“Sopra i nostri occhi il sole splende, ma sotto di noi la desolazione della guerra. Tutto ciò è incomprensibile”.
StatoQuotidiano.it, Manfredonia, 27 GENNAIO 2021 – Nel ricordare oggi le vittime della Shoah, poche volte si parla di ciò che è successo dopo. Per questo c’è L’Istruttoria.
L’Istruttoria è opera teatrale dello scrittore, regista e pittore tedesco Peter Weiss. Il dramma si divide in undici episodi, che Weiss chiama canti. Come si deduce dal nome, questo pièce si basa sulle note prese dall’autore durante il processo di Francoforte, dal 1963 al 1965, in cui vennero incriminati ufficiali delle SS e responsabili dei Lager di Auschwitz, in cui vennero brutalmente assassinati milioni di ebrei.
La struttura dell’opera è quella di un processo immaginario in cui i testimoni, tra cui ex nazisti e vittime delle loro azioni, sono chiamati a testimoniare sui crimini commessi durante il Terzo Reich. Attraverso le testimonianze, lo spettatore è in grado di vedere gli eventi del passato attraverso gli occhi di coloro che li hanno vissuti.
Sicuramente una rappresentazione non può essere considerata alla portata di tutti: il grande impatto che lo spettacolo dà dall’inizio alla fine, sia dal punto di vista scenico che dal punto di vista morale, è tale che alcuni spettatori potrebbero uscire, come già successo, dalla sala per l’emozione.
Questa è la testimonianza della scenografia e dell’opera; chi vi scrive ha avuto la fortuna di aver visto questa rappresentazione da studente universitario:
Tutto inizia appena varcato la soglia della sala. L’ambientazione è tetra, nera. Lo spettatore viene immediatamente catapultato indietro nel tempo. Siamo negli anni ‘60. Una lunga parete nera diagonale funge da dietro le quinte/camerino per gli attori. Le uniche luci sono date dalle lampadine degli specchi. Il silenzio regna sovrano. La mia attenzione viene colpita da due cose: la porta blindata da cui poi saremmo entrati nel primo canto e un biglietto, su cui, a grandi linee, vi era scritto “Sopra i nostri occhi il sole splende, ma sotto di noi la desolazione della guerra. Tutto ciò è incomprensibile”. Sui tavoli dei camerini vi sono quelli che poi diventeranno gli oggetti di scena dello spettacolo: il servizio da the, l’ovomaltina, il barattolo di Zyklon B (gas che veniva utilizzato per eseguire le atrocità)
L’altra parte della parete sarà l’unica effettiva presenza fissa della storia: fungerà da lavagna, parete del vagone, tavola da disegno, parete della camera a gas. Tutto questo e molto altro.
Gli unici due oggetti di scena che non cambieranno la loro funzione sono due: il banco del procuratore e il pianoforte, giusta guida delle vicende. L’ ambientazione risulta quasi sempre realistica, a tratti evocativa, in un continuo balzo nel tempo avanti e indietro dal 1943 al 1965.
Il semplice gesso da lavagna trasforma l’ambientazione, scandendo il passaggio da un canto all’altro, oppure l’utilizzo di una normalissima corda, usata sia come confine tra la scena e la platea sia come oggetto di scena per il canto della banchina, in cui i deportati vengono messi in riga per essere poi smistati o nelle baracche o direttamente nelle camere a gas.
Essendo tutta l’opera un testo drammatico molto particolare si può capire, durante tutto lo spettacolo, da dove Weiss abbia potuto prendere ispirazione per la stesura. Come la prima cantica del capolavoro del Sommo poeta, L’Inferno, è diviso in 33 canti preceduti da un prologo, così il testo di Weiss riprende la stessa struttura compositiva, essendo il testo diviso in 11 canti e un prologo. Tutto lo spettacolo comincia con il Prologo di Pierpaolo Pasolini, tratto dalla sua Divina Mimesis e declamato durante lo spettacolo da una voce fuori campo con puntamento di luce sulla foto dello stesso Pasolini. La scelta non è stata fatta a caso. La Divina Mimesis è uno dei suoi testi più famosi, iniziato proprio nel 1963 e uscito postumo, che descrive un nuovo inferno in cui vi sono nuove categorie di dannati, una forte denuncia sociale da parte di Pierpaolo Pasolini. Dopo il Prologo, il Procuratore, colui che si occupa di constatare le testimonianze durante un’istruttoria, invita il pubblico ad entrare nella scena; quindi ecco Virgilio, una guida dantesca, un compagno di viaggio verso un vero e proprio inferno, quale è stata la Shoah. Nel finale, un semplice “Usciamo” ci riporta alla mente il ben più famoso “… e uscimmo a riveder le stelle”. Non è un segreto la grande passione di Peter Weiss verso Dante Alighieri e la sua Commedia. Come quest’ultimo è riuscito a descrivere le indicibili e inimmaginabili torture del regno di Lucifero, così lo scrittore tedesco è riuscito, con un incredibile lavoro di testimonianze, a descrivere l’inferno in Terra inventato dai nazisti.
Le prime trasposizioni si rifacevano molto alle istruzioni dello stesso Weiss e al teatro epico di Brecht, cioè il totale estraniamento dell’aspetto emotivo all’interno dello spettacolo così che quest’ultimo lasciasse spazio a una più austera visione documentaristica della vicenda. All’epoca era anche possibile, poiché il pubblico non era a totalmente a conoscenza dell’orrore successo in quei lager: si trattava per loro di un mero fatto storico della seconda guerra mondiale, volevano solo sapere. Ma oggi, come ci propone lo stesso titolo originale del dramma – Die Ermittlung – che non significa solo istruttoria in senso giuridico, ma anche indagine, o “accertamento della verità”, questa rappresentazione scava nel profondo, oscuro, torbido, alla ricerca di una verità più grande, una risposta alla domanda delle domande. Perché?
A cura di Piercosimo Zino