Qualche giorno fa, in un incontro a Otto e mezzo, programma de La7, la Guzzanti ironizzava con chi contesta, politicamente o meno, il suo film senza averlo visto, sicura e fiera di un prodotto non solo forte di testimonianze inoppugnabili, ma anche molto apprezzato in questi giorni dal grosso dell’entourage cinematografico. E’ un vero peccato, purtroppo, che i due aspetti non siano sempre condizione sufficiente per l’inattaccabilità, ma è altrettanto vero che non se ne può evitare, in dialettica, la visione.
A scopo di analisi sarebbe difficile, ma soprattutto sbagliato, prescindere dall’aspetto contenutistico di questa pellicola – fredda e onesta tentazione per evitare fuori tema politici -, essendo non solo esso chiave principale di una docu-fiction, ma anche, più in generale, strumento di gioco con lo spettatore – dunque di cinema tout-court.
Sul fronte formale si assiste a un buon documentario, romanzato nei termini e tempi giusti per acquisire lo status di opera cinematografica, con una chiara ispirazione a certa produzione statunitense (Michael Moore su tutti) che a fronte di fatti, presentati con dinamicità e crudezza, usa l’arma della satira per ferire, colpire e firmare le proprie posizioni anti-sistema. Ci si sorprende positivamente, tra l’altro, dell’uso moderato che di questa viene fatto nel film, noti i precedenti dell’autrice, usando le semplici testimonianze come materia grezza di narrazione cui applicare il filtro di sceneggiatura. Anche la par condicio viene, almeno formalmente, salvata da alcuni interventi entusiasti sul premier-salvatore, senza quasi che la regista prenda parola minimamente per contestare.
Cos’è Draquila?
Trovo sia da evitare la trappola dell’aspettativa sull’obiettività, perché non è questo né il punto forte né focale della pellicola. Draquila non è un film obiettivo, ma è poco importante. Michael Moore non è obiettivo, non porta con assoluto rigore le due parti in causa, ma questo non fa delle sue opere un attacco inutilmente fazioso.
Draquila va letto come assoluta testimonianza di parte, di un volto nascosto, non raccontato né da telegiornali né da media di sorta, una necessaria rivelazione in una democrazia che si possa ritenere tale e in un Paese in cui la comunicazione è, al di là del verso e dell’entità, controllata e poco equilibrata. Tutto questo va precisato sul fronte dell’etichettatura del film.
Assodata la discreta (ma non memorabile) fattura estetica di Draquila, la domanda vera si sposta, dunque, su un altro aspetto: cosa ci ha raccontato di nuovo la Guzzanti sui versanti bui della faccenda? L’apprezzabile – e inaspettatamente controllata – onestà dialettica dell’autrice sulle interviste rivela paradossalmente la risposta: non molto. Tutto il resto era già sulle pagine dei giornali. Nel corso del film si ha, difatti, molto spesso la sensazione di assistere a piccoli scoop da giornalismo investigativo, sulla linea di Striscia la Notizia, ma in tono decisamente minore, di calcare la mano (o la voce) su disagi che, anche quando nuovi e crudi, non si riescono necessariamente a legare a colpe evitabili del governo o di singoli personaggi noti, quanto piuttosto a effetti collaterali indesiderati, ingiustificati e deprecabili, ma frutto di una situazione d’emergenza.
Diventa difficile, in tutta franchezza, dare un peso di rilievo, in un’analisi macroscopica e matura, alle lamentele nostalgiche degli sfrattati per l’allontanamento coatto dalle proprie case a rischio di crollo; oppure alla loro insofferenza per il soggiorno prolungato e gratis in albergo in paesini della costa; o al disagio, da parte di chi ha ricevuto i nuovi appartamenti, del non poterne disporre come casa propria appendendo quadri (e quindi sentendosi in prigione).
Anche sul fronte di un altro importante e discusso aspetto, quello delle cosiddette “prove di regime”, i fatti raccontati in Draquila non convincono molto. Lo stato para-militare non appare terribilmente critico e gli impedimenti assolutamente in linea con i difetti noti di una struttura imperfetta e cancerogena come quella dell’esercito. In altri casi, invece, i disagi sembrano molto più semplicemente quelli di uno stato d’emergenza in cui si necessita il dover scegliere fra mali minori e attuare operazioni di contenimento di massa che sacrificano il singolo in nome di una stabilizzazione collettiva – una su tutte le segnalazioni stizzite sulla norma che evita l’assunzione di bevande eccitanti quali caffè o coca cola. Che tutto questo regime (non nel senso dell’autrice) fosse migliorabile o evitabile è dibattibile e da dimostrare, ma per la Guzzanti appare come dato.
Gli aspetti più rimarchevoli riguardano il blocco ai manifestanti in occasione dei comizi del premier e alcune intimidazioni per indurre la popolazione ad abbandonare le tendopoli, comunque riconducibili potenzialmente ad azioni dure (seppur non giustificabili) e abusi di potere tipici degli stati “di guerra”.
Si comprenderà bene quanto sia importante e onesto distinguere intellettualmente tra contestazione di sistemi ben noti (esercito, stato di polizia) e contestazione del governo in quel frangente, operazione che non mi è sembrata condotta con equilibrio, anche partendo da presupposti di parte.
Tolti questi aspetti, che avrebbero dovuto costituire gli scoop del film, gli extra, resta, come si diceva, il marcio sotto gli occhi di tutti da ben prima di Draquila: collusioni criminali, appalti, giro d’affari, privatizzazioni. Su questi temi portanti la Guzzanti compie un buon lavoro di analisi, raccontando escamotage legali e minando sospetti (sempre tramite testimonianze) su una strumentalizzazione colossale attuata a fini economici e d’immagine, confermando le ipotesi degli avversari del governo e lasciando pensare gli incerti.
Gli aspetti satirici e di attacco personale della regista, come si accennava, sono contenuti, preferendo giocare con i fatti, ma quando lasciati senza briglia (un paio di volte) mostrano tutti i difetti dello stile dell’autrice, dal diretto affondo (che sacrifica il meccanismo della satira) fino al turpiloquio o l’accusa indubitabile.
Se con Draquila qualcuno sperava nella nascita della Michael Moore italiana e del Fahrenheit 9/11 dell’Abruzzo può serenamente tornare a guardare gli illustri autori americani. Se invece la speranza era riposta nella nascita di un filone documentaristico serio e d’alternativa, i presupposti ci sono tutti.
Un film più maturo per la Guzzanti, ma di strada da fare ce n’è ancora molta.
Voto: 5.5/10
Livello spoiler: 0/10
Draquila – S. Guzzanti, 2010D
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