Non affannatevi, il Carnevale è già morto.
Gli interessi privati sono sempre venuti prima di quelli pubblici, è la norma in questa città, è la norma nel nostro Paese. Ma ciò che è davvero mancata, qui, è la lungimiranza. Perché ciò che conta davvero è la volontà. La volontà politica, l’opinione condivisa di volere il Carnevale, di immaginarlo come una delle poche reali possibilità di futuro, come la massima espressione del sentirsi manfredoniani. Ma non è mai importato davvero nulla del Carnevale. Non è importato a chi ha avuto l’incarico di occuparsene per anni, preoccupandosi di gestire più che di programmare. Non è importato al popolino, pronto a strapparsi le vesti con campagne social senza mai aver messo piede in un capannone, in un laboratorio. Senza mai domandarsi cosa ci fosse realmente dietro, prima di giudicare un vestito, un carro. Nessuno ha mai difeso né sostenuto chi ogni anno si è trovato ad affrontare muri insormontabili solo perché accecato da una passione. Chi urla allo scandalo ha sempre taciuto, di chi si schiera non riconosco le facce.
Non affannatevi a salvarlo questo Carnevale. Tanto è già morto. Ad ammazzarlo siete stati voi tutti, nessuno escluso. Voi che lo avete scambiato come un modo fantasioso per sbronzarvi fino al midollo. Voi che l’avete usato come ring da combattimento. Voi che avete potuto e non voluto. Voi che potevate programmare e avete preferito rattoppare. Voi che al merito e alla competenza avete preferito l’incompetenza e l’arroganza. Voi che vi travestiste da paladini della giustizia, da filantropi senza macchia, salvo non far nulla se non per interesse personale.
Non affannatevi gente, è tutto finito. Questo tempo si porterà via tutto e con sé ciò che ha dato vita a questa tradizione. Si porterà via l’oltre cinquantennale storia dei maestri cartapestai, scoraggiati, demotivati, impossibilitati nel tramandare la loro arte alle generazioni future. Abbandonati da chi ha sempre considerato l’arte come un privilegio, un passatempo, qualcosa di accessorio.
Non affannatevi gente. Ciò che ci rimane è pensare a come ci giustificheremo davanti ai nostri figli, ai nipoti. Cosa diremo loro di questi tempi? Farò anch’io come mio padre, racconterò di quello che è stato, affollando le loro menti solo di ricordi, l’onta di uno sfregio che passa di generazione in generazione, una catena che non si spezza.
Parleremo loro dell’euforia di quei giorni, dei coriandoli incastrati nelle chianche del corso, fra i capelli e persino nelle mutande. Dei Malembande mangiati con foga alle 3 di domenica pomeriggio, dopo la sfilata. Della musica assordante che riempiva le strade, dei colori che spezzavano il grigiore dei palazzi. Dell’aria di ferro e colla che impregnava il capannone e così i nostri vestiti, fino a portarcela in casa. Del rumore stridulo del flex, delle mani fredde impastate tra la colla, della carta a pezzetti stesa con cura, come fosse pasta fresca. Del lavoro durissimo e delle risate a crepapelle, del sigaro di Peppino, delle parolacce di Paolo, delle incazzature di mio padre, delle tavolate festose il sabato sera, nella cucina del capannone. Dell’euforia del sabato pomeriggio, prima di andare al carro. Dell’ansia dell’ultimo giorno, del capannone vuoto senza carro. Della prima volta che lo vidi in strada, lo stupore degli altri. Degli occhi gonfi e del sonno, del sorriso riflesso negli occhi di chi ci guarda sfilare.
Gli racconteremo della nonna e dei pomeriggi passati a scuola, fino a sera, ad inventare ancora una volta un vestito, ad aprire le porte a mamme e bambini. Gli racconteremo delle nostre prime volte, dei vestiti pesanti e dei nostri tempi andati. Gli parleremo di Mimmo e della sua compagnia, dei laboratori e delle coreografie provate tutti insieme. Degli amici conosciuti durante il carnevale, delle ragazze di cui ci siamo innamorati, dell’euforia di sentirsi parte di un gruppo.
Gli racconteremo delle luci dei vestiti, nella sfilata notturna, che addobbavano il paese a festa.
Gli racconteremo di tutto questo. Perché questo per noi è stato e sarà il Carnevale. Non una vetrina politica né tantomeno un passatempo. Ma una parte di noi, della nostra storia personale.
Non è e non sarà vostro.
Non sarà di chi l’ha amministrato. Voi siete e sarete soltanto dei custodi.
Non sarà di chi l’ha sempre sminuito. Non è mai stato vostro.
E non sarà nemmeno un lustrino per chi ora invoca di salvarlo.
Il Carnevale è e sarà solo di chi farà qualcosa per lui, senza interesse.
Forse questa edizione vedrà la luce e anche quest’anno si farà. Forse non sarà oggi che verrà tutto messo alle spalle. Ma arriverà quel giorno. Arriverà in sordina, in silenzio. La fine non sarà rumorosa, ma silenziosa. Crollerà un pezzo dopo l’altro questo bel castello di carte.
Ciò che ci rimane, oggi, sono le ultime briciole di una tradizione distrutta, rasa al suolo da chi non è stato in grado di preservarla. Non finirà domani il Carnevale e saremo tutti più sollevati. Ma non servirà a nulla.
Il Carnevale è già morto.
Andrea Trotta
Non solo il carnevale è morto, è morta tutta la città!
Ottima analisi. Egregio Trotta, effettivamente, sono anni che il carnevale manfredoniano e’ in declino. Ha perso, anno dopo anno, qualche pezzo. Riducendosi sempre di più all’osso. E’, ormai, un morto al quale qualcuno non vuol fare il funerale. Il perché è chiaro e lampante. Per loro è morte apparente. Chi scrive ne ha raccattato di legname, ferro, carta e cartone. Erano altri tempi. I giovani correvano, mascherati, durante il giovedì grasso, per le vie di Manfredonia. Entravano nelle socie. Un giro di ballo e via, di corsa, verso un’altra socia. Poi un tendone ha messo fine ai grandi locali da ballo. Da quell’anno, per me, e’ iniziato, lento, ma inesorabile, il declino della manifestazione. Qualcuno ci ha messo di suo. Questa è la realtà. Saluti