Manfredonia, 24 agosto 2020. ERA UNO dei cinque serbatoi che svettavano nel profilo dello stabilimento Enichem di Macchia alle porte di Manfredonia, dismesso agli inizi degli anni 90 del secolo scorso e dichiarato sito SIN sul quale è in corso una drastica attività di bonifica. “Era” perché è stato demolito. Era anche il meno pericoloso perché adibito a serbatoio di acqua a servizio dello stabilimento, come riserva dei pompieri interni ma anche per altri usi. Era della capacità di 25mila metri cubi ed era sito nella parte alta dello stabilimento, quasi a ridosso della strada che da Manfredonia sale verso Mattinata.
PODEROSE ruspe hanno lavorato per un paio di settimane per buttarlo giù. Ormai non esiste più. Quel che rimane è un cumulo di ferraglie inerti. Così come a ferraglie sono stati ridotti i poderosi impianti che per una ventina di anni hanno costituito il sogno-incubo industriale di questa parte del golfo. Le aree sgomberate parte destinate ad accogliere le attività produttive del contratto d’area anch’esso inutilmente contestato, parte rimaste inservibili per via delle bonifiche non completate. Di quel mastodontico complesso industriale che nonostante tutto aveva impresso una profonda e significativa accelerata al processo di evoluzione del territorio che fa capo a Manfredonia, non sono rimaste che i grandi serbatoi dei quali quello demolito era potremmo dire marginale. Ne sono rimasti ancora quattro costruiti in cemento, un paio con doppia intercapedine, destinati allo stoccaggio di sostanze pericolose come il toluolo, l’ammoniaca, carburanti. Si trovano nella parte bassa dello stabilimento e sono collegati con un sistema di tubi, con gli attracchi per liquidi del porto alti fondali (industriale), che attraversano i circa tre chilometri di “passarella” su palafitte che collegano la terra ferma al bacino portuale.
AVREBBERO dovuto essere demoliti in uno con gli impianti Anic-Enichem e Chimica dauna. Sono invece ancora lì a rappresentare un passato combattuto e vinto dalla popolazione di Manfredonia in nome di una progredita cultura ambientale e del rispetto dei diritti della gente alla salute e alla sicurezza. Perché non si è ottemperato a quanto all’epoca si decise di radere al suolo quell’industria peraltro divenuta obsoleta, comprendente anche quei serbatoi?
PROBABILMENTE dietro c’è l’ombra di un possibile business sul riutilizzo di quei serbatoi. A lungo si parlò dell’interessamento della Isosar (poi Energas), una società del settore gasiero, per quei serbatoi ben collegati col porto e dunque col mare. Ma si parlò anche di una attenzione da parte di organizzazioni della pesca che vedevano in quei serbatoi la possibilità di poterli utilizzare per lo stoccaggio di gasolio destinato ai pescherecci realizzando risparmi fino al 30 per cento. Nessuna delle iniziative avanzate è andata in porto. Quei serbatoi da mezzo secolo sono ancora lì probabilmente divenuti fatiscenti e pertanto inutilizzabili.
L’ASSOCIAZIONE culturale e politica Manfredonia nuova di Manfredonia ha più volte posto il problema di un energico intervento risolutivo di un problema che non interessa solo Manfredonia ma anche Monte Sant’Angelo il cui comune, competente e responsabile per giurisdizione, si è sempre guardato bene dall’intervenire e pensare ad una seria programmazione dello sviluppo di quell’area secondo criteri moderni valorizzando la sua naturale vocazione. Anzi, a quanto denuncia Manfredonia Nuova, insiste nei medesimi deprecati errori.
Peggio delle lumache.
Gli operai che hanno effettuato la demolizione si facciano curare, viste le schifezze tossiche che avranno toccato e inalato, dato che fuoriescono tuttora facendoci ammalare tutti
ma le norme di sicurezza per le zone SIN ossia a forte inquinamento non sanabile sono state rispettate quando hanno messo mano a quei serbatoi
MISTERO
E il sottosuolo quando verrà liberato e bonificato dai BIDONI ????.