Negli anni ’60, durante il periodo di Carnevale era ancora in auge il ballo per casa. Ricordo che con i ragazzi e le ragazze che frequentavano la Parrocchia S.Michele organizzavamo sin dal giorno di S.Antonio Abate, e poi tutti i Giovedì Grasso e nei tre giorni clou di carnevale “u bballe pe chése” (il ballo per casa). Tutti, indossavamo costumi di carnevale, perlopiù “pagliacci” di raso, che si andavano a fittare dal sarto Antonio Pellegrino titolare di una sartoria insieme alla moglie Maria La Tosa, nei pressi del lavatoio pubblico, in piazza dei Baroni Cessa; oppure dalla signora Marasco in corso Manfredi, dove nella sartoria c’era un grande assortimento di costumi carnascialeschi, appesi al muro. Nonostante il freddo pungente, il ballo per casa era il momento “p’abbranchè” qualche ragazza. Si partiva, dalla canonica della Parrocchia. Prima della partenza, il capo gruppo, solitamente la persona più grande d’età, dopo aver verificato che tutto il battaglione delle maschere erano accoppiate, dava il via alle scorribande per le vie cittadine e per il tradizionale ballo per le socie, allestite nelle case e in locali vari. La maggior parte delle maschere erano muniti di fischietti, tamburelli e trombette. Quando nel folto gruppo delle maschere c’erano molte ragazze, queste, si accodavano a coppia, sempre tenendosi per mano, durante il giro per il tradizionale ballo per casa. Quando si arrivava alla Socia, il capogruppo doveva togliersi la maschera per farsi riconoscere, prima di entrare con tutte le maschere del suo gruppo nel locale ed effettuare i tre balli come da antica tradizione. Se il locale adibito a socia era piccolo e il gruppo mascherato era numeroso, si faceva a turno. Nella socia si effettuavano, come da antico rito, tre balli con lo “sciangè dame” (changè la dame) che era di rigore. Quando c’era il turno con la propria partner si sperava in un ballo lento per poter abbrancare la ragazza. Ricordo un anno mi capitò, come partner, una zitellona-bizzoca. Purtroppo, quando partimmo per il gito per le socie, non si fece riconoscere. Notavo, però, che ogni volta che ballavamo in una socia notavo che mi stringeva da morire ”ce feccove sotte” perché la poverina era arrapata da morire. Ad un certo punto, della scorribanda per la città, avevamo l’abitudine di andare su viale Miramare, in zona casotti della Sirenetta, dove ognuno cercava di “’mbrasché” pomiciare con la propria compagna.
Ad un certo punto chiesi alla “ragazza” che era con me di togliersi la maschera, per poterla riconoscere, ma ahimè, scoprii che era una tardona “racchione”, brutta come non avevo mai visto. Immediatamente, trovai una scusa, gli dissi che avevo un forte mal di pancia e così mi liberai da quella inaspettata spiacevole sorpresa. Ricordo, che ogni tanto, nel nostro battaglione delle maschere si inseriva qualche infiltrato con una donna (sempre mascherati) che si accodavano al gruppo. Solitamente era una persona adulta con l’amante “a mandenute” che non voleva farsi riconoscere per motivi extraconiugali. Sinceramente, ho nostalgia di quegli anni. In alcune socie, dove gli organizzatori erano nostri amici o conoscenti, ti offrivano un bicchiere di vino e pasticcini vari. Era permesso, fare solo tre balli. La socia veniva gestita da “u chepe soce”, solitamente una persona di carisma, che provvedeva all’organizzazione e a garantire l’incolumità delle maschere sia all’entrata e sia all’uscita delle stesse per i relativi balli da fare. Mentre “u chepe sune” era la persona addetta alla consolle per la musica. In alcune socie, un tempo, allietavano le serate di carnevale anche piccole orchestrine locali. Sempre nelle socie, era di rigore lo chance dame con gli uomini e le donne che stazionavano nella socia e non ti potevi rifiutare, altrimenti potevi essere messo alla porta dal capo socia. Ci si divertiva veramente per poco durante il periodo di carnevale, senza la necessità di ubriacarsi “a ciocce” come fanno adesso in maniera spudorata i nostri giovani nel corso delle sfilate di carnevale. Mi è difficile, raccontare in un articolo gli episodi curiosi, le burle, i travestimenti, le piacevoli avventure, del mio vissuto durante il carnevale. Potrei scrivere almeno cento pagine, di quei ricordi.
Tra tutte le socie a cui ho partecipato, quella che più mi rimasta nel cuore è stata quella organizzata per alcuni anni dall’amico Giacomo Rucher insieme ad altri amici presso il ristorante da “Pastore” in viale Miramare. Serate danzanti in costume a tema, allietate dal grandissimo e compianto cantante Luciano Gatta e il suo complesso. Una socia frequentata da personaggi di una comicità esilarante. Si ballava, come forsennati. Ogni tanto, nel corso della nottata, quando arrivavamo le farrate calde, ci si fermava per dieci minuti. Poi si continuava a ballare fino alle 5 o le 6 di mattina, allorquando venivano allestiti i tavoli nella sala e si mangiava a sbafo. Dopo la cena, Gatta riprendeva a cantare con il suo favoloso complesso e ballavamo fino alle 7 di mattina. Sempre alla socia da “Pastore”, ricordo che un anno il Martedì Grasso, portammo sulla spiaggia, di fronte al ristorante, il nostro Zepèppe di paglia che avevamo costruito per la nostra socia intitolata “ai Megghje ai Megghje” e mentre Luciano Gatta cantava, ballammo fino alle 8 di mattina come matti intorno a “Zepèppe” (pupazzo di paglia, emblema del carnevale sipontino) che bruciava in un falò. Ricordo un anno, che la mattina del Mercoledì delle Ceneri alcune bizzoche che stavano andando in chiesa per il rito cristiano della posa delle Ceneri sul capo, vedendoci ancora con i vestiti i carnevale, ci redarguirono dicendo: “Vuje ancora pi pagliacce ngudde stete, jeteve a cumbessè i pecchete e a mette a cenere ‘nchepe!”. La domenica della Pentolaccia, si ballava ancora fino all’alba, con la rottura a mezzanotte della pignatta “a pegnète”, allorquando si viveva il momento più esilarante dell’ultima serata danzante di carnevale. Tutto passa, signori, restano solo i ricordi di una tradizione che non c’è più.
A cura di Franco Rinaldi,
Manfredonia 26 febbraio 2019
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FOTOGALLERY (INTEGRAZIONE) a cura di Franco Rinaldi
Ormai non ci restano solo dei cari ricordi della Mnafredonia che fu, non solo il carnevale ma anche il resto era stupendo, prima che un gruppetto di giovani rampanti amministratori e politici arrivassero con l a convizioneche la cittadina fosse loro ivi cimpreso tradizioni e bellezze naturali. Neanche cetto la qualunquemente in super forma avvrebbe fatto tanto, come haanno fatto qui.
Grazie mille, Franco Rinaldi.
un racconto che emoziona e fa riaffiorare tanti ricordi.
Rimarranno solo dei bellissimi ricordi.