia del gruppo etnico di provenienza o di appartenenza del paziente.

Per Piero Coppo, neuropsichiatra e psicoterapeuta, essa abbraccia le varie teorie, pratiche e tecniche che costituiscono l’ossatura di ogni saper-fare che si proponga di intervenire con mezzi materiali e immateriali sulla componente visibile ed invisibile degli umani, sulle loro organizzazioni sociali, sulle loro culture.

Infine secondo Paolo Cianconi, antropologo ed etnopsichiatria, essa è una disciplina che integra la critica postcoloniale di matrice antropologia e sociale con le evidenze cliniche e di trattamento dei disagi e disturbi psichici delle popolazioni non occidentali.

Sono tutte definizioni congrue date da studiosi attivi a livello internazionale. Ognuna offre una lettura interpretativa e operativa sia sul piano sociale sia sul piano clinico del più grande evento antropologico del Novecento dopo la seconda guerra mondiale: lo spostamento di milioni di persone in poco più di un secolo. Per questo motivo la disciplina che studia l’intersezione fra la medicina, l’antropologia, la sociologia e la salute mentale relativamente alla condizione di “migrante” in Italia viene definita etnopsichiatria, con una esplicito riferimento al pensiero del francese George Devereux. Nei paesi anglosassoni si predilige il termine di psichiatria transculturale. L’etnopsichiatria ha cominciato a diffondersi in Italia negli anni 80 come risposta ai flussi migratori in entrata iniziati degli anni 70. Vale ricordare che furono in milioni gli Italiani che migrarono nel Nuovo Mondo a cavallo fra l’Ottocento e Novecento, tanto dal nord quanto dal sud della penisola. L’etnopsichiatria è di fatto parte di quella branca della medicina più ampia definita come etnomedicina in cui il focus dello studio principale è dato dalle connessioni fra cultura, malattia e cura all’interno di un particolare contesto culturale, sociale, religioso, storico, economico e politico. Non stupisce quindi se tutti gli attuali corsi formativi presenti in Italia focalizzano sull’offrire una preparazione che esige dagli operatori della salute mentale e dei vari stakeholders di adottare una capacità di contestualizzare, una logica operativa interdisciplinare e un’attitudine clinica di interazione derivante dalla maturazione di un pattern di conoscenze provenienti da discipline come: antropologia culturale e del sacro, storia delle religioni, psichiatria, psicologia, psicanalisi.

L’etnopsichiatria è quindi un settore del mondo della psiche di non facile approccio ed esige il possesso di un bagaglio emotivo, culturale e clinico non indifferente. Quasi un alibi perfetto per evitare di occuparsene, invece per fortuna è diventata materia di formazione in tante scuole di specializzazione in psichiatria e psicologia clinica e si registra un numero sempre crescente di richiesta di partecipazione ai corsi sparsi per l’Italia, tanto da far registrare spesso il tutto esaurito come capienza alluni. E’ questo un dato molto positivo e incoraggiante che depone a favore della grande tendenza alla pro socialità dei professionisti della salute mentale italiana e del terzo settore. Si potrebbe affermare che l’esigenza di una psichiatria maggiormente attenta al contesto e alla richiesta di salute dell’altro con una marcata attitudine ippocratica “post individualista” potrebbe costituire una delle soluzioni possibili ai futuri scenari postmoderni annunciati da vari studiosi.

L’esigenza di avere in un futuro prossimo, competenze e qualità umane specifiche sarà manifesta nel periodo post pandemico, fra circa due anni, quando l’ondata migratoria dovuta alla pandemia sarà manifesta. Il Covid19 sta influendo molto sullo spettro emotivo di ogni popolazione nel mondo (pandemic fatigue secondo OMS), una delle sfide per la salute mentale italiana sarà capire come esso ha intaccato incidenza e prevalenza delle patologie mentali dei futuri migranti.

Forniamo di seguito un approfondimento del contesto italiano citando il XXVI Rapporto sulle migrazioni 2020 di Fondazione ISMU

  1. ISMU stima che al 1° gennaio 2020 gli stranieri presenti in Italia siano 5.923.000 su una popolazione di 59.641.488 residenti (poco meno di uno straniero ogni 10 abitanti). Tra i presenti, i residenti sono circa 5 milioni, i regolari non iscritti in anagrafe sono 366mila, mentre gli irregolari sono poco più di mezzo milione (517mila).
  2. Per quanto riguarda le provenienze degli stranieri residenti al 1° gennaio 2020 il gruppo nazionale più numeroso continua a essere quello dei rumeni (un milione e 146mila residenti, il 22,7%). Seguono circa 422mila albanesi (8,4%) e 414mila marocchini (8,2%). Al quarto posto si collocano i cinesi con quasi 289mila unità (5,7% del totale stranieri in Italia), poi gli ucraini con quasi 229mila unità, i filippini (quasi 158mila), gli indiani (poco più di 153mila), i bangladeshi (quasi 139mila), gli egiziani (circa 128mila) e i pakistani (meno di 122mila). Le prime tre nazionalità rappresentano da sole quasi il 39,3% del fenomeno migratorio complessivo, mentre in totale le prime dieci raggiungono il 63,5%.
  3. La fondazione definisce come ruolo chiave il lavoro che gli immigrati svolgono in determinati comparti essenziali della società italiana.
  4. Negli ultimi cinque anni la quota di minori stranieri non accompagnati (msna) sul totale degli sbarcati è stata sempre superiore alla media decennale, oscillando fra il 13,2% e il 15,1%. I tre quarti delle scuole hanno fino al 30% di alunni con background migratorio.

I dati testimoniano una realtà migratoria che investe i professionisti della salute mentale in tutti i possibili ambiti di intervento, dalla neuropsichiatria infantile alla psichiatria di comunità. Un cambiamento sociologico trasversale che necessita di trovare soluzioni innovative per le nuove istanze psicologiche cui il modello bio-psico-sociale metodologicamente non è in grado di soddisfare Ma di questo ne parleremo in dettaglio in seguito.

Parole chiave: etnopsichiatria, migranti, psichiatria sociale, psicologia sociale, psichiatria post-individualista

Bibliografia

1) George Devereux, Saggi di etnopsichiatria generale, 2007

2) Piero Coppo, Tra psiche e cultura. Elementi di etnopsichiatria, 2003

3) Roberto Beneduce, Etnopsichiatria. Sofferenza mentale e alterità fra storia, dominio e cultura, 2019

4) Paolo Cianconi, Addio ai confini del mondo, 2011

5) Il XXVI Rapporto sulle migrazioni 2020 di Fondazione ISMU www.ismu.org/presentazione-xxvi-rapporto-sulle-migrazioni-2020/.

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