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Morte del filosofo e antropologo Marc Augè. Tra luoghi e non-luoghi

AUTORE:
Michele Illiceto
PUBBLICATO IL:
26 Luglio 2023
Cultura // Manfredonia //

MANFREDONIA (FOGGIA) – E’ stato il primo a parlare della categoria dei non-luoghi. E li ha studiati girando per le metropoli di tutto il mondo. I non-luoghi sono gli aeroporti, le stazioni, le metropolitane. Luoghi di attraversamento e di semplice spostamento, di mobilità, di momentaneo stazionamento.  Luoghi in cui è+ impossibile stare e restare, e da cui si scappa. Si va in essi solo per necessità.

 

Freddi, spersonalizzati e dunque anche spersonalizzanti. anonimi. Luoghi di nessuno, e quindi lasciati a sè stessi. Curati se non per funzionare e non certo per comunicare o per fare incontrare. Sono il simbolo dello spaesamento tipico dell’uomo occidentale. Di quello che il filosofo Italo Mancini chiamava de-territorializzazione.

 

Luoghi senza volto, senza connotazione simbolica, perchè spogliati di un senso. Deputati solo all’efficienza e allo scambio, alla produzione, al profitto, al funzionamento del sistema, ma privi di qualsiasi forma affettiva ed emotiva. Senza linguaggio e senza messaggi. Privi di un’anima.

Non luoghi che parlano, ma luoghi che sfumano.

La loro caratteristica infatti è l’afasia. Il mutismo delle pareti, la freddezza dei macchinari, la ripetitività degli automatismi. I non-luoghi Augè li contrapponeva ai luoghi antropologici, quelli dove l’uomo ama stare perché si sente accolto, valorizzato, riconosciuto. Essendo l’uomo un animale spaziale e temporale, ha bisogno di luoghi in cui umanizzarsi. L’uomo non è in un luogo, non abita luoghi, non ha luoghi, ma è egli stesso il luogo che rende luoghi gli spazi fisici.

 

I non loghi hanno solo la fisicità ma sono privi di simbolicità. Non rimandano a niente, non evocano nulla. Sono privi di rimandi, privi di memoria. Privi di presenze significative.

 

I non-luoghi sono i simboli di una società ipercapitalistica, che presa da sistemi produttivi intesi come meccanismi che automaticamente riproducono solo se stessi, finisce col depersonalizzare, perdendo pezzi di vita comunitaria, che offre incontri senza coinvolgimento. Che atrofizza il vicinato, che rende lontani i vicini. Che spezza i legami. Che allenta le responsabilità.

 

Ai non-luoghi manca il senso dell’appartenenza, manca la valenza comunitaria Lì non si è di nessuno, perché nessuno ci aspetta Nessuno ci vede, Nessuno si accorge di noi. I non-luoghi sono gabbie mortali dove il Noi lascia spazio a un io solitario, abbandonato a se stesso. Luoghi di solitudini e di isolamento. Luoghi neutri, dove ci si sente quasi apolidi e fuori da ogni circuito di senso e di riconoscimento.

 

I non-luoghi diventano luoghi solo quando riusciamo a dare ad essi un senso, a trovare una ragione al nostro stare, trasformando il nostro semplice stare in un vero e proprio abitare. I non-luoghi desertificano l’anima rendendoci anonimi e assenti rispetto a chi ci passa accanto.

 

I non-luoghi sono i luoghi dove vige il disinteresse e l’indifferenza. Dove non vi è prossimità, attenzione, cura. Apoteosi di una cultura dove l’individuo va in giro chiuso in se stesso, incentrato sui propri affari e programmato sui propri tempi. Guai a chi si ferma nei non-luoghi.

E’ chiaro che i non-luoghi poi finiscono pe diventare luoghi solo per chi, non avendo altri luoghi in cui essere riconosciuto e accolto, si indentifica con essi, come i barboni, gli esclusi, i rifiutati, gli emarginati.

 

Nei luoghi di nessuno solo chi si sente nessuno riesce a prendervi dimora. E qui il connubio diventa letale: le persone che non hanno luogo trovano dimora nei non-luoghi. Ai margini trovano l’ultima possibilità di avere anch’essi uno spazio comunitario con cui identificarsi ei n cui riconoscersi.

 

Ma in tal modo i non-luoghi diventano doppiamente tali: diventano ghetti. Aumenta la paura e ci si tiene a distanza. E intano l’abisso cresce. Aumentano le distanze, i sospetti. E i non-luoghi da luoghi di passaggio si trasformano in luoghi che generano paura e ansia, luoghi dove internare gli esclusi che continuano a non essere riconosciuti di essere degni di abitare con noi.

 

La domanda che Augè poneva negli ultimi anni della sua vita era quella per la quale dovremmo chiederci chissà quanti non-luoghi ci sono anche nella nostra piccola città che di certo non è una metropoli.

 

Oggi la categoria di non-luogo si sta allargando, fino a rasentare molte situazioni familiari, o alcuni quartieri, forse anche certe situazioni di ambient scolastico. E lo diventano nella misura in cui in essi vengono a mancare i capisaldi che rendono un luogo fisico un luogo veramente umano: appartenenza, accoglienza, riconoscimento, cura, attenzione, partecipazione, reciprocità, integrazione, significanza, inclusione.

 

Perciò compito di una città è sorvegliare in modo da evitare che molti luoghi cosiddetti normali degradino – per incuria e per poca attenzione – a non-luoghi! Se ciò accadesse, i processi sarebbero forieri di nefaste conseguenze.

 

A cura di Michele Illiceto

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