”IMPOSSIBILE PREVENIRE IL RISCHIO DI UNA MAREA DI PETROLIO” – Secondo lo studio di Gilbert ed Etkin, “il rischio che sulle coste di tutto il mondo si possa riversare una marea di petrolio, di dimensioni maggiori di quella fuoriuscita nel Golfo del Messico“, non può essere controllato data “la responsabilità sulle navi appartenente agli armatori e non ai relativi governi”. Armatori che, in base agli anni trascorsi dal rilascio in mare degli ordigni bellici (seconda guerra mondiale) oggi sono ubicati sicuramente “in un’altra sede”. Somme necessarie per ripulire i serbatoi delle navi sommerse ? “Tra i 2.300 e i 17.000 dollari, a tonnellata di petrolio”, sostengono i due studiosi.
I PERICOLI IN ITALIA TRA SERBATOI DI CARBURANTE ED ARMI CHIMICHE – CON LA FINE DELLA II GUERRA MONDIALE I “CARICHI DI ORDIGNI CON IPRITE INABISSATI A LARGO DI MANFREDONIA”- Per i golfi italiani il rischio inquinamento non sarebbe dato soltanto dai serbatoi di carburante – secondo lo studio dei due esperti inglesi- ma soprattutto da un “arsenale di armi chimiche contenenti in parte iprite”, una sostanza “altamente tossica ma utilizzata dall’esercito italiano, quando era già vietata dagli accordi internazionali, nella missione in Etiopia nel 1935”. I militari italiani avrebbero usato la sostanza, nonostante i divieti imposti, in una serie di attacchi aerei e di artiglieria. Nascosto in carichi segreti sulle navi, il veleno sarebbe stato al centro di “alcune tra le peggiori stragi di civili, come quella del 2 dicembre 1943 a Bari”. Con la fine della guerra i carichi “scomodi” sarebbero stati inabissati al largo di Manfredonia, nei pressi dell’isola d’Ischia e a sud di Pesaro.
ORDIGNI BELLICI NEL GOLFO DI MANFREDONIA, STUDIE, DITTE ED AZIONI PASSATE – Focus
L’OPERA DI RICOGNIZIONE DELLA STES NELL’AREA DEL NASCENTE PORTO TURISTICO – I lavori della Stes
L’ACCORDO DI PROGRAMMA DEL 2007, LA RELAZIONE DI DI FEO – L’accordo di programma del 2007
IL LIBRO “VELENI DI STATO” DEL GIORNALISTA DI FEO – Le tesi di Di Feo nel libro “Veleni di Stato”
LE TESI DI DI FEO IN “VELENI DI STATO” – Inutile recarsi in Iraq per cercare le armi di distruzione di massa quando sarebbe stato sufficiente perlustrare le acque pugliesi. Comprese quelle di Manfredonia. Questo in sintesi il pensiero di Gianluca Di Feo, giornalista del settimanale L’Espresso, autore del libro “Veleni di Stato”, testo (del quale si era comunicata l’uscita lo scorso 26 novembre 2009) nel quale venivano anticipate le tesi di ricerca dei due esperti di sicurezza marina, Trevor Gilbert e Dagmar Etkin. “Abbiamo invaso l’Iraq per cercare le armi di distruzione di massa, mentre sarebbe bastato tuffarsi nelle acque di Molfetta o di Ischia per trovarne a migliaia – scrive De Feo – fuori arrugginite, dentro micidiali”. Il giornalista de L’Espresso parla di una possibile presenza nei fondali italiani di “migliaia di tonnellate di bombe letali” prodotte durante l’egemonia del regime fascista. Bombe letali finite in mare “davanti Ischia e anche alla Puglia”. Bombe che proprio in questi territori continuerebbero “a seminare i loro veleni”. Il volume di Di Feo ricostruisce la storia delle armi segrete italiane, “le bombe con virus e batteri sperimentate durante il fascismo e gli ordigni chimici”. Ma nel suo testo, ‘Veleni di Stato’, Di Feo non fa solo riferimento alle armi utilizzate dalle squadriglie del Duce, dato che i mari e le coste italiane continuerebbero ad “ospitare ancora le bombe chimiche degli alleati che a fine guerra sono state affondate”, la maggior parte nel basso Adriatico.
DI FEO: “IL PIANO VARATO DAL DUCE PREVEDEVA LA COSTRUZIONE DI 46 IMPIANTI PER DISTILLARE 30MILA TONNELLATE DI GAS OGNI ANNO” – Ancora oggi, come scrive Di Feo nel suo libro, non si è riuscito a stabilire con esattezza quante armi chimiche siano state prodotte in Italia tra il 1935 e il 1945. Il piano varato da Benito Mussolini all’inizio della guerra prevedeva la costruzione di 46 impianti per distillare 30 mila tonnellate di gas ogni anno. In base ai documenti britannici analizzati nel libro del giornalista de L’Espresso– decine di file con rapporti segreti, relazioni diplomatiche, verbali di riunioni del governo, minute di interventi di Winston Churchill e altri atti riservati che riguardano un periodo dal 1923 al 1985 – si tratterebbe di una quantità “tra le 12.500 e le 23.500 tonnellate annue”, incrementatesi durante l’occupazione nazista del Nord. Si trattava di iprite – scrisse Di Feo, anticipando lo studio dei due esperti inglesi – che “divora la pelle e uccide togliendo il respiro”. Di fosgene, “che ammazza provocando emorragie nei polmoni”. Di miscele a base di arsenico, che “entrano nel sangue fino a spegnere la vita”. A questo arsenale sterminato si sono aggiunte le armi schierate al Nord dai tedeschi e quelle importate al Sud dagli americani e dagli inglesi.
LA NAVE DI IPRITE ESPLOSA NEL 1943 NEL PORTO DI BARI – IL SAGGIO DI RICK ATKINSON: “IN QUANTI HANNO EREDITATO LEUCEMIE, TUMORI E DEVASTAZIONI AI POLMONI ?” – I SILENZI DI WINSTON CHURCHILL – L’ultimo saggio pubblicato negli Usa da Rick Atkinson sosterrebbe che solo gli statunitensi avrebbero dislocato negli aeroporti del Mezzogiorno qualcosa come “200 mila bombe chimiche”. Fu proprio durante uno di questi trasferimenti nel porto di Bari, scrive Di Feo, che nel dicembre 1943 una nave piena di iprite esplose, contaminando acqua e aria: il disastro, “il più grave mai avvenuto nel mondo occidentale”, venne tenuto nascosto. “Winston Churchill in persona ordinò di tacere, e in tal modo i feriti non hanno potuto ricevere cure adeguate. Ma dei cittadini baresi aggrediti dal gas non si è mai saputo nulla”. “Quanti hanno ereditato leucemie, tumori, devastazioni ai polmoni? L’inferno di Bari è stato un danno collaterale nell’equilibrio del terrore”. Come è accaduto con le testate nucleari durante la Guerra fredda, tutti gli eserciti avrebbero dovuto possedere infatti delle armi chimiche per impedire agli avversari di utilizzarle. E come è accaduto per le bombe atomiche – scrive Di Feo – sarebbe spettava ai capi di governo la sorte delle armi “che non dovevano cadere in mano ai nemici”.
”FU HITLER A DARE IL VIA LIBERA ALLA PRIMA OPERAZIONE DI RILASCIO DELLE BOMBE TOSSICHE NELL’ADRIATICO” – IN PUGLIA SI SAREBBE PARTITI PROPRIO DA MANFREDONIA – Pertanto, secondo il giornalista de L’Espresso, “fu Hitler a dare il via libera alla prima di tante operazioni nefaste: affondare nell’Adriatico oltre 4.300 grandi bombe tossiche”. Grazie ai documenti degli archivi tedeschi sappiamo che si trattava di 1.316 tonnellate di testate all’iprite, gran parte delle quali si trovano ancora nei fondali a sud di Pesaro. Dopo il 1945 gli Alleati si sarebbero liberati del loro arsenale di gas e di quello catturato agli sconfitti. Secondo Di Feo, i files dell’US Army – documenti in parte ancora segreti – avrebbero rivelato che “molte decine di migliaia di ordigni chimici” sarebbero stati inabissati in una “discarica chimica”» nel Golfo di Napoli, davanti all’isola di Ischia. Lo stesso sarebbe accaduto in Puglia, “partendo da Manfredonia, dove altre decine di migliaia di testate con veleni made in Usa furono annegate”. Gli ordigni, scrive Di Leo, sarebbero “sempre piu’ arruginite e cariche di iprite, fosgene e miscele a base di arsenico”. A queste si aggiungerebbero “le oltre 4300 grandi bombe tossiche”, per le quali si è saputo, grazie alla documentazione storica degli archivi tedeschi, che erano pari a quasi 1.316 tonnellate di veleni -principalmente iprite- ”gran parte delle quali si trovano ancora nei fondali a sud di Pesaro”.
Gli americani, scrive Di Feo citando fonti documentali americane, avrebbero inabissato molte decine di migliaia di ordigni chimici ”in una ‘discarica chimica’ nel Golfo di Napoli, davanti all’isola di Ischia” (fonte: Asca). Stessa procedura utilizzata dai militari statunitensi anche in Puglia, “partendo da Manfredonia”. ”Ministri eletti dal popolo italiano e generali delle nostre forze armate hanno deliberatamente taciuto, coprendo con il silenzio -scrive Di Feo- gli arsenali nascosti nei boschi della Tuscia, dell’Umbria, della Maremma, occultando gli stabilimenti proibiti della provincia di Roma e di Milano. Una storia infinita, perche’ ancora oggi le scorie di questi arsenali non hanno trovato una tomba sicura e continuano ad accumularsi in un bosco di Civitavecchia”.
DI FEO: “ININFLUENTE IL NUMERO DEGLI ANNI, LE BOMBE RESTANO IMMORTALI” – Per Di Feo, la situazione messa in evidenza nel sul testo, con l’inabissamento di migliaia di ordigni chimici nei golfi italiani, non farebbe parte di un problema passato, né tantomeno remoto, dato che le armi chimiche sarebbero state progettate “per essere immortali”, oltre al fatto che sono “cancerogene e possono anche causare mutazioni genetiche”. Ma in primo luogo, scrive Di Feo, le armi chimiche hanno la capacità di sopravvivere a lungo nel terreno e nell’acqua, “fedeli alla loro missione assassina”. Secondo il giornalista de L’Espresso le migliaia di bombe che “giacciono nel mare di Ischia, di Manfredonia, di Foggia e di Molfetta possono infatti ancora uccidere”. Un pericolo, che secondo il giornalista italiano, continuerebbe ad essere “nascosto e difeso” con ogni strumento possibile, anti comunicazione mediatica. Quali pertanto le criticità alla base della scoperta resa nota nel suo testo dal giornalista Di Feo: “nel colossale cimitero sottomarino delle acque italiane –scrive il giornalista – le bombe si corrodono rilasciando iprite e arsenico.
LO STUDIO NEL 1999 DEGLI ESPERTI DELL’ICRAM: “TRACCE DELLE SOSTANZE TOSSICHE NEI PESCI DEL BASSO ADRIATICO” – L’unico studio condotto nel 1999 dagli esperti dell’Icram – scrive ancora Di Feo – ha trovato tracce delle due sostanze negli organi dei pesci di quella zona e nei fanghi del fondale”. Il responsabile dei ricercatori di questo studio, il professore Ezio Amato, ha denunciato a riguardo una situazione agghiacciante: i pesci del basso Adriatico sarebbero infatti “soggetti all’insorgenza di tumori”, dato che subirebbero “danni all’apparato riproduttivo, essendp esposti a mutazioni che portano a generare esemplari mostruosi”. ”Ma i mostri tossici non dormono soltanto in fondo al mare”, scrive ancora nel suo testo Di Feo. Molti cittadini sarebbero stati, e sono ancora, “ignari” di avere residenza “in quartieri che sorgono intorno, o addirittura sopra, a vecchi stabilimenti di armi chimiche, in molti sono stati all’oscuro della reale produzione di queste fabbriche”. Miscele “cancerogene”, che hanno minato l’ecosistema, “inquinando aria, terra, acqua”. Partendo dalle ultime informazioni raccolte da alcune opere di bonifica nell’’impianto modello” di Civitavecchia, dove si imprigionerebbero le sostanze tossiche in cilindri di cemento, Di Feo nel suo testo pone anche il problema dei “siti di raccolta” ma soprattutto della “possibilita’ che i veleni giacenti in mare possano finire in mani pericolose”. Secondo il giornalista italiano gli ordigni seminati dai militari statunitensi sarebbero “a pochi metri di profondità dalle acque” erigendosi in questo modo ad una fonte indiretta di armi (Di Feo scrive “incredibile self service” di munizioni) per qualunque terrorista, che potrebbe infatti “mettere le mani sulle armi più potenti in circolazione” così provocando di conseguenza una vera e propria apocalisse (fonte testo di De Feo da L’Espresso).
Da ricordare inoltre che nel 1997 l’Esercito italiano avrebbe messo da parte – secondo Di Feo – almeno 150 tonnellate di iprite del modello più micidiale, mescolata con arsenico. In più c’erano oltre mille tonnellate di adamsite, un gas potentissimo ma non letale usato contro le dimostrazioni di piazza. E 40 mila proiettili chimici. Per neutralizzarli è stato creato unun impianto modello a Civitavecchia che imprigiona le scorie velenose in cilindri di cemento.
g.defilippo@statoquotidiano.it
Manfredonia Gilbert-Etkin dopo Di Feo: "ordigni bellici a largo di Manfredonia"
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